Tutti invocano il superamento del deficit democratico di una Unione in preda ad una deriva autocratica e tecnocratica in parte necessitata ed in parte voluta. E così anche il Presidente Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione. In altri termini, per effetto della globalizzazione, c’è non solo nell’UE ma anche nel mondo e nei singoli Paesi una verticalizzazione del processo decisionale a cui, da un lato, non corrisponde un assetto istituzionale adeguato e, dall’altro, pone severi limiti alla sovranità dei governi degli Stati nazionali. Ora la risposta corretta a questo problema non è il ritorno allo stato nazionale di stampo ottocentesco che è ormai superato dalla storia e, soprattutto, dalla forte interdipendenza economica e finanziaria che caratterizza i rapporti tra i vari protagonisti della Comunità internazionale, ma il afforzamento e la piena democratizzazione delle istituzioni sovranazionali. Gli attuali squilibri istituzionali infatti causano frustrazione a livello dei singoli paesi favorendo la nascita di movimenti c.d. sovranisti e, comunque, trasferiscono le aspettative a livelli superiori di governo o, più precisamente, a livello della c.d. governance che anche quando riesce a risolvere in fatto qualche problema viene accusata di mancanza di legittimazione democratica. Emblematico quello che scrive al riguardo il Documento di riflessione sul futuri delle finanze europee del 28 giugno u.s.: “i cittadini europei si aspettano che l’Europa eserciti un ruolo di leadership nel mondo, per governare gli effetti della globalizzazione, per difendere un ordine fondato sulle regole, per avere una buona governance e anche democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani, sviluppo sostenibile, stabilità e sicurezza nelle sue immediate vicinanze”. Vaste programme – avrebbe detto De Gaulle – ma del tutto velleitario con un bilancio comune pari allo 0,98% del PIL dell’Unione.
Sul punto si è soffermato anche il Presidente della Commissione Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione ed ha avanzato due proposte specifiche, secondo me, del tutto inidonee a risolvere il problema. La creazione del ministro europeo dell’economia e delle finanze a cui vorrebbe assegnare anche la presidenza dell’eurogruppo. Il MEEF formalmente sarebbe vice-presidente della CE e avrebbe uno status di alto rappresentante analogo a quello per la politica estera. Juncker ha proposto inoltre la eliminazione del Presidente del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo e l’assegnazione delle sue funzioni al Presidente della Commissione europea.
Entrambe le proposte mi vedono contrario in primis perché svalutano l’idea che la Commissione sia o debba essere il vero governo politico ed economico della UE. Infatti se da un lato far presiedere l’Eurogruppo al Presidente della commissione rafforza il ruolo di quest’ultima, dall’altro assegnarle il ruolo di presidente, rectius, di “segretario” del Consiglio europeo I consoliderebbe in fatto la posizione di subordinazione della Commissione al Consiglio e non viceversa.
Analogamente tirare fuori dalla Commissione in fatto il MEEF anche presidente dell’eurogruppo significa svuotare o ridurre ai minimi termini il ruolo della Commissione. Da questo punto di vista, la proposta in buona sostanza non è molto diversa da quella di affidare il controllo dei bilanci nazionali all’attuale Meccanismo europeo di stabilità. Entrambe le misure non si avvicinano ma si allontano dall’obiettivo di creare al centro dell’Unione un vero e proprio governo politico ed economico di stampo federale. E’ questo il vero problema da risolvere oggi nell’assetto ibrido delle istituzioni europee e tale obiettivo non può essere conseguito senza abrogare il Consiglio europeo I.
C’è, secondo me, un’altra proposta veramente innovativa che potrebbe maturare in seguito alla non auspicabile uscita del Regno Unito dall’UE. Se malauguratamente la Brexit dovesse avvenire sul serio i 73 seggi di parlamentari inglesi non dovrebbero essere utilizzati per creare dei collegi elettorali genuinamente europei e con la stessa legge elettorale, con libertà di qualsiasi cittadino di candidarsi nel collegio di sua scelta – obiettivo valido e da perseguire per tutti i membri del PE per evitare una differenziazione anche per un periodo transitorio – ma potrebbero essere utilizzati per creare un vero e proprio Senato federale assegnando tre senatori a ciascuno dei 27 PM rimanenti. Naturalmente, come già detto, previa abrogazione del Consiglio europeo supremo e conseguente potenziamento delle competenze legislative del Parlamento e del Senato dopo una più attenta suddivisione delle medesime tra PE e parlamenti dei PM. Certo questa proposta richiede necessariamente la riapertura del cantiere delle riforme istituzionali e la conseguente riforma dei Trattati. Anche le confuse riforme proposte dal Presidente Juncker lo richiedono ma se riforma dei Trattati deve esserci, ci sia per far fare, al più presto possibile, un salto di qualità alle istituzioni europee.
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