Secondo quanto ha riferito l’Agenzia Reuters ieri 27 giugno u.s., al momento non ci sono segnali di un significativo deterioramento dei fondamentali del debito pubblico italiano, che possa far ipotizzare un impatto della Brexit sul rating dell’Italia.
Lo ha detto il responsabile rating sovrani di Dbrs Fergus McCormick, in una conference call dedicata alle conseguenze del voto britannico per l’uscita dall’Unione europea rispondendo ad una domanda sulla situazione italiana. Ha motivato la sua affermazione dicendo che la DBRS segue attentamente l’evolversi della situazione tenendo sotto osservazioni le variabili che incidono sulla traiettoria del debito pubblico nei Paesi a rischio. Le variabili osservate sono: la crescita del Pil, i tassi di mercato, l’inflazione e le finanze pubbliche.
Fin qui ha ragione . I tassi di mercato sono bassissimi, invece dell’inflazione abbiamo la deflazione, la crescita è minima ma positiva e comparativamente i conti pubblici sono in parte risanati – naturalmente da un punto di vista strettamente contabile.
L’analista ha quindi definito “incoraggiante” il rimbalzo odierno del titoli di Stato italiani e spagnoli, ma ha poi sottolineato l’importanza del referendum costituzionale italiano di ottobre, definendolo il “prossimo passaggio cruciale in Europa”. “Vedendo come stanno andando i referendum in Europa è un appuntamento da guardare con grande attenzione” avrebbe concluso.
Secondo me, mettere sullo stesso piano il referendum sulla uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e quello su una riformetta storpia e malfatta come la riforma costituzionale Italiana varata dal governo Renzi è a dir poco sbagliato e senza alcun fondamento economico. Non tiene conto che la riforma costituzionale di cui parla poco o nulla ha a che fare con i fondamentali che McCormick stesso ha citato precedentemente.
In miei precedenti post sul mio blog ho messo in rilievo la scarsa o nulla rilevanza della riforma costituzionale se il problema della crescita in Italiana è quello di un grave difetto di domanda interna sia per i consumi che per gli investimenti.
Ho osservato anche che il vero problema interno è quello della quantità e qualità della legislazione sulla quale la riforma costituzionale non sembra destinata a migliorare la situazione neanche sui tempi necessari per approvare le leggi. E del resto, come ho scritto ripetutamente, non ha effetti migliorativi velocizzare il processo decisionale all’interno di singoli paesi membri dell’Unione se poi quello principale resta lento e farraginoso.
Nell’ultimo post ho messo in evidenza quello che l’Unione europea dovrebbe fare costruendo un vero e proprio governo federale dell’economia e della finanza anche con meccanismi assicurativi di ultima istanza dei debiti pubblici dei paesi membri, alias, suddivisione del rischio.
Anche per la stabilità di questi debiti rilevano non le riforme sciacquetta dei governi sub-centrali ma quelli che si dovrebbero fare – e non si fanno – a livello centrale.
Lo tenga ben presente il sig. McCormick se non vuole creare egli stesso qell’incertezza che fa comodo ai suoi compari della finanza rapace. Che la finanza speculativa abbia bisogno di certezza è un controsenso perché essa realizza i maggiori profitti proprio nelle situazioni di incertezza. Chi ha bisogno di minore incertezza sono le imprese e le famiglie che devono avere fiducia che i contratti che stipulano saranno rispettati dalle controparti e che in caso negativo troveranno procedimenti giudiziari efficienti ed efficaci. Ecco un esempio preclaro di come funzionano le società di rating così sopravvalutate dalle parti di Wall Street.
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