Abrogare le clausole di salvaguardia

Le clausole di salvaguardia IVA incluse nelle leggi di bilancio sono diventate uno psicodramma e, a mio modesto parere, è l’ora di abolirle. Come lo ha spiegato Giulio Tremonti in un suo intervento su il Sole 24 Ore del 21 agosto scorso, in risposta ad un precedente articolo sullo stesso giornale, “nella formulazione iniziale (agosto-settembre 2008) l’adempimento alla clausola-imposizione era assolutamente programmatico e generico e comunque subordinato all’ipotesi del non raggiungimento di altri e vasti obiettivi di bilancio. Alla larga nel testo si ipotizzava infatti nel caso denegato di un insufficiente raggiungimento di questi obiettivi una “possibile rimodulazione delle tax expenditures o delle aliquote delle imposte indirette incluse le accise o l’Iva”. Tremonti era ministro delle finanze sia nel 2008 che nel 2011. Lui formalmente non avrebbe utilizzato le clausole di salvaguardia ma per tre anni era riuscito a mettere i conti pubblici in sicurezza anticipando la manovra di bilancio a giugno-luglio – per l’appunto senza utilizzare dette clausole – ma sappiamo bene che la sua vecchia linea di politica tributaria è stata sempre quella di spostare il carico tributario dalle imposte dirette a quelle indirette perché le prime producono sacrificio inevitabile, le seconde no perché consentono ad alcuni di rinunciare al consumo e, quindi, di non rimanerne incisi. Probabilmente per questo motivo Tremonti non ha contestato la proposta e scrive di “clausola-imposizione” perché evidentemente il problema vero è quello della credibilità e reputazione dei passati governi italiani che hanno sempre promesso a Bruxelles di ridurre il debito, e poi lo hanno fatto crescere e, quindi, si impegnavano a porvi rimedio negli anni successivi magari passando il cerino acceso ai successori.

Ora se il governo che verrà avrà la credibilità e la reputazione di cui gode in questa fase il Presidente incaricato Conte e se si vuole veramente la discontinuità di cui parla il vertice del Partito democratico, questo è il terreno su cui provare a sperimentarla.  Le clausole di salvaguardia sono state introdotte con ordinarie leggi italiane e con le stesse possono essere abrogate. E abbiamo un precedente importante. In vista della scadenza quinquennale del Fiscal Compact tutti in Italia temevano tempeste tropicali e trombe d’aria di ogni tipo. Poi non è successo niente. Per guidare i comportamenti dei governanti in materia di finanza pubblica ci sono le norme ordinarie di bilancio. Se queste venissero rispettate in partenza non ci sarebbe bisogno di norme di emergenza e/o di garanzia. E poi ci sono tutte le regole del c.d. semestre europeo che mirano al coordinamento delle politiche economiche e finanziarie, in primis, dei paesi membri dell’eurozona. Basterebbe ragionare pacatamente e seriamente con la Commissione europea in via preventiva.    

Le clausole di salvaguardia italiane ed europee hanno interessanti precedenti negli USA con le amministrazioni Reagan e Trump: tagli automatici alla spesa pubblica e sospensione del pagamento degli stipendi. Alla fine non sono state applicate dagli stessi Presidenti che le avevano proposte. In termini mitologici e di leggenda le clausole di salvaguardia mi ricordano Ulisse e le sirene. Per funzionare hanno bisogno di gente fortemente determinata e coerente. Ulisse avrebbe sempre potuto ordinare ai suoi uomini di scioglierlo ma nella leggenda non lo ha fatto. I nostri politici non hanno la tempra di Ulisse né quella di Vittorio Alfieri. Al contrario, si “divertono” ad abrogare leggi senza aver verificato attentamente se quelle esistenti sono state coerentemente applicate e se si perché non hanno funzionato secondo la volontà del precedente legislatore. Molti sedicenti legislatori italiani pensano che vecchi e nuovi problemi si affrontano scrivendo nuove leggi. E così i governi producono continuamente “nuove” leggi e, non di rado, non si preoccupano più di tanto della loro corretta applicazione. In materia di leggi di bilancio, è ormai prassi consolidata che si iscrivano gettiti sopravvalutati delle imposte, dei condoni e dei recuperi dell’evasione con la conseguenza dell’aumento prima del deficit e poi del debito. Basterebbe essere più rigorosi e prudenti nelle previsioni a partire da quello sulla crescita del PIL per evitare detto risultato.

Nel ringraziare il Presidente della Repubblica Mattarella per avergli conferito l’incarico di formare il nuovo governo, il Presidente incaricato Conte ha detto che servono due cose: coraggio e determinazione. Anche per approntare la legge di bilancio 2020 – aggiungo io. Lui sa benissimo di essere fortunato e di godere al momento la massima fiducia da parte del Presidente dell’Unione Tusk, del Presidente del Parlamento europeo Sassoli, della Cancelliera Merkel, della Presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen. C’è una prospettiva non campata in aria che la stessa Germania a fronte del rallentamento dell’economia sia pronta a sposare una politica fiscale espansiva a livello europeo e che questa sia “accomodata” da una politica monetaria dello stesso segno. Bene, coraggio e determinazione in questo campo significa abrogare le clausole di salvaguardia, prevedere limitati aumenti della spesa corrente, applicazione della regola d’oro per investimenti direttamente produttivi per almeno 50 miliardi all’anno per un decennio, come si prevede per la stessa Germania, eventualmente controllabili dalla stessa Commissione. Se sono rose fioriranno.

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Analogie e divergenze tra Italia e Germania.

A fronte del rallentamento dell’economia tedesca nel secondo trimestre (-0,1), prima di Ferragosto, i maggiori esponenti del governo tedesco assunsero l’atteggiamento keep cool rimani calmo; non c’è bisogno di provvedimenti straordinari per tenere l’economia tedesca sui binari della crescita. Dopo pochi giorni, secondo rivelazioni dello Spiegel – vedi corrispondenza da Francoforte di Isabella Bufacchi Il Sole 24 Ore del 17 agosto – la Cancelliera Merkel e il ministro delle finanze Scholz sarebbero disposti a passare all’azione sempre che il terzo e quarto trimestre confermino l’entrata in recessione tecnica dell’economia tedesca.    Secondo gli economisti di Citigroup (gruppo di consulenti finanziari che studiano i mercati globali) “la Germania rischia di diventare un’altra volta il malato d’Europa” – aggiungo io: non da solo ma in buona compagnia dell’Italia la cui economia, come noto, è fortemente interdipendente da quella tedesca. Ricordo che l’interscambio commerciale tra Italia e Germania ammonta a oltre 126 miliardi di euro.

Nonostante che permanga l’ossessione tedesca di non aumentare il debito pubblico, la Bufacchi scrive di rinuncia del ministro delle finanze all’obiettivo di ridurlo al disotto della fatidica soglia del 60% prevista dal Trattato di Maastricht. Riferisce che il ministro SPD del lavoro Heil sta approntando incentivi per le imprese in difficoltà e una riduzione dell’orario di lavoro per i lavoratori a tempo pieno che, come noto, in occasione della I e II recessione (2009 e 2012) ha funzionato bene evitando massicci licenziamenti.

 Ma la vera novità è quella relativa ad una stima dei fabbisogni di risorse finanziarie necessarie per colmare i deficit infrastrutturali ai diversi livelli di governo locale, statale (Laender) federale riguardanti strade, scuole, edilizia pubblica e popolare, impianti idrici, trasporti, digitalizzazione dell’economia, banda larga, intelligenza artificiale, istruzione e formazione permanente, ricerca e sviluppo, ecc.. Si stima il fabbisogno in 450-500 miliardi di euro in un decennio, in media 45-50 miliardi all’anno, somma tra il 2-3% del PIL tedesco ritenuta adeguata per imprimere una spinta idonea a far riprendere la crescita tedesca.

È interessante riflettere su queste proposte perché l’economia italiana si trova in una situazione analoga e, per certi versi, notevolmente peggiore (vedi bassa produttività del sistema produttivo nel suo insieme, deficit infrastrutturali e situazione dell’istruzione ai vari livelli). Le analogie e le differenze evocano una impostazione espansiva delle politiche economiche non solo in Germania e in Italia ma anche a livello generale europeo. E’ chiaro che se la Commissione europea riconoscesse tale esigenza di coordinamento, l’Italia avrebbe maggiori probabilità di far passare anche la sua politica anticiclica. Di questi problemi economici e finanziari non sento una forte eco nel dibattito asfittico sulle proposte di politica economica che dovrebbero essere alla base della legge finanziaria 2020 e/o addirittura di un eventuale accordo di legislatura tra i 5S e il PD. I “grandi” leader politici italiani preferiscono discutere di riduzione del numero dei parlamentari, di flat tax, di tassa c.d. piatta che tale non è, e di riduzione generalizzata delle tasse ovviamente senza mai menzionare i servizi pubblici da tagliare e, quindi, ingannando gli elettori.

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Diario della crisi 190813

Dopo l’annuncio della crisi di governo prima da parte di Salvini e immediatamente dopo del Presidente Conte, si scatena la fantasia di giornalisti e osservatori vari circa la sua possibile soluzione: elezioni subito come richieste dal leader della Lega con grande sfacciataggine e arroganza; governi di scopo, governi istituzionali, governi tecnici; governi con compiti limitati: approvazione della legge finanziaria 2020 evitando l’aumento dell’IVA – proposta approvata da quasi tutti; approvazione della riduzione del numero dei parlamentari – su cui mi sono espresso precedentemente; ecc..  Quasi tutti chiedono elezioni anticipate dopo appena 16 mesi dalle elezioni, ma interviene saggiamente Grillo in maniera secca e determinata opponendosi a tali ipotesi. Ovviamente non decide neanche lui ma come Lord protettore del M5S il suo parere ha un grande significato politico. Lo raccoglie subito il Senatore Renzi che lo condiziona all’approvazione della legge finanziaria e possibilmente a una nuova riforma del sistema elettorale.

L’altro ieri grande sorpresa: inversione a U del PD di Zingaretti: no allo scioglimento delle Camere purché ci si metta d’accordo con i 5S su un programma di legislatura ampio e condiviso. Secondo me, è da apprezzare il ravvedimento del PD ma chiedere un programma siffatto è come chiedere la luna nel pozzo tali e tante sono le differenze programmatiche tra i due partiti. E per superarle serve molto tempo e tanta buona volontà. Voglio sperare che quella di Zingaretti non sia solo una proposta tattica o addirittura provocatoria. Ricordo che in Germania qualche tempo fa i partiti che sostengono la Merkel e la SPD dopo le elezioni di settembre impiegarono circa tre mesi per raggiungere un accordo sotto Natale.

Noi non abbiamo tutto questo tempo e sarebbe un successo enorme se si riuscisse a lasciare fuori dal governo l’On. Salvini neutralizzando la sua smodata ambizione, proporre un italiano colto e preparato per la Commissione europea, varare la legge finanziaria per il 2020, cercare alleanze con altri Paesi membri dell’Unione e dell’eurozona per riformare il Regolamento di Dublino sulla distribuzione dei migranti e per la riforma del Patto di stabilità e crescita. Con l’economia tedesca in forte rallentamento e con il fatto che i 5S hanno votato anche loro per la nuova Presidente della Commissione europea Ursula von Der Layen aumenterebbero le probabilità di arrivare ad una manovra maggiormente espansiva che aumenterebbe la sostenibilità del nostro debito pubblico. A tale scopo bisogna spiegare ai 5S che oggi le priorità assolute sono la crescita del PIL e dell’occupazione, la stabilità finanziaria e l’isolamento della Lega che accarezza l’idea dell’uscita dall’eurozona se non proprio dall’Unione europea. Bisogna spiegare al PD di Zingaretti che con l’alternativa “tutto o niente” non si va da nessuna parte. La politica è l’arte del possibile e questa si fonda su ragionevoli compromessi. Mentre un nuovo governo M5S, PD e altre formazioni che hanno a cuore la democrazia costituzionale in questa Italia lavorano a risolvere i problemi più urgenti, si possono organizzare gruppi di lavoro, conferenze programmatiche possibilmente congiunte delle forze che sostengono il governo per smussare i punti più contrastanti dei diversi programmi delle diverse parti politiche con onorevoli compromessi operati in nome del bene comune. La teoria dei giochi e l’esperienza insegnano che la strategia di un giocatore non può non tener conto della strategia dell’altro e/o degli altri. Qualcosa che Salvini, preso dal delirio di onnipotenza, probabilmente non ha capito.    

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Il voto anticipato non è scelta obbligata.

Tutti all’unisono chiedono elezioni anticipate tranne Grillo e Renzi. Delle due l’una: o Salvini è un pericolo pubblico e allora bisogna impedirgli di ottenere un’altra investitura pubblica che aumenterebbe enormemente la sua tracotanza e il suo delirio di onnipotenza oppure è un sincero e affidabile democratico di cui ci si può fidare, capace di autocontrollo. Io propendo per la prima ipotesi e la sua recente richiesta di “pieni poteri” conferma che il leader della Lega sia un aspirante dittatore. In ogni caso, anche nella sciagurata ipotesi che si andasse all’elezioni non credo proprio che la quota di consenso popolare che gli assegnano i sondaggi si traduca in seggi parlamentari.

Quello che mi sorprende è il fatto che a chiedere elezioni anticipate sono da un lato Forza Italia e dall’altro il Partito democratico due partiti senza un programma chiaro e in grosse difficoltà organizzative. Il primo con la scissione in corso quella del governatore della Liguria e il secondo con una scissione strisciante quella di Renzi – fin qui minacciata. Se è vero che detti partiti non sono pronti per andare alle elezioni, se è vero che la RAI è controllata dalla Lega, verrebbe di dire: si accomodino pure. Il probabile esito potrebbe essere una coalizione di Centro-destra tra Salvini e la Meloni con l’appoggio esterno di Casa Pound come sostiene The Economist.

Ieri fortunatamente è arrivata una proposta diversa quella dell’ex Presidente del Senato definita come lodo Grasso. Una proposta molto astuta che suggerisce alle attuali opposizioni ad uscire dall’Aula e lasciare sola la Lega a votare contro il governo di cui il suo leader è ancora vice-presidente del Consiglio dei ministri. Una situazione paradossale difficile da spiegare agli osservatori europei e non, che ancora una volta la dice lunga sull’affidabilità dei politici italiani: un partito di governo che vota la sfiducia a sé stesso. Che lo faccia pure. Si coprirà di ridicolo e confermerà la sua irresponsabilità.

Lo scioglimento anticipato delle Camere è avvenuto già cinque volte ma mai a così breve distanza dall’inizio della legislatura: solo 14-15 mesi. Giustamente è stato sottolineato che lo scioglimento delle Camere è competenza del Presidente della Repubblica sentiti i Presidenti delle Camere, i segretari dei partiti accompagnati dai Presidenti dei gruppi parlamentari. Concludendo, il punto che voglio sottolineare è che lo scioglimento delle Camere consegue alla constatazione da parte del Presidente Mattarella dell’impossibilità di formare un nuovo governo. E il primo tentativo di formarlo, secondo prassi costituzionale, spetterebbe al Capo del M5S.       

La riduzione del numero dei parlamentari va accantonata.

La riduzione del numero dei parlamentari, proposta dal M5S è una riforma vecchia che guarda al passato e non al futuro come dovrebbe. Visto che siamo inseriti e vogliamo restare nell’Unione Europea possiamo abrogare il Senato e, al limite, il Presidente della Repubblica. Devo precisare che da circa un quarto di secolo siamo coinvolti in un processo di trasformazione del nostro sistema istituzionale in senso federale, e la proposta è stata sempre quella di un Senato federale. Da circa 10 anni detto processo è bloccato per via della grande crisi economica e finanziaria che, anche negli Stati federali, di norma, impone un maggior ruolo del governo federale e quindi un processo di centralizzazione. Anche nella riforma Renzi c’era una chiara svolta centralista perché non avendo avuto il coraggio di mettersi contro la classe politica regionale e dei sindaci che è ben più numerosa e radicata di quella centrale attuale, in nome del superamento del bicameralismo paritario, aveva proposto qualcosa che non era un vero senato federale né un senato delle regioni ma un papocchio o una camera di serie B non eletta direttamente dai cittadini.

Vengo al mio punto centrale. Se l’Unione Europea, in fatto, è già uno stato federale in fieri e non può essere diversamente visto che abbiamo una moneta unica, una politica economica finanziaria centralizzata, e si sta avviando il discorso di una difesa comune come reazione alle prese di posizione del neo-presidente USA; se le costituzioni sono costruite per il futuro, bisognerebbe tener conto che nei sistemi federali veri e propri (Australia, Canada, USA, Svizzera) non ci sono seconde camere né presidenti della repubblica a livello sub-centrale. In un assetto istituzionale di stampo federale com’è quello europeo – in parte ancora da portare a compimento – la collocazione appropriata del Senato sarebbe al centro al posto dell’attuale Consiglio europeo che io considero il cancro delle istituzioni europee. Se si tiene conto di questi vincoli, la soluzione migliore sarebbe l’abrogazione totale del Senato e possibilmente una riduzione limitata del numero dei deputati. Dico limitata perché in Italia prevale la prassi secondo cui i problemi del paese si risolvono approvando una nuova legge e nel nostro paese si legifera cercando di prevedere tutte le fattispecie possibili. Missione impossibile in una società molto dinamica, nell’era della digitalizzazione e della globalizzazione.

La proposta del M5S è quindi mal concepita anche perché non prevede una clausola ragionevole della sua eventuale entrata in vigore (ad esempio nella legislazione successiva a quella in cui viene approvata). I parlamentari in carica per quanto scarsamente autonomi rispetto ai loro capi al governo, difficilmente accetteranno di suicidarsi. Sappiamo che il M5S alla democrazia rappresentativa preferisce quella diretta.

PS.: per maggiori approfondimenti sulla semplificazione del processo legislativo rinvio a un mio post del novembre 2016.