Ha vinto il no. Ha vinto Tsipras e ha perso la Merkel. Magari le cose fossero così semplici. Da ultimo il governo greco ha chiesto una ristrutturazione del suo debito pubblico nell’ordine del 30%; inoltre ha chiesto ripetutamente il cambio della politica economica dell’austerità. Secondo me, è questo l’obiettivo o che conta di più. Un obiettivo che va meglio precisato e che in teoria potrebbe raccogliere un consenso maggiore di quello che si può ottenere su un ulteriore taglio del debito pubblico dopo i primi due e dopo che, negli anni scorsi, tale misura è stata negata ad altri paesi membri (PM) in condizioni analoghe. A parte il debito in mano alla BCE che non può essere ristrutturato secondo Statuto, il motivo che mi porta a questa conclusione é che, con o senza tagli più o meno consistenti, il residuo debito pubblico rimane non sostenibile se l’economia non riprende il sentiero di una crescita sostenuta e sostenibile.
In teoria non c’è un limite assoluto al debito pubblico – come dimostra il caso del Giappone – se le risorse raccolte vengono utilizzate per migliorare l’efficienza allocativa e la produttività del fattori. Ma il vincolo stupido dei Trattati (Maastricht, Fiscal Compact e Regolamenti annessi e connessi) non riguarda nello specifico il debito pubblico. Riguarda il deficit corrente che impropriamente contabilizza le spese in conto capitale. In realtà nel Trattato di Maastricht c’è anche il vincolo del 60% individuato come media dei PM virtuosi sul finire degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del secolo scorso. Tale vincolo ormai è superato dalla nuova media che si colloca al di sopra del 90% ma il problema è che la dinamica del debito viene governata attraverso il contenimento del deficit corrente aggiustato per il ciclo e l’output gap. In modo molto semplificato chiarisco che l’output gap è la differenza tra il tasso di crescita effettiva di un’economia e la crescita potenziale che si potrebbe realizzare se tutti i fattori produttivi fossero appropriatamente utilizzati alla produttività data. Output Gap viene utilizzato come variabile strumentale per aumentare o ridurre la flessibilità rispetto all’obbligo di rispettare il vincolo del 3% sul deficit. In pratica più alto è l’output gap e maggiore è la flessibilità che la famigerata Troika può dare ai PM in difficoltà. Senonché , secondo le regole del Fiscal Compact, del Two Pack e del Six Pack, per i PM in difficoltà si determina un circolo vizioso, per cui l’output gap si riduce nei limiti in cui il paese non può fare investimenti mentre si allarga per i paesi che hanno margini per aumentare gli investimenti, l’efficienza e la produttività. A parte le differenze statistiche che emergono nei calcoli delle diverse variabili in gioco nel definire il deficit strutturale aggiustato, i moltiplicatori e quant’altro, dette regole stanno mostrando la corda e, se applicate in maniera rigida, portano più ad una divaricazione crescente che alla convergenza delle economie dei PM. Per questi motivi, il vero problema della Grecia e dell’Italia non è austerità si o austerità no. In primo luogo, bisogna battersi per la modifica delle regole che devono consentire la c.d. Golden rule, ossia, non contabilizzare nel deficit corrente gli investimenti in conto capitale. Questo consentirebbe di mantenere l’austerità ossia le gestione più rigorosa della spesa pubblica corrente attraverso una seria spending review. Finora l’Italia non è riuscita a farla e sono prevalsi i c.d. tagli lineari che non migliorano l’efficienza allocativa complessiva. Negli ultimi anni l’Italia ha rispettato in media il vincolo del 3% ma sacrificando la crescita del reddito e aggravando la situazione dell’occupazione. L’Italia ha l’accesso ai mercati ma non può indebitarsi per fare investimenti pubblici. Con l’allentamento monetario della BCE , assunto con 5 anni di ritardo, c’é un mare di liquidità ma questa non può essere utilizzata da i Pm euromed che ne avrebbero maggior bisogno. Meno che mai dalla Grecia. Entrambi i paesi hanno bisogno di un programma di massicci investimenti pubblici che possano sostenere l’occupazione e trainare anche quelli privati. L’Italia conserva l’accesso al mercato del debito pubblico e basterebbe una deroga che attui la golden rule per potere procedere. La Grecia paga tassi insostenibili e perderebbe ogni accesso ai mercati se non si raggiunge un accordo di medio lungo termine perché deve ristrutturare non solo il debito pubblico ma tutta l’economia. Alla Grecia serve un piano straordinario del tipo Piano Marshal che preveda massicci investimenti pubblici e privati in grado di recuperare il 25% del PIL perduto, aumentare consistentemente l’occupazione e rovesciare il trend storico dalla divergenza alla convergenza con le economie degli altri PM. La Grecia – come del resto altri PM c.d. periferici – non può fare questo da sola. Come è stato proposto nel 2011-12 intanto si potrebbero anticipare alla Grecia tutti i fondi strutturali che le spettano dal bilancio comunitario 2014-2020, riservare una quota consistente degli investimenti della Banca europea degli investimenti e del Piano Juncker. E non basta. La Grecia non può pagare interessi che incorporano uno spread ben al di sopra del 10%. Bisogna consentirle di emettere debito con una garanzia comunitaria da approntare subito. Non si tratterebbe di trasferimenti solidali a fondo perduto. Si tratta di trasferimenti compensativi per superare handicap straordinari che si sono determinati non solo per la cattiva gestione dei governanti degli ultimi decenni ma anche per la inadeguatezza dei meccanismi che regolano il grande mercato unico e non solo la moneta unica. Se in 58 anni di mercato comune, non poche economie periferiche non convergono e se la disciplina della moneta unica sta aggravando la situazione , bisogna sottoporre a revisione tutta l’attuale governance politica ed economica se l’Unione vuole essere inclusiva e non cominciare a perdere pezzi.