Purtroppo, come da previsioni, i francesi hanno votato contro la ratifica del Trattato costituzionale. Cosa succederà adesso? Cosa accadrà al processo di integrazione europea? Cosa succederà all?euro? Dico subito che non condivido le previsioni catastrofiste che sono circolate alla vigilia del voto. Un voto contrario era nell?ordine delle cose dopo che i sondaggi avevano ripetutamente dato conto dell?orientamento negativo dei francesi. Ed ora quello francese probabilmente non sarà il solo no che il Trattato costituzionale si attirerà.

Il voto negativo dei francesi non è certo un fatto positivo e non è senza conseguenze. Tuttavia confido che esso non fermerà il processo di integrazione europea. Il motivo fondamentale sta nella circostanza che il Trattato costituzionale non è altro che la scrittura di un testo unico che non cambia la situazione di fatto precedente ed attuale. Principi, norme e regole costituzionali sono già vigenti e continuano a rimanere in vigore. Certo la Costituzione vuole riordinare in un testo coerente e compatto le materie già disciplinate nei Trattati di Parigi (1950), Roma (1957), di Maastricht (1992), di Amsterdam (1997) e di Nizza (2000).

Sul piano procedurale, secondo gli esperti bisogna leggere la dichiarazione n. 30 allegata al Trattato costituzionale secondo cui ?se al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma del Trattato che adotta la costituzione per l?Europa, i quattro quinti degli Stati membri hanno ratificato detto trattato e uno o più Stati membri hanno incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo?. Si intende che il Consiglio si adopererà per cercare una soluzione positiva. Sul piano procedurale, sono previsti due anni tempo ed il processo di ratifica del Trattato non dovrebbe essere arrestato se si vuole verificare il raggiungimento della soglia dei quattro quinti. Quindi c?è tempo sino a fine ottobre 2006. Per una più ampia trattazione del punto vedi studio di Tosato e Greco su http://www.iai.it/pdf/DocIAI/iai0503.pdf

Sul piano più generale, secondo me, poco valgono le critiche secondo cui, nel caso europeo, si è preteso di scrivere una costituzione senza il popolo, che sarebbe stato meglio affidare il compito ad Parlamento europeo o altra assemblea costituente eletta ad hoc, ecc..
Si dà il fatto che comunque la si rigiri, qualunque sia il deficit di democrazia o quello sociale, il processo di integrazione ha del miracoloso. L?approccio c.d. funzionalista fin qui ha funzionato alla grande e sembra destinato a funzionare ancora. La prova provata degli ultimi anni è che l?Unione europea costituisce un polo di attrazione per tutti i Paesi dell?ex blocco sovietico. A mio giudizio, sono ingenerose le critiche di quanti dicono che si è fatto troppo in fretta l?allargamento trascurando che fin qui il no è venuto fuori proprio da parte di uno dei Paesi fondatori. Nuovi Paesi membri e quelli che vogliono aderire vedono l?Unione europea come un approdo sicuro ed una garanzia di sviluppo democratico. Sarebbe irresponsabile che si buttasse a mare tale reputazione. E? colpevole da parte dell?Unione che non si sia fatto ? come era stato proposto da parte di alcuni leader europei ? una specie di Piano Marshall per l?Est europeo. Dopo 15 anni non si può dire che si sia andati troppo in fretta per elaborare lo statuto del club a cui detti Paesi aderiscono. Il condominio si è costituito e deve darsi uno statuto. Mi si passi il paragone ma una Costituzione serve anche a questo scopo. Qualcuno vuole entrare in un club. Vorrebbe vedere le regole in un unico documento.

Sul piano storico del processo di integrazione, il problema era e rimane che l?approccio gradualista e settoriale ha dato tutto quello che poteva dare e forse di più ammesso e non concesso che si possa considerare la moneta comune come una questione settoriale. Siamo arrivati al punto in cui le implicazioni più generali delle politiche settoriali non potevano sfociare che nel loro completamento più generale, ossia, politico-costituzionale.
Come si esprimeva la Dichiarazione di Laeken del dicembre 2001 che ha iniziato il processo di scrittura e/o riscrittura della Costituzione la sfida interna era quella di ?avvicinare le istituzioni europee al cittadino. Indubbiamente i cittadini condividono i grandi obiettivi dell’Unione, ma non sempre vedono il nesso tra questi obiettivi e l’azione quotidiana dell’Unione. Essi chiedono alle istituzioni europee meno complessità e rigidità, e soprattutto più efficienza e trasparenza. Molti ritengono inoltre che l’Unione si debba occupare maggiormente dei loro problemi concreti e che non debba intervenire nei minimi dettagli in questioni che per la loro natura sarebbe meglio lasciare ai rappresentanti eletti nei paesi membri e nelle regioni. Alcuni arrivano a considerare tale atteggiamento addirittura una minaccia per la loro identità. Un altro aspetto, forse ancora più importante è che i cittadini ritengono che troppe decisioni siano prese senza che essi abbiano voce in capitolo, e chiedono un migliore controllo democratico?. Il II Trattato di Roma vuole rispondere a questa sfida. E? un paradosso. Con tutti i suoi limiti il testo costituzionale è una risposta alla sfida democratica ma democraticamente viene respinto dalla maggioranza dei francesi.

Molti in Francia durante la campagna per il referendum hanno sottolineato il deficit sociale della Costituzione. Chi ha letto il testo sa bene che non è vero e che esso prevede una politica della coesione sociale che, in teoria, può giustificare tutti gli interventi sociali che si vogliano attuare. Il testo prevede un principio di sussidiarietà secondo cui l?Unione europea può solo e nella misura in cui gli obiettivi previsti non possono essere raggiunti dagli Stati membri. Il punto è se tali interventi sono compito dei governi nazionali o di quello europeo (della Commissione). Come molti sanno, a fronte di una politica monetaria centralizzata, per volontà dei governi dei Paesi membri, la politica economica e quindi anche quella sociale deve rimanere fortemente decentralizzata. Il governo europeo almeno per il medio termine non deve avere una politica di bilancio degna di questo nome. Con le risorse proprie, il governo europeo può fare solo operazioni di cofinanziamento e di valore emblematico. La Commissione ed il Parlamento europeo non hanno il potere di aumentare le entrate proprie per finanziare una maggiore spesa sociale. Il governo europeo si finanzia al 75% con i contributi degli Stati membri. Al riguardo ci sono le proposte della Commissione Prodi per gli accordi finanziari per il 2007-13 fatte proprie dal Presidente Barroso. C?è un difficile negoziato in corso tra quanti approvano la proposta Prodi di portare il bilancio all?1,24% del PIL europeo e quanti lo vogliono bloccare all?1%. La Francia è il capofila di questo gruppo. Forse i francesi non lo sapevano e se lo sapevano, sono in forte contraddizione.

Un’altra considerazione sugli effetti possibili del no francese sulla stabilità dell?euro. Le previsioni catastrofiste della vigilia sono almeno per il momento smentite. Secondo alcuni perché i mercati si sono aggiustati in anticipo. Personalmente ritengo che non c?è motivo per cui l?euro si debba indebolire. Non c?è una crisi di governo a livello europeo in senso tecnico. Il governo europeo è un sistema molto complesso e lo statuto della Banca centrale europea è costruito alla stregua di una Autorità amministrativa indipendente. Essa deve essere isolata dalle influenze politiche e partitiche alla stregua di quanto si è fatto negli ultimi trenta anni all?interno dei vari Paesi occidentali. In questi tre anni e mezzo l?euro è stato sotto e quindi sopra la parità con il dollaro. L?andamento comparato delle economie europea e nord-americana giustificherebbe un livello del cambio al di sotto della parità. Se la crisi nel processo di integrazione politica dovesse indurre un qualche ridimensionamento dell?attuale quotazione dell?euro non sarebbe male per le esportazioni europee.

Secondo un giornale americano in Francia ?ha perso la Costituzione ma avrebbe vinto la democrazia?. Certo è vero che il dibattito c?è stato e che sia stato un bene prevedere un referendum (strumento di democrazia diretta). Ma se la gente va a votare disinformata e sulla base di spauracchi strumentalmente agitati da classi dirigenti di scarsa levatura, incapaci di affrontare i problemi reali della crescita e della disoccupazione e, giocando allo scaricabarile, propalano l?idea che l?Unione europea sia la causa di tutti i mali. Se i francesi sono indotti a ritenere la costituzione europea è neoliberista e di ostacolo alle politiche sociali. Se l?operaio francese a indotto a ritenere che il suo futuro è messo a rischio dall?idraulico polacco. Se per contro gli inglesi la ritengono la quintessenza del dirigismo statalista, ci deve qualcuno che alimenta queste paure ed incertezze. Come ci può meravigliare se onesti cittadini che non hanno il tempo di leggere e studiare una costituzione, un documento necessariamente lungo e complesso, frutto del compromesso tra venticinque governi, ci credano e votino secondo le indicazioni strumentali e faziose dei loro politici!