L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia.

Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, La Repubblica, 2019 (edizione originale Oxford University Press, 2017).

 A scanso di equivoci, Nichols asserisce che “la fine della competenza non è il crollo delle capacità professionali dei tecnici, dei medici, ingegneri, scienziati…., è il rifiuto della scienza e della razionalità obiettiva che costituiscono le fondamenta della civiltà moderna”. Il problema grave – continua Nichols – è l’emergere di una ostilità assoluta nei confronti dei saperi”. Premesso che trovo il libro un ottimo lavoro – ricco di aneddoti anche divertenti – che spiega i rischi che la democrazia corre, in prima istanza, osservo che la locuzione “fine della competenza” mi sembra alquanto inappropriata perché può far pensare che prima di questa ondata populista la competenza fosse diffusa o altamente rispettata o tenuta in grande considerazione da parte del popolo. Non mi sembra che sia mai stato così. Platone non casualmente teorizzava la repubblica dei filosofi anche in un cotesto in cui i diritti di cittadinanza erano molto ristretti. Forse nel Rinascimento e nel secolo dei Lumi gli scienziati sono stati tenuti in notevole considerazione. Né mi sembra appropriato sostenere che ci sia una correlazione diretta tra innalzamento del livello di istruzione delle masse e approfondimento delle tematiche della politica. Ilya Somin nel suo libro del 2013 ha affermato, anche sulla base di analisi statistiche anche dei sondaggi, come non sia dubitabile che nel ventesimo secolo il livello generale di istruzione sia consistentemente migliorato ma questo non ha portato ad un notevole miglioramento delle conoscenze dei complessi problemi politici. Né mi sembra appropriato teorizzare una correlazione tra il populismo degli ultimi decenni e l’adozione del suffragio universale che ha generalizzato il diritto di voto prima per gli uomini e poi per le donne. Non a caso Nichols pone in testa all’introduzione del suo pregevole libro la seguente frase di Isaac Asimov: “Negli Stati Uniti c’è un culto dell’ignoranza, e c’è sempre stato. Le sollecitazioni dell’anti-intellettualismo sono un filo rosso che si snoda attraverso la nostra vita politica e culturale, nutrito dalla convinzione che la democrazia significhi che “la mia ignoranza vale quanto la tua ignoranza”. È un fatto che questo slogan è ora fortemente valorizzato dai populisti nostrani quando affermano: “uno vale uno”. In ciò favoriti dalla presente era delle comunicazioni di massa. I populisti procedono per continue ed insistite semplificazioni dei problemi complessi e accreditano l’idea che “ogni parere va preso come verità” e che non c’è alcuna differenza tra il parere dell’uomo della strada e quello di scienziati, professionisti, tecnici, intellettuali ed esperti.  Questo porta all’effetto Dunning-Kruger al “fenomeno per cui più si è ottusi più si è convinti di non esserlo”, alias, “tutti ci sopravvalutiamo ma i meno competenti lo fanno più degli altri”. In barba alla “metacognizione che è la capacità di sapere quando non si è bravi in qualche cosa, di arretrare di un passo, osservare ciò che si sta facendo e così rendersi conto che lo si sta facendo male”.

Il miglioramento del livello generale dell’istruzione non lascia senza colpe colleges ed università americane che competono per accaparrarsi le risorse che le famiglie impiegano nella formazione dei loro figli, ed anche grazie al diffuso meccanismo dei prestiti agli studenti. Secondo Nichols, l’aspra competizione si svolge non tanto sulla qualità dell’insegnamento ma vieppiù sulla qualità dei servizi collaterali alla istruzione vera e propria: comodità degli alloggi, offerta di servizi ricreativi, sportivi, ecc.  tutti mirati a rendere maggiormente confortevole il soggiorno degli studenti nei collegi e nelle università.  Nichols cita anche Bernie Sanders che commentando la situazione dell’istruzione superiore ha avuto modo di dire che il voto massimo di oggi non è uguale a quello del 1960. Non è affatto comparabile ed ha aggiunto che una laurea di oggi equivale a suo giudizio a un diploma di scuola secondaria di 60 anni fa. Si arriva anche al fenomeno dei genitori elicottero, quelli che spostano la loro residenza nelle città dove studiano i figli dopo aver fatto lunghi viaggi e confronti tra sedi universitarie diverse quanto a gradevolezza dei campus e dotazione di attrezzature.   Genitori e studenti pagano rette molto alte e se spendono molto pretendono anche voti più alti.  Negli USA si è affermato un modello di istruzione industriale di massa con buona pace della missione storica ed ideale dell’università che è quella di produrre pensiero critico che – aggiunge Nichols – non è critica incessante (o aprioristica).

Nel cap. IV Nichols si occupa con grande maestria del ruolo di Google e dell’informazione illimitata che ci rende più stupidi. Il 90% di quello che trovi su internet è spazzatura cita da Sturgeon. E aggiunge “internet permette ad un miliardo di fiori di sbocciare ma la maggior parte di loro puzza”. E continua: “non è quello che non sai che ti fa male, è quello che sai e che non è vero”. E torna sull’effetto Dunning-Kruger: “le persone meno competenti tra coloro che navigano il web sono quelle che hanno meno probabilità di rendersene conto”. Il web ci sommerge di fake news e “purtroppo pensare di essere intelligenti perché si è cercato qualcosa su internet è come pensare di essere bravi nuotatori perché ci si è bagnati camminando sotto la pioggia”.

Nel cap. V Nichols tira in ballo il “nuovo new journalism”.  Via internet la disinformazione si diffonde molto più velocemente e resta in circolazione molto più a lungo producendo effetti deleteri tipo: l’ho letto sul giornale e quindi è vero. Poi si sono diffuse forme di informazione (come anche molti talk shaw italiani), ossia, “un misto di intrattenimento, notizie, saccenteria e partecipazione dei cittadini che sono un garbuglio caotico che non informa la gente ma crea l’illusione di essere informati”. In Italia simili trasmissioni si protraggono per 2-3 ore e anche oltre durante le quali è difficile mantenere viva l’attenzione anche perché quando sembra che qualcuno cerca di entrare nel merito dei problemi analizzati, non di rado, i conduttori interrompono il discorso propinando un servizio dall’esterno o introducendo uno stacco pubblicitario. Per difendersi dal bombardamento di notizie false o poco attendibili Nichols propone una “dieta equilibrata di notizie” non senza notare che, non di rado, i cittadini più disinformati si trasformano negli hooligans di Mounk (2018) quelli che difendono il gruppo politico a cui appartengono come i tifosi tifano per la propria squadra di calcio a prescindere.

Come abbiamo visto sopra, Nichols distingue tra scienziati, tecnici, professionisti ed esperti. Nel cap. VI si chiede che cosa succede quando gli esperti sbagliano. Cita un aforisma di Bertrand Russell il quale dice che “allorquando gli esperti sono tutti d’accordo, potrebbero benissimo sbagliarsi”. Succede quando si cercano soluzioni o spiegazioni a problemi molto complessi di teoria e pratica e succede molto più spesso quando gli esperti vengono chiamati a predire sviluppi futuri di certi problemi. Nichols giustamente precisa che scopo della scienza è quello di spiegare, non di predire. D’accordo, gli esperti non sono infallibili ma screditarli in tutto e per tutto è sbagliato. Ma è anche erroneo e dannoso per la società che gli sbagli e le previsioni che non si avverano siano spesso utilizzati dai populisti per screditare scienziati ed esperti. In questo modo viene meno la fiducia tra esperti e cittadini e quando questo avviene sono guai per il processo democratico. Il processo degenera sino al tal punto che “le persone sentono quello che vogliono sentire e poi smettono di ascoltare…”. Aumentano i rischi per la democrazia: se a furia di semplificazioni votano gli incompetenti, è più alta la probabilità che coerentemente con le semplificazioni che hanno propalato i leader populisti e sovranisti assumano le decisioni sbagliate e aprano la strada o all’isolazionismo e alla politica di potenza – vedi il caso di Trump – oppure a soluzioni tecnocratiche e/o autoritarie che tendenzialmente possono fare a meno del voto. In Italia questo è successo nei primi anni 20 e in Germania negli anni 30 del secolo scorso, ma quanta gente comune ha memoria storica di quegli eventi?  Al riguardo Nichols sostiene che gli USA sono una Repubblica e non una democrazia. Come noto, una repubblica è una forma di Stato che in prima istanza è succeduta alle monarchie assolute e/o costituzionali con suffragio limitato. Nichols precisa che “i profani dimenticano fin troppo facilmente che la forma repubblicana di governo sotto cui vivono non è stata pensata perché fossero le masse a prendere decisioni sui problemi complicati. Ovviamente – continua Nichols – non è stata pensata neppure perché a governare fosse un minuscolo gruppo di tecnocrati o di esperti, ma per essere il veicolo attraverso cui un elettorato informato – e “informato” è la parola chiave – poteva scegliere altre persone che lo rappresentassero o prendessero decisioni in sua vece”. Quindi stiamo parlando di una democrazia rappresentativa dove si assume che la rappresentanza sia altamente qualificata e non composta da persone che vengono selezionate sulla base della fedeltà al leader del gruppo a cui aderiscono e i cittadini bene informati.  Quindi leaderismo e personalizzazione della politica sono segnali forti della malattia di uno assetto democratico. Si tratta di un serpente velenoso che si annida nel seno della democrazia, prima o poi morde e uccide la democrazia. Né il problema si risolve creando delle reti più o meno ampie e consultando la rete attraverso sondaggi che scimmiottano strumenti di democrazia diretta. Per fare l’esempio della piattaforma Rousseau adottata dal M5S, è noto che non c’è trasparenza, non è detto che tra i componenti della rete prevalgano persone qualificate ed esperti della materia su cui si praticano i sondaggi. Inoltre non va dimenticato che oltre a organizzare la difesa e l’ordine pubblico, l’operatore pubblico ai vari livelli organizza la produzione di beni pubblici essenziali come istruzione, sanità, previdenza e svolge una complessa attività di regolazione di certe attività private. Prendere delle decisioni ponderate in tutte queste materie è affare ben diverso di fare un sondaggio per sapere quale l’opinione prevalente di un gruppo (o di una rete) su un certo problema da risolvere. I sondaggi e/o le consultazioni dirette – vedi referendum sulle cellule staminali embrionali del giugno 20025 a cui partecipò solo il 25% dei cittadini – non si addicono alla democrazia di massa basata sul suffragio universale e a contesti di forte interdipendenza tra i paesi impegnati in tortuosi processi di integrazione economica e politica come nel caso dell’Unione europea dove notoriamente si registra un forte deficit democratico e, di conseguenza, una spinta tecnocratica e autoritaria, dove il Parlamento ha limitati poteri legislativi, dove la Commissione cumula in modo inappropriato poteri legislativi, esecutivi e giudiziari e il tutto è sottoposto al via libera del Consiglio europeo composti da Capi di Stato e di governo dei paesi membri.

Nelle conclusioni Nichols osserva che negli Stati Uniti la gente vota i personaggi che le piacciono a prescindere da quello che essa stessa e i candidai vogliono. È chiaro che in questo modo il modello agente-principale che alcuni sociologi adottano per spiegare il mandato parlamentare non può funzionare. Non ultimo, gli americani pensano alla democrazia come ad uno stato di effettiva uguaglianza. Nichols cita il politologo inglese C.S. Lewis che in un saggio del 1959 aveva già chiarito che la gente comune non distingue tra uguaglianza politica ed uguaglianza effettiva a tutto tondo che include la capacità di pensiero critico ed autocritico che abbiamo visto sopra. Cita anche Traub che richiama la situazione in cui ci si viene a trovare quando la gente si illude che il compito della leadership è disilluderla”. Ma quali leader politici contemporanei – specialmente se anche loro incompetenti – sono capaci di fare una cosa del genere? Non ultimo bisogna considerare che gli esperti non possono costringere i cittadini a prestare attenzione al mondo che li circonda. E anche per questo motivo si registra un’ascesa di politici demagoghi ed ignoranti negli USA e in Europa che in parte significativa condizionano il processo democratico al di qua e al di là dell’Atlantico. Nichols resta ottimista sul futuro perché conta su un ruolo più attivo delle elites che, però, devono ricordare che ogni voto è uguale, non ogni opinione. Anche gli esperti dovrebbero ricordare che sono i servitori non i padroni di una società democratica, che non sempre i loro pareri possono essere accolti dai legislatori e – aggiungo io – che far funzionare bene una democrazia richiede grandi sforzi di attenta analisi dei problemi da parte di tutti i cittadini. E purtroppo molti di questi o non hanno il tempo o la voglia di occuparsene.

Ilya Somin, Democracy and political ignorance. Why smaller government is smarter, Stanford Law Book, Stanford University Press, 2013. Mia recensione in http://enzorusso.blog/2018/08/10/democrazia-malata-2/

Yascha Mounk, Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale. Feltrinelli, Serie Bianca, 2018. http://enzorusso.blog/wp-admin/post.php?post=905&action=edit

1 commento
  1. Lorenzo D’Ambrosi
    Lorenzo D’Ambrosi dice:

    Non sono in grado di partecipare alla discussione, ma dopo aver letto, con molto interesse la particolareggiata recensione, ho deciso di segnalarla ad alcuni amici ed acquistare il libro.
    Complimenti!

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