Appunti per un dibattito più serio sul MES

Il MES (meccanismo per la stabilità dell’Eurozona, alias, fondo salva Stati) nasce nel 2010 come evoluzione della EFSF (strumento per la stabilità finanziaria europea) per offrire assistenza finanziaria sulla base di un emendamento all’art. 136 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Questo dice che i Paesi membri PM dell’Eurozona “possono attivare il meccanismo se indispensabile per la salvaguardia della stabilità dell’eurozona nel suo insieme e che la necessaria assistenza finanziaria richiesta sarà assoggettata a precisa condizionalità”.

Chiariamo subito che la missione fondamentale del MES è garantire la stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme e che stabilizzazione finanziaria non significa quella del ciclo economico che resta compito delle politiche economiche dei Paesi Membri (PM). La dotazione iniziale di risorse da prestare ai PM che lo richiedano fu fissata in 500 miliardi ed è stata incrementata successivamente.

L’art. 12 prevede le condizionalità che il MES può collegare alle due principali linee di credito attivabili su richiesta di un PM in difficoltà: a)  le PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line), che comportano una condizionalità attenuata; e linee di credito rafforzate, ECCL (Enhanced Conditions Credit Line), dove la condizionalità è relativamente maggiore ma sempre concordata nel Memorandum d’intesa.

L’art. 13 prevede i termini della condizionalità che sono concordati all’interno di un Memorandum di intesa tra il paese richiedente assistenza e il MES anche attraverso le c.d. Clausole di azione collettiva a suo tempo fissate dall’Eurogruppo il 28-11-2010. La procedura di richiesta di assistenza da parte degli PM scatta dopo che si sia accertata l’esistenza di un rischio per la stabilità dell’area euro o di uno o più PM. È prevista anche la possibilità di partecipazione del Fondo monetario internazionale FMI in ragione della sua storica esperienza in materia.

L’art. 14 prevede la precautionary financial assistance, ossia, l’assistenza finanziaria precauzionale tesa a prevenire le crisi che, se non affrontate tempestivamente, di norma, portano alla perdita dell’accesso ai mercati finanziari come è successo alla Grecia. Il programma di assistenza preventiva viene elaborato dal Consiglio e dal Direttore del MES sulla base di un Report preparato dalla Commissione europea. Dopo un primo utilizzo delle risorse (prestito oppure il ricavo di un acquisto di titoli del DP (debito pubblico) emessi dal PM richiedente nel mercato primario) il MES d’intesa con la Commissione europea e con la BCE decidono se la linea di credito aperta è sufficiente per continuare oppure se occorre attivare altri strumenti di assistenza finanziaria. Credo che anche da questa sintesi dell’art 14 emerge chiaramente come l’alternativa proposta da alcuni critici del MES (BCE si MES no) è mal posta e infondata. La BCE è comunque coinvolta. Il MES interviene con operazioni analoghe che fa la BCE. Ma c’è di più, senza un intervento preliminare del MES, la BCE non potrebbe attivare le Outright Monetary Transactions OMT che prevedono acquisti illimitati di titoli del debito pubblico di PM in difficoltà nonostante i primi interventi del MES.   È coinvolta soprattutto la Commissione che è organo di governo che deve prevenire i rischi di crisi sistemiche della stabilità dell’Eurozona innescati da uno o più PM per motivi diversi, cause simmetriche e asimmetriche.  Rebus sic stantibus, il rifiuto di avvalersi degli strumenti di assistenza del MES sarebbe un suicidio.

L’Art. 15 prevede l’utilizzo di linee di credito attivabili dal MES per la ricapitalizzazione di istituzioni finanziarie dei PM. Questi prestiti vengono concessi seguendo la stessa procedura riassunta nell’art. 14: Memorandum d’intesa tra MES e PM richiedenti a seguito di un Report della Commissione europea.

L’art. 16 è rubricato come prestiti (diretti) del MES ed è probabilmente l’articolo che i suoi contestatori hanno in mente quando attaccano questa istituzione. Non lo dicono perché molti di loro non hanno letto il Trattato e parlano per sentito dire. Ai sensi dell’art. 16 il MES offre i suoi prestiti in cambio di programmi di aggiustamenti macro-economici concordati nel Memorandum d’intesa definito anche questo sulla base di un Report della Commissione europea che, di noma, propone le famigerate riforme strutturali. È questa la odiata condizionalità che esponenti dell’opposizione non vogliono trascurando che squilibri macroeconomici nei conti pubblici, nella bilancia dei pagamenti, prima o poi, creano rischi di instabilità non solo per il paese che li ha causati o subiti ma anche per l’area euro nel suo insieme. Trascurando che nella Commissione e nello stesso Board del MES e della BCE ogni PM ha i suoi rappresentanti e che nel MES l’Italia, come la Francia e la Germania, ha potere di veto in ragione dell’entità della sua quota di partecipazione e del suo voto per i casi di particolare urgenza. Trascurando che in una istituzione sovranazionale e anche in uno Stato federale vero e proprio uno Stato federato non ottiene aiuti ad libitum senza alcuna condizionalità. Non pochi Italiani credono nelle favole e nella Fata Misericordiosa che li deve assistere comunque a prescindere da ogni valutazione di merito di credito. E’ noto che non pochi italiani sono creduloni e, per questo motivo, politici disinvolti dell’opposizione e anche del M5S hanno gioco facile a continuare ad ingannare i loro stessi elettori.  Chiusa la parentesi, ribadisco che questa appena descritta è la missione fondamentale del MES: assistenza finanziaria ai PM dell’Eurozona aprendo linee di   credito, acquistando titoli del debito pubblico emessi dai PM in difficoltà che ne fanno richiesta, offrendo direttamente prestiti ai sensi dell’art. 16 citato. Da ultimo il MES è stato autorizzato ad aprire una linea di credito per le spese sanitarie dirette ed indirette provocate dal Covid-19 ma per carità non solo l’opposizione ma neanche il governo vuole avvalersi di essa. 

Come previsto dall’art. 21 del Trattato, il MES si procura la liquidità per svolgere la sua missione emettendo titoli da piazzare nei mercati finanziari, indebitandosi con banche, con istituzioni finanziarie o “con altre persone o istituzioni” – sì proprio così. Detto in altre parole, a ben riflettere il ruolo del MES è quello di un Ufficio del Tesoro e/o del debito pubblico che fa quello che attualmente non possono fare la Commissione europea e la BCE. Se questo è vero, è del tutto infondata la demonizzazione che del MES si è fatta in Italia. Di certo, porta lo stigma del caso Grecia ma pochi sanno o ricordano che a prescrivere quelle operazioni non era il solo MES. Dietro e sopra di esso c’era la Troika formata da delegati della BCE, FMI e CE. E sappiamo ancora chi c’era dietro e sopra la stessa Troika: il Consiglio europeo e l’Eurogruppo.  E se l’Italia non avesse voluto il massacro della Grecia avrebbe potuto porre il veto. Ma non l’ha fatto.

Venendo brevemente alle questioni urgenti sul tavolo: come trovare le ingenti risorse per finanziare il rilancio della crescita che, in questa fase, si collega alla riconversione ecologica e alla digitalizzazione dell’economia, ai fabbisogni straordinari di finanziamento degli ammortizzatori sociali, allo sviluppo sostenibile, in sintesi, ai cosiddetti Recovery Bond ed ora anche ad un aggiuntivo e/o collaterale strumento di trasferimenti a fondo perduto, collegati al  QFP (Quadro finanziario poliennale)  non ancora approvato è stato posto e sollevato anche dalla Presidente della CE Ursula Von Der Leyen la questione di soluzioni ponte nel suo recente discorso davanti al PE. Se si dovesse prendere sul serio la proposta di una soluzione ponte non vedo altra soluzione “tempestiva” che l’utilizzo del MES che, nel giro di qualche mese, potrebbe essere autorizzato ad aprire nuove linee di credito previa emissione dei famigerati eurobond. Ogni altra soluzione rischia di slittare alla Primavera 2021 se non oltre.    

Ancora non sappiamo cosa significhi esattamente l’aggancio del Recovery Fund al QFP (non un vero bilancio come a disposizione di ogni governo di un paese centralizzato o decentralizzato). Secondo me, non significa granché o meglio può significare che il servizio del debito pubblico emesso dal Fondo sarà finanziato con i contributi dei PM al QFP – ancora non approvato. La cosa non cambia radicalmente rispetto al modo in cui viene finanziato il MES. Agganciare l’emissione di eurobond alla contestuale costituzione di una capacità fiscale all’interno del bilancio come alcuni propongono è proposta  fumosa per due motivi principali: 1) richiede tempi lunghi per raggiungere un accordo tra i PM pur in presenza di elaborate proposte di diversa consistenza e provenienza; 2) perché data l’entità delle risorse necessarie per la grande trasformazione e per uscire dalla recessione servono alcune migliaia di miliardi di euro e non vedo tributi propri che possano finanziare un tale livello di spesa pubblica. Ragionevolmente possono finanziare il servizio del nuovo debito pubblico da emettere. Ma data la natura delle spese da fare (a media e lunga produttività) è scelta obbligata ed equa ricorrere alla emissione di debito pubblico. 

Ho spiegato in miei interventi precedenti   che per come è finanziato il QFP non c’è solidarietà se non in termini minimi in relazioni ai fondi strutturali, regionali e in generale di coesione. Infatti, il QFP è costruito con il metodo dei saldi netti: ognuno contribuisce in base al PIL; poi cerca di riprendersi il massimo possibile riducendo la contribuzione netta. anche questa è concorrenza fiscale al ribasso.

L’altro modello, in una necessitata fase transitoria, è e resta quello del MES questo costruito sulla base del modello BCE; qual è allora la differenza? Agganciando il Recovery Fund al QFP avremmo un modello generale analogo a quello della BCE per interventi su shock simmetrici e asimmetrici; il MES resterebbe uno strumento speciale complementare e integrativo per correggere o combattere shock asimmetrici riguardanti uno o più PM con squilibri particolari sui conti pubblici, sul debito, nella sanità pubblica, ecc.

In Italia il MES è stato demonizzato dallo stesso governo Conte per via del dissenso interno alla stessa maggioranza di governo che ripetutamente ha dichiarato che non si avvarrà dei finanziamenti che potrebbe ricevere per le spese sanitarie dirette e indirette che ha dovuto effettuare a causa del Covid-19. Raffinati giuristi mettono in evidenza che la Commissione e la BCE sono istituzioni europee previste dai Trattati e quindi di diritto comunitario mentre il MES è una istituzione creata con un Trattato intergovernativo e quindi di diritto internazionale. Come economista osservo che gli obiettivi di politica economica perseguiti sono gli stessi anche il MES è istituzione europea in ragione della missione che gli è stata affidata.  E questa può riassumersi nel coordinamento delle politiche economiche e finanziarie che la Commissione non riesce a conseguire nonostante le norme del Patto di stabilità e crescita, del semestre europeo, del MES e quelle del Fiscal Compact di cui, a suo tempo, si è detto e scritto di peggio rispetto al MES.

Nella teoria della politica economica si sono sempre contrapposte due visioni di condotta pratica della stessa: regole o discrezionalità. I paesi egemoni dell’UE che non si fidano degli altri né di loro stessi hanno scelto di sviluppare le regolamentazioni più particolareggiate ma si scontrano con quelli che prendono sottogamba dette regole. Secondo studi e ricerche del FMI le regole elaborate direttamente nei Trattati e negli annessi regolamenti, direttive e raccomandazioni sono state sempre ampiamente violate e/o ignorate. Nel frattempo per via della globalizzazione e della piena libertà dei movimenti di capitale si sono sviluppate le società di rating che guidano gli investitori internazionali e valutano le prospettive di crescita dei vari paesi del mondo. In altre parole, si è sviluppata una certa funzione di monitoraggio (secondo alcuni di disciplina) dei mercati che, in qualche caso, essa è stata utilizzata a fini di lucro. Nella UE, alcuni governi egemoni hanno ammonito i PM poco propensi al rispetto delle regole concordate minacciando di lasciarli in preda a detta “disciplina dei mercati” ma neanche questa ha funzionato secondo le aspettative. La mia valutazione è che non è possibile elaborare regole scritte casistiche che prevedano tutti gli eventi futuri. Pochi avevano previsto l’arrivo della crisi dei mutui subprime e il suo diffondersi a livello mondiale nel 2008. Nessuno ha previsto l’arrivo del Covid-19.  Il senno di poi ci conferma che l’UE ha affrontato male e tardi la prima crisi. Adesso sta rispondendo meglio e più rapidamente alla Pandemia e alla recessione ma resta il fatto che l’assetto istituzionale e gli strumenti a disposizione sono inadeguati. Non abbiamo l’Unione bancaria, meno che mai un mercato unico dei capitali, non abbiamo un vero e proprio governo al centro in grado di svolgere una politica economica ad un tempo unitaria e debitamente articolata a livello continentale. Abbiamo un Parlamento europeo senza il potere sovrano di istituire tributi propri. Abbiamo al vertice un Consiglio europeo giano bifronte più attento agli interessi nazionali che a quelli europei. Va sostituito con un Senato federale eletto direttamente dai cittadini europei.  Anche i nuovi strumenti che sono stati proposti recentemente che segnano una significativa svolta nella direzione giusta restano insufficienti rispetto alla dimensione e complessità dei problemi da affrontare. PQM è urgente abbandonare la prevista Conferenza e riaprire il cantiere delle riforme istituzionali per passare ad un assetto di stampo più genuinamente federale. L’unica istituzione che può aprire una tale fase costituente è il Parlamento europeo. Ma sarà in grado di farlo?         

Proposte USA e UE per affrontare la crisi. Carlo Giannone

Il dibattito sulle conseguenze del Covid-19 è ampio e oggetto precipuo delle argomentazioni degli studiosi di svariate discipline, molteplici essendo infatti i prevedibili effetti sull’intero pianeta. Per cercare di riassumere, limitatamente a quelli economico e sociali, le posizioni in campo, è utile un sommario confronto tra le principali posizioni espresse nei più recenti commenti sull’argomento su entrambe le sponde dell’Atlantico, ossia restringendo l’obiettivo al mondo occidentale. Negli USA, si può accennare – fermi restando i ruoli decisionali delle autorità monetarie, e soprattutto quello del Presidente – a quanto espresso in sintesi da alcuni dei più autorevoli economisti.

Per Dani Rodrik: il mutamento l’innovazione tecnologica non segue un’unica direzione ma può essere indirizzata a beneficio della società. La risposta convenzionale consiste in più e migliore qualità dell’istruzione e della ricerca scientifica. Molto dipende dagli incentivi. In realtà, nuove tecnologie, inclusa quelle nella sanità, attraverso un nuovo e intrusivo modello di globalizzazione concentrato sulle aree di forte cooperazione, e si rivela tuttavia spesso non sostenibile. Occorrono, dunque, diversi modelli di sviluppo.

Nel giudizio di Barry Eichengreen, la crisi è stata trattata come temporanea, con una moratoria sul pagamento degli interessi e promesse di crediti commerciali di breve durata, sovente inadeguata alle situazioni di singoli paesi. Egli cita il precedente del 1982 e del c.d. Baker plan, che non funzionò. Stavolta i governi del G20 hanno risposto in fretta, prevedendo una moratoria dei pagamenti per i paesi a basso reddito, il triplo di quanto avvenne nei primi mesi del 2008. La realtà di oggi andrebbe gestita dal FMI, quale istituzione dell’ONU nel richiedere l’utilizzo del Capitolo VII della Carta per evitare l’azione di investitori opportunisti (speculatori).

Secondo Ken Rogoff, lo shock globale è più rapido e severo di quello del 2008 e forse della stessa ‘Grande Depressione’, poiché in pratica ogni componente della domanda aggregata, consumi, spesa in c/capitale per investimenti, ed esportazioni, appare in caduta libera. Anche immaginando che le banche centrali taglino i tassi d’interesse fino a raggiungere un valore di -3%, o meno, numerosi paese necessiterebbero di moratorie: un dollaro debole, unitamente a una più forte crescita globale aiuterebbe, specialmente nei grandi mercati emergenti e, sebbene non risolutivo, potrebbe consentire una ripartenza. Ad oggi, oltre 90 paesi hanno fatto richiesta al FMI e alla Banca Mondiale e il WTO prevede un declino nel 2020 nel commercio mondiale dell’ordine del 13-32%. Le più recenti evidenze empiriche confortano questa tesi, in quanto i tassi negativi opererebbero in modo simile all’ordinaria politica monetaria, favorendo l’aumento della domanda aggregata e dell’occupazione, pur richiedendo la moratoria del debito per le aree in ritardo di sviluppo, e in generale tutti gli altri , ad esclusione dei “paesi contraddistinti dalla tripla AAA”.

Inoltre, lo stesso Rogoff e Carmen Reinhart affermano che consentire il prolungarsi della depressione sia molto rischioso, ricordando che il punto più basso nella crisi di metà anni ’80 ammontava, i sviluppo, in generale tutti, ad esclusione dei “paesi contraddistinti dalla tripla AAA”  a circa il 18% del PIL mondiale per i paesi in ritardo, misurato in dollari; nel 2020, tocca il 41% (del 60% in PPP). Il parere di Nouriel Roubini, attento conoscitore della materia e delle vicende europee, oltre che noto per aver anticipato la precedente crisi economico finanziaria con riferimento polemico all’assenza di un supposto ‘cigno nero’, è che i mercati sono ribassati del 35% e persino le società finanziarie mainstream (Goldman Sachs, JP Morgan and Morgan Stanley) prevedono una caduta del PIL USA  di un valore del 6% nel I , e del  24%-30% nel II trimestre dell’anno e disoccupazione eccedente il 20 %, come mai in passato. Quantunque la maggioranza dei commentatori anticipi una crisi a V,  la COVID-19 è assai differente, in quanto la contrazione non rassomiglia né alla V e nemmeno ad una U o alla  L (crisi, seguita da stagnazione). Essa è piuttosto simile ad una I,  una linea verticale, in entrambi i mercati finanziari e l’economia reale; solo i governi centrali (federali) hanno dotazioni sufficienti ad impedire il collasso. I disavanzi vanno monetizzati (Quantitative Easing) in toto, non con debiti governativi standard, i cui saggi   d’interesse monterebbero bruscamente in maniera considerevole.  I sostenitori delle azioni da tempo avanzate dagli economisti di sinistra della ‘Modern Monetary Theory School’, comprendenti anche helicopter drops, sono divenuti in gran parte accettabili, ma condizionate a tre fattori di rischio: incontenibili pandemie, politiche economiche con strumenti  insufficienti , e  cigni (bianchi) geopolitici, cui si può aggiungere l’offerta di petrolio, che possono avere la meglio. La forse insanabile rivalità USA- Cina presenta tutte le caratteristiche di una ” Trappola di Tucidide”, bene esemplificata nella disputa nel primato tecnologico delle telecomunicazioni (TLC). Per concludere questa breve e certo non esaustiva serie di argomenti elaborati da autorevoli studiosi e, in tutta evidenza, ampiamente legati a immaginare gli interventi necessari nel medio lungo periodo per l’intera economia mondiale, J. Stiglitz sostiene come, nei sistemi economici più avanzati (‘democratici’) la compassione potrebbe di per sé motivare un forte sostegno a un ritorno a una risposta  multilaterale alla crisi in atto. Tuttavia, l’azione a livello globale è altresì una questione di interesse egoistico, laddove la pandemia resta una minaccia dovunque.

Sull’altro versante, quello europeo, il dibattito è non sorprendentemente circoscritto nei confini geografici e istituzionali rispetto a quanto riportato nel più grande e potente paese federale, il cui orizzonte appare solitamente universale (in misura magari ridotta rispetto al passato) concerne in sostanza gli strumenti messi a disposizione, dal MES temporaneamente sospeso, che riguarda i paesi molto indebitati come il nostro e certo memori della vicenda greca, a quelli nuovi ancora ‘in fieri’ e da scoprire, come il Recovery fund,  State supported short time work,  meglio noto come SURE (alla lettera, sicuro), ad altri in cantiere e/o da definire in maggior dettaglio. La Commissione ha appena presentato una proposta, che sarà oggetto di discussione, circa un Recovery Plan  e un riferimento al bilancio dell’ormai imminente settennio. Si possono avanzare alcune riserve rispetto alla eccessiva durata della road map e soprattutto sui margini ridotti per predisporre un documento importante, ancora da definire.  E’ nota soltanto, infatti, la volontà di farvi rientrare numerose  forme di facilitazioni  (note con acronimi, qui trascurati: SGP/SA, PPEF, CRII)  per adesso elencate senza specificazioni sul piano distributivo, per un totale complessivo di 500 miliardi di euro. Si tratta di una leva di una certa consistenza, ma di cui occorre stimare l’impatto. Nel prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP)  restano da quantificare molti punti essenziali, anche se l’indicazione di passaggi intermedi implica qualche elemento di fiducia nel metodo stabilito per un cauto avvio, pur nell’urgenza dei tempi. In particolare, sembra di interesse la scelta di finanziamento mediante l’uso di strumenti temporanei sulla scorta dell’art. 122.1 e ritenuti in grado di ottenere dai mercati  fino a più di 300 md. di euro. Il che dovrebbe avvenire, negli scarsi sei mesi e mezzo da oggi all’inizio del 2021, in pratica congiuntamente al QFP, denominato anche “prospettive finanziarie” che serve a regolare i futuri bilanci annuali rivolti a sostenere programmi dell’Unione. Non va trascurato  di notare, poi, che quest’ultimo è stabilito in un regolamento del Consiglio adottato all’unanimità, con il consenso del Parlamento. Intanto, sarà forse opportuno provvedere ad esaminare in maggior dettaglio le opportunità, tuttora non indagate a sufficienza, offerte dal MES. Esistono infine, nel sottofondo, numerosi altri spinosi temi tra cui primeggiano quelli istituzionali, quali il deficit democratico e il ruolo ora subalterno del Parlamento europeo, l’eccesso di decisioni alla unanimità, sino alla riforma dei Trattati. Inoltre, e non certo inferiori nella valenza, vanno considerate tanto l’assenza sempre osteggiata di trasferimenti perequativi tra i membri quanto l’ostinazione sulle regole che fanno da ostacolo insormontabile alla considerazione della stabilità non in mero senso finanziario, piuttosto che incidere nell’economia reale. Nella quasi totalità della stampa europea, non solo italiana, la tragedia della pandemia è sovente vissuta come di natura temporanea, vale a dire con grave sottovalutazione, discutendo di strumenti atti a superarla. In Francia e in una Inghilterra (autoesclusasi dall’Unione) la situazione varia tra la richiesta di monetizzare la crisi e l’Analisi Costi-Benefici (ABC) di un’integrazione non piena ed ancora lontana. È notizia di ieri, infine, la proposta franco tedesca di trasferimenti straordinari a fondo perduto per 500 md. ai paesi membri: un ulteriore significativo passo verso più solidarietà. 

L’odore eversivo della decisione dei Giudici di Karlsruhe.

Oggetto del ricorso davanti alla Corte di Karlsruhe è il PSPP (public sector purchase program) della BCE che, a giudizio dei ricorrenti, – per lo più economisti e cittadini di destra facenti capo alla AFD di cui il prof. di economia Bernd Lucke è stato fondatore e che poi si è ritirato non condividendo il crescente estremismo della sua creatura – violerebbe in diversi aspetti la Costituzione tedesca. Il PSPP è parte di un più ampio programma EAPP (expanded asset prurchase program) mirato a tenere il tasso di inflazione al di sotto ma vicino al 2%. Sulla base di detto programma sono stati effettuati acquisti di titoli del debito per 2.557,800 miliardi di euro. I ricorrenti sostengono che con tale misura è stato violato anche l’art. 123 del TFUE che vieta il finanziamento monetario dei bilanci pubblici dei paesi membri.

Già in premessa i giudici di Karlsruhe si mettono chiaramente in contrasto con la decisione della Corte di giustizia europea del 2018 che ha avallato la legittimità del Quantitative Easing a suo tempo attuato da Mario Draghi a partire dal gennaio 2015 sulla base dell’art. 5 del TUE (Trattato sull’Unione europea). Sostengono che la BCE è andata ultra vires nella misura e nella durata dell’operazione per cui se loro accettassero di non fare alcun serio scrutinio (review) dell’operazione, essi accetterebbero una modifica dei Trattati ed un allargamento illegittimo delle competenze dell’Unione. I giudici di Karlsruhe criticano esplicitamente quelli della Corte di giustizia europea perché si sono autoimposti un self restraint nel non valutare attentamente quello che ha fatto la BCE non per avere intrapreso un’operazione assolutamente vietata ma perché è andata oltre quello che era necessario per raggiungere l’obiettivo: la stabilità dei prezzi e quindi dell’euro.

Dico subito che a me sembra un’affermazione apodittica perché non c’è e non può esserci alcun controfattuale e perché erroneamente pensano che la politica monetaria possa essere dosata in quantità strettamente necessarie. In altri termini, non hanno idea dei leads and lags delle politiche monetarie e che l’efficacia di certe misure può essere verificata ex post perché intervengono fattori imprevisti ed imprevedibili.  

Assurdo, second me, che una Corte Costituzionale di un PM possa emettere una tale sentenza e, ancor peggio, che possa dare ordini a una istituzione sovranazionale come sostengono alcuni osservatori incompetenti. Anche i giudici di Karlsruhe hanno una visione non appropriata di come si può gestire la politica monetaria dell’Unione. Non si può prevedere tutto nello Statuto della BCE e meno che mai nei Trattati internazionali. Hanno la visione casistica del tutto previsto dalla legge. Non gli passa minimamente per la testa di cercare un precedente anche nella storia di altre Banche centrali.

I giudici di Karlsruhe criticano quelli europei del Lussemburgo perché si sarebbero autoimposti un self-restraint nel non valutare attentamente quello che ha fatto la BCE. Ribadiscono che questa è andata ultra vires, alias, non che l’operazione fosse del tutto illegittima ma è andata oltre quello che – a loro dire – era (strettamente) necessario per raggiungere il suo obiettivo. A me sembra anche questa sia un’affermazione apodittica perché non c’è controfattuale e, quindi, lascia il tempo che trova.

Per suddetti motivi i giudici di Karlsruhe non si ritengono vincolati dalla decisione dei giudici del Lussemburgo del dicembre 2018 (C-493/17 HeinrichWeiss). Ribadiscono che questi ultimi non hanno considerato tutti gli effetti redistributivi diretti e indiretti del QE del 2015-17 ed esplicitano il discorso sull’ampiezza dell’operazione attuata nel tempo. Ragionano come gli antichi farmacisti o l’avveniristica medicina di precisione che confezionavano e confezionerà medicine ad personam – anche se in un passaggio successivo – contradicendosi- devono ammettere che l’obiettivo dell’inflazione prefissato dalla BCE non è stato raggiunto. In particolare, sostengono che la BCE avrebbe potuto conseguire esiti migliori se avesse regolato le sue operazioni secondo le previsioni degli artt. 12 e segg. del Trattato del MES.

Gli effetti negativi del QE di Draghi secondo i giudici di Karlsruhe si sarebbero esplicati virtualmente su tutti i cittadini ma in particolare, elencano: possessori di azioni, affittuari e proprietari di beni reali, risparmiatori, titolari di polizze di assicurazione, ecc.. Per altro verso, ha consentito la sopravvivenza di imprese inefficienti grazie ai bassi tassi di interesse e, non ultimo, detta politica monetaria avrebbe compromesso la stessa autonomia e indipendenza della BCE perché le pressioni politiche dei PM non le consentirebbe di porre fine al QE. Vedremo più avanti come il giudizio non si limita al QE di Draghi ma a tutti i QE anche quello attualmente in atto. La sintesi della sentenza utilizzata nella Conferenza stampa  non dice nulla in merito alla nuova operazione Pandemic Emergency Purchase Program avviata quest’anno in risposta alla pandemia perché, come noto, l’argomento non poteva essere utilizzato nel ricorso presentato molto prima dell’arrivo della epidemia in Italia.

Nel parag. III i giudici di Karlsruhe dicono che, al momento, non sono in grado di giudicare se il governo federale tedesco e la Bundesbank abbiamo fatto abbastanza per mettere fine al QE di Draghi.

 Nel parag. IV tornano a criticare i giudici del Lussemburgo perché non avrebbero sottoposto a serio scrutinio il rispetto delle salvaguardie che erano state formulate nel giudizio Gauweiler. In fatto, le hanno ignorate ed affermano che la valutazione se il QE è andata in contrasto con l’art. 123 del TFUE deve essere fatta sulla base di criteri diversi: 1) adeguatezza del volume degli acquisti; 2) ampiezza dell’informazione offerta da parte dell’Eurosystem; 3) rispetto del limite del 33% di asset internazionali ISIN; 4) acquisti secondo la capital Key; 5) acquisti di bond che abbiano una soglia minima di sicurezza; 6) acquisti da ridurre o da fermare se non più necessari per raggiungere il target dell’inflazione. Si tratta ovviamente di indicazioni e/o domande alle quali deve rispondere il rapporto richiesto alla BCE attraverso la Bundesbank e su cui tornerò più avanti.

Nel paragrafo successivo, i giudici di Karlsruhe ammettono che non è accertabile se il PSPP violi l’art. 79 della Costituzione tedesca e/o le competenze e responsabilità della Bundesbank perché sembrano consapevoli che si tratta di una questione di misura menzionando i duemila miliardi dell’operazione e il risk sharing tra la BCE e le banche centrali dei PM dell’Eurosistema. Tuttavia chiamano in causa la responsabilità di bilancio della Bundesbank.   Evocano inoltre le responsabilità del governo federale e della Bundesbank collegate al processo di integrazione europea ed affermano che dette istituzioni hanno il dovere di agire contro il PSPP nella sua attuale versione. Non è un ordine ma poco ci manca se si tengono presenti le analisi che i giudici di Karlsruhe svolgono nelle seguenti tre considerazioni finali.

VI/1-2 In presenza di manifesto e strutturale esercizio di competenze non proprie, gli organi costituzionali (tedeschi) devono mettere in atto misure e passi per il rispetto delle competenze previste nell’agenda di integrazione europea. Nello specifico, questo significa che il governo federale e la Bundesbank devono chiedere che la BCE faccia un accertamento del rispetto del principio di proporzionalità per il PSPP iniziato il 1° gennaio 2019 e il suo rilancio deciso l’1-11-2019 invitando il governo federale e la Bundesbank a monitorare continuamente le decisioni dell’Eurosystem per assicurarsi che la BCE rispetti i limiti del suo mandato.

VI/3 i giudici di Karlsruhe “ordinano”, ammoniscono organi costituzionali, autorità amministrative, Tribunali  a non applicare, non eseguire e non attuare atti ultra vires. Concedono un periodo di tre mesi per il coordinamento con l’Eurosystem. Dopo la Bundesbank potrà non partecipare all’attuazione ed esecuzione delle decisioni della BCE a meno che nel frattempo questa dimostri in maniera “comprehensible and substantiated” che il PSPP rispetta la proporzionalità. Se no, la Bundesbank deve vendere i titoli nel frattempo acquistati. Se non è una minaccia di una improbabile secessione, poco ci manca. Ma resta basata sul nulla perché non c’è controfattuale per valutare attentamente la proporzionalità e non è competenza dei giudici costituzionali decidere della secessione. Giustamente Martin Sandbu nel Financial Times del 6 maggio u.s. ha definito questa decisione “una bomba sotto l’ordinamento dell’Unione europea”. Forse il commentatore inglese esagera ma se il Governo federale e la Bundesbank dovessero prendere sul serio i loro giudici costituzionali sarebbero guai per tutti e per il progetto europeo.  Da parte sua,  la Presidente della BCE Lagarde  ha dichiarato oggi 7 maggio che andrà avanti indisturbata – posizione che condivido pienamente.

Prima di esprimere alcune mie osservazioni e considerazioni finali voglio dichiarare che io sono stato e resto favorevole al c.d scrutinio giudiziario delle leggi dello Stato vuoi centralizzato o federale. Ma, in questo caso, i giudici di Karlsruhe probabilmente non si rendono conto che le autorità di politica economica all’interno delle quali riconduco le autorità di politica monetaria, oltre le leggi formali, e le procedure di bilancio devono rispettare le leggi economiche non scritte – o elaborate solo nei migliori manuali universitari di analisi e politica economica –  e che nelle Costituzioni, nei Trattati internazionali e/o intergovernativi non si può prevedere l’imprevedibile per cui, non di rado, dette autorità devono assumersi delle responsabilità che non trovano riscontro esplicito nelle leggi e negli statuti delle istituzioni che governano. Forse i giudici di Karlsruhe non si rendono conto che le ricette di politica economica, monetaria, finanziaria, in ultima analisi, dipendono in quantità variabili dai comportamenti variabili e non del tutto prevedibili degli operatori (famiglie, imprese, amministrazioni pubbliche) non solo nazionali e/o comunitari ma anche internazionali.

Ai Giudici di Karlsruhe sembra sfuggire che il PSPP e/o QE sono strumenti macroeconomici come lo sono gli obiettivi che perseguono con l’immissione di liquidità nel sistema, mantenendo l’inflazione al disotto di una certa soglia, senza compromettere il tasso di cambio dell’euro, cercando di sostenere la domanda aggregata, il tasso di crescita, a livello dell’economia dell’eurozona, ecc. In questi termini, non regge la loro affermazione secondo cui la BCE avrebbe potuto conseguire esiti migliori seguendo le procedure di assistenza finanziaria a Stati che rischiano di perdere l’accesso ai mercati finanziari sulla base di un Memorandum di intesa con il quale le parti contraenti concordano le misure specifiche di aggiustamento macroeconomico che il singolo stato deve assumere. Non è elegante, ma vale la pena ricordare le conseguenze disastrose che le prescrizioni che il MES anteriforma impose alla Grecia che aveva perso l’accesso ai mercati finanziari: il rifiuto di un taglio del debito pubblico e la perdita di un quarto del PIL pur di proteggere i bilanci delle banche francesi, inglesi e tedesche. Se questo è vero, è chiaro che la proporzionalità e/o adeguatezza di strumenti macroeconomici come la politica monetaria espansiva va verificata in itinere ed ex post non solo sul volume e la durata ma anche sulla efficacia immediata e nel tempo.

Inoltre, vale la pena ricordare, in tutta sintesi, che con l’annuncio del luglio 2012, Draghi salvò l’euro e la stabilità valutaria dell’eurozona ma non la crescita armonica dell’economia europea. Con la sua credibilità e determinazione convinse gli speculatori che non era il caso di attaccare il debito pubblico di alcuni PM ingigantito dai salvataggi delle banche. Allora non era arrivato il QE ma c’erano le stringenti regole del PSC 2011 con annessi e connessi regolamenti e c’era il Fiscal Compact. Se l’obiettivo allora fosse stato il sostegno della crescita e dei livelli occupazionali la politica monetaria da sola non avrebbe potuto conseguirli e, infatti, non li ha conseguiti neanche dopo l’arrivo del QE del 2015. Questo per dire ai giudici di Karlsruhe che la valutazione della proporzionalità in materia di politica economica e monetaria non è così semplice da conseguire e non bastano i criteri da loro prescritti. Ma non basta e non è un paradosso. Posso sostenere che se l’ossessione della Germania prima e dopo l’introduzione della moneta comune è stata sempre la stabilità dei prezzi e dell’euro questi obiettivi sono stati ampiamente conseguiti dalla BCE e dal PSC del 2011. Se l’inflazione è stata bel al disotto del mitico 2%, gli effetti negativi sui risparmiatori discendono dai tassi di interesse negativi o prossimi allo zero del Bund tedesco che è diventato il termine di riferimento nella Yardstick competion tra i titoli del debito pubblico dei PM dell’eurozona. Ma i tedeschi non possono volere il massimo di stabilità finanziaria dell’euro e allo stesso tempo lamentarsi se i loro tassi di interesse scendono attorno allo zero perché molti risparmiatori di altri PM comprano i titoli del loro debito pubblico. Bisogna pure ricordare loro che, in tutti questi anni, hanno accumulato ingenti avanzi nella loro bilancia commerciale – così violando anche loro le regole fiscali europee. Quando si usano strumenti macroeconomici per obiettivi macro ci sono sempre degli effetti collaterali non desiderabili e i giudici di Karlsruhe farebbero bene a considerare quelli prodotti dalle politiche di austerità imposte ai PM periferici la cui convergenza con le regioni centrali si allontana vieppiù all’orizzonte minando la sostenibilità del progetto europeo così come ora gestito. Certo i giudici di Karlsruhe possono sempre nascondersi dietro al fatto che loro hanno risposto alle domande che non conosciamo dei ricorrenti ma una simile risposta sarebbe opportunistica e non nasconde l’odore eversivo delle loro intimazioni alla Corte di giustizia europea, al governo federale e al Parlamento tedesco che ritengono di valorizzare.