Che grandi giornali come il New York Times, Il Wall Street Journal e il Financial Times abbiano corrispondenze dall’Italia che affermino l’impotanza strategica del referendum d’autunno sulla riforma costituzionale e che l’eventuale esito negativo sia più pericoloso di quello del 23 giugno sulla Brexit è, secondo me, frutto di fantasia di corrispondenti supplenti a corto di notizie che ricamano sui comunicati di agenzie più o meno accreditate. L’idea sarebbe stata innescata dai nuovi dati Istat sulla crescita zero del secondo trimestre pubblicati dall’Istat la settimana scorsa. Ma si tratta di dati previsti e prevedibili dopo che nelle settimane precedenti erano usciti quelli sulla produzione industriale. Non sono dati tali da far pensare ad una scossa di terremoto di alta magnitudine.
Si tratta di un giallo d’Estate? Secondo me, no. No perchè non c’è l’elemento incognito e non c’è fin’ora neanche la sorpresa finale.
Si tratta del solito complotto delle logge massoniche internazionali ? no perchè per ipotesi i complotti si ordiscono per defenestrare il governo del paese e, in questo caso, il complotto sembrerebbe preordinato ad aiutare quello in carica. Ma i tempi sono cambiati….
Si tratta di attacchi speculativi dei soliti finanzieri d’assalto ? no. Nonostante che ieri Soros abbia venduto la sua partecipazione in Ferrari e il titolo abbia subito una certa perdita. Poi anche le altre borse europee hanno chiuso tutte in calo non certo per la piccola manovra di Soros ma perchè il presidente della Federal Reserve di New York ha fatto capire che la Federal Reserve Bank degli Stati Uniti potrebbe aumentare a breve i tassi di ineresse.
Risibile mi sembrano le considerazioni del New York Times quando afferma che se il referendum boccia la riforma costituzionale non si capirà più chi comanda in Italia. A parte il fatto che chi comanda dipende più dal sistema elettorale piuttosto che dalla riforma costituzionale , adesso, sappiamo che comanda Renzi ma le cose da due anni e mezzo non funzionano come dovrebbero. Il giornale di New York suggerisce al nostro primo ministro di chiedere a Bruxelles magggiore flessibilità per potere fare una manovra più decisa a favore della crescita. Non si rende conto che la flessibilità può concedere alcuni miliardi in più rispetto a quelli già concessi, mentre una manovra forte a favore della crescita richiede diverse decine di miliardi per avere qualche possibilità di successo. In mancanza della quale, il New York Times paventa che l’eventuale crisi del governo italiano farebbe traballare tutto l’edificio istituzionale della UE. Apprendiamo così che d’Estate anche il New York Times le spara grosse. Il fatto di non sapere chi comanderà nel futuro in Italia è semplicemente farsesco. Il New York Times sa bene che la politica economica finanziaria è decisa a Berlino , Francoforte e a Bruxelles dove mettono i timbri e detta politica è fortemente influenzata non più dagli gnomi di Zurigo ma da quelli di New York che il N.Y. Times e il Wall Street Journal conoscono bene perchè abitano nelle porte accanto.
Rampini di Repubblica non fa alcuna valutazione critica di queste affermazioni e cita pure l’opinione del giornale spagnolo El Pais che ha definito l’Italia “la grande malata d’Europa”. Come se la Spagna senza governo da oltre 8 mesi e con un tasso di disoccupazione quasi doppio di quello italiano godesse di ottima salute – anche se la sua crescita economica è superiore a quella italiana. Ma il paradosso è che si teme la crisi politica italiana e Rampini non dice niente su quella spagnola che sembra aver raggiunto il massimo di instabilità politica. Non ci si rende conto che quelli di Roma e Madrid sono governi regionali che non contano più di tanto perchè l’UE ,bene o male, più bene che male, comunque, assicura un assetto istituzionale che consente di ammortizzare le crisi politiche locali. Nessuno ricorda che nel cuore dell’UE il Belgio è rimasto senza governo per due anni e mezzo e non è successo niente di grave.
È vero che in teoria una modifica delle procedure di scelta pubblica tesa a rendere più semplice e spedito il processo legislativo può avere influenza anche sui contenuti delle scelte e sulla tempistica degli effetti ma bisogna precisare il contesto in cui esse vengono assunte. Un simile semplificazione e accelerazione del procedimento sarebbe più utile a Bruxelles dove secondo i calcoli del Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz i tempi medi per una decisione importante a livello centrale oscillano attorno ai due anni e mezzo. L’Italia, come altri paesi membri della UE, non ha più autonomia decisionale checchè ne dica il governo. Le decisioni di politica economica sono assunte e monitorate continuaente a livello centrale. Possono essere introdotte piccole varianti e/o margini di flessibilità comunque autorizzati dal centro ma non possono cambiare il segno complessivo (nel caso di specie: restrittivo) della politica finanziaria che deve perseguire con priorità massima il consolidamento dei conti pubblici. Per fare questo servirebbero solo direttive amministrative o modifiche regolamentari . E’ questo che non riescono a capire alcuni corrispondenti esteri e, per la verità, neanche alcuni di quelli europei. L’UE sul piano formale non è ancora uno Stato federale ma non è solo una zona di libero scambio , un mercato comune, una Comunità. È molto di più per via delle quattro libertà fondamentali di libera circolazione per le persone, le merci, i capitali e le imprese. I cittadini dei paesi membri sono cittadini europei ma molti non lo sanno neanche.
La confusione nasce anche dal fatto che il Parlamento Europeo approva formalmente direttive e raccomandazioni mentre i Parlamenti nazionali approvano leggi e riforme costituzionali. Le direttive e raccomandazioni del Parlamento europeo non sono immediatamente applicabili ai cittadini europei . Devono preliminarmente essere recepite nei sistemi legislativi nazionali. Si tratta di un sistema normativo bizantino, difficile da spiegare ai corrispondenti stranieri e agli stessi cittadini europei ignari di sistemi legislativi comparati. A questo proposito, per contro, non è difficile spiegare il pasticcio della riforma costituzionale sul punto specifico del modo di legiferare. L’art. 70 della costituzione vigente è composto da sole nove parole: “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, ora cancellato perchè poduceva la famigerata navetta perditempo. Il nuovo art. 70 contiene 432 parole e, secondo gli esperti, prevede circa dieci procedimenti legislativi diversi, che non possiamo citare qui. Il Senato non è abrogato e può interferire su un elenco non breve di materie. Se questa è semplificazione !
Ma produrre leggi a mezzo di leggi non significa influire sul serio sulle scelte ecnomiche o sui comportamenti delle persone. Bisogna tenere conto anche del contesto istituzionale internazionale fragile e confuso dove la fanno da padroni l’alta finanza e le società di rating “oggettivate” con la sigla del mercati finanziari. In un modo o nell’altro, in non pochi casi, gli gnomi di Wall Street riescono a condizionare le scelte di politica economica non solo dei governi locali ma anche di quelle di grandi aggregazioni regionali comme la UE. La cosa non deve meravigliare perchè se Wall Street riesce a condizionare il Congresso e la Presidenza degli Stati uniti , è chiaro che il gioco è più facile quando si tratta di Paesi di piccola e media grandezza oppure di grandi aggregazioni con classi dirigenti deboli e confuse, con livelli di coesione sociale scarsi o nulli.
Mi si potrebbe obiettare che i Paesi Membri della UE e, in particolare, quelli della eurozona, presi insieme non sono un aggregato di piccola e media dimensione. È vero. In teoria essi avrebbero il peso necessario per esercitare un ruolo molto significativo se solo lo volessero. Non lo fanno perchè, come detto, non c’è coesione e/o comunanza di interessi politici ed economici all’interno della Commissione, dell’Eurogruppo, del Consiglio europeo. L’interesse comune in fatto c’è ma non viene percepito come tale. Prevale la linea ideologica a favore della concorrenza a tutti i livelli e quella della riduzione del perimetro dell’intervento pubblico nell’economia e nei mercati perchè la stragrande maggioranza degli attuali governanti ritiene che i fallimenti dello Stato sono più gravi di quelli del mercato. In un contesto del genere, i mercati o meglio gli attori più forti che in essi operano hanno mano libera. Se vogliono possono piegare la resistenza di qualsiasi paese di piccola o media dimensione. In alcuni casi, per un motivo o per un altro, gli stessi alleati politici o si nascondono dietro questo alibi del potere dei mercati o minacciano di lasciare i propri alleati in preda ai mercati se non si allineano al volere della maggioranza.
Il pezzo di Rampini riassume al meglio la posizione dei giornali citati. Peccato che uno come lui che conosce bene il contesto europeo e internazionale che ha scritto libri interessanti sulla banche e sulla finanza rapace, concludendo, anche lui sposi la tesi secondo cui la bocciatura della riforma costituzionale sarebbe una “Brexit al quadrato”. Il quadrato di che, se ancora gli effetti del referendum non sono noti? Non si rende conto che mettendola così, gli inglesi potrebbero prenderla come una grave offesa.