Ancora sul deficit di solidarietà nella UE.
Anche per via della crisi sanitaria si invoca a proposito e a sproposito la solidarietà; si stigmatizza che gli altri Paesi membri (PM) della ricca Europa hanno fatto poco o niente per aiutare l’Italia colpita per prima dalla Covid-19. A mio giudizio, questo ritornello sta diventando stucchevole e noioso perché trascura un fatto fondamentale: senza un bilancio vero e proprio, con entrate tributarie ispirate al criterio della progressività e senza programmi di spesa mirati alla perequazione dei redditi personali non ci può essere solidarietà vero e proprio a meno che non stiamo parlando di piccole forniture di mascherine, ventilatori, personale medico, medicinali ed altri materiali tecnici mancanti in un PM e disponibili in un altro.
Per spiegare perché, a livello centrale, non abbiamo un vero e proprio bilancio degno di uno Stato tradizionale o di una vera Unione di Stati, vale la pena ripercorrere per sommi capi le fasi del processo di integrazione europea. Un successo di portata storica ma che resta incompleto e contraddittorio. Sono stati creati interessi economici comuni prima con il Mercato comune e poi con il mercato unico. Si è incrementata in maniera consistente la interdipendenza economica tra i diversi PM sicché un paese come l’Inghilterra che ha deciso di lasciare l’Unione vuole restare in un regime di libero scambio con l’UE.
Fin dall’inizio del mercato comune ci si era resi conto che, prima o poi, per facilitare gli scambi, sarebbe stata necessaria una moneta comune ma negli anni sessanta vigeva il sistema dei cambi fissi e la questione fu rinviata perché non urgente. Con il crollo del sistema di Bretton Woods (agosto 1971), la questione diventa di estrema attualità. Si parte con il c.d. serpente monetario (ampio margine di oscillazione sotto e sopra la parità) e quindi il sistema monetario europeo (con possibilità di uscita temporanea dal sistema) e, quindi, l’euro e la Banca Centrale europea – con un processo che è durato ben trenta anni. Una moneta unica implica una politica monetaria unica e perciò si è centralizzata la politica monetaria ma il Trattato di Maastricht ha lasciato formalmente nella competenza dei PM la politica economica e finanziaria ma in fatto “imbrigliata” con i famigerati parametri sul deficit, debito, inflazione poi meticolosamente regolamentati nel Patto di stabilità e crescita del 1997 concentrandosi sulla stabilità dei prezzi e poco o niente sulla crescita. Dopo la crisi finanziaria ed economica del 2008-09 si è di nuovo riformato il PSC nel 2011 con norme ancora più stringenti. Con il Fiscal Compact si è imposto ai PM di scrivere in Costituzione le nuove norme sul pareggio di bilancio a quelli che non ce l’avevano per niente o ce l’avevano in forma di principio generale (e generico). Nel Fiscal Compact si è previsto anche il coordinamento delle politiche economiche e il semestre europeo, ossia, si è intervenuti in materia di procedure di bilancio per cui in Primavera i PM dell’eurozona presentano il Documento di economia e finanza e il Piano nazionale delle riforme. Quindi aspettano le osservazioni della Commissione europea. A giugno-luglio fanno l’assestamento di bilancio; a settembre approntano la Nota di aggiornamento congiunturale al DEF e a ottobre la bozza della legge di bilancio su cui si esprime di nuovo la Commissione europea lasciando poi poco di più di un mese per elaborare il testo da sottoporre alla discussione e approvazione da parte del Parlamento (composto di due Camere) del testo finale – quasi sempre approvato con un maxiemendamento elaborato nottetempo sul quale il governo pone la fiducia. Riferendomi al nostro Paese, la combinazione delle regole europee, i comportamenti non conformi del governo e la desistenza del Parlamento ha reso sempre più stretto il sentiero della democrazia di bilancio. Se questo è vero, dire che l’Italia e con questa altri paesi conservino sovranista fiscale è un eufemismo se non pura ipocrisia. Ma così vanno le cose nella UE. I PMEZ sotto sorveglianza non possono emettere debito pubblico senza il consenso del Meccanismo di stabilità (MES) e della Commissione europea. Questa, a sua volta, non può emettere eurobond e non ha un bilancio con entrate ed uscite da manovrare in chiave anticongiunturale e/o per sostenere la crescita, la conversione ecologica, la digitalizzazione dell’economia e della società, in sintesi, lo sviluppo sostenibile.
Negli ultimi 10-12 anni, a seguito della crisi del 2008, si sta discutendo della necessità di dare alla Commissione europea di mettere eurobond. Secondo me, è possibile farlo vuoi ai sensi dell’art. 122 e del 311 del TFUE. Il primo prevede assistenza ai PM in difficoltà “in caso di calamità naturali e di circostanze eccezionali”; il secondo in via ordinaria, “per conseguire i suoi obiettivi e portare a compimento le sue politiche”. Oggi più che mai ci sono entrambe le esigenze: a) crisi sanitaria e drammatica recessione mondiale; e b) conversione ecologica e digitalizzazione dell’economia e della società che richiede formazione permanente.
Ora si può discutere e mi chiedo se emettere titoli del debito da parte di una istituzione europea sia un fatto di solidarietà oppure è una questione di preminente interesse comune in una situazione di fatto di forte interdipendenza e/o integrazione tra le economie dei PM? Nelle emissioni comuni di eurobond prevale la solidarietà o l’interesse comune e/o la reciprocità? Non è una questione di lana caprina. Se sono un imprenditore1 e sono fornitore dell’imprenditore2 e ho un merito di credito basso e la banca per aumentarmi il fido mi chiede la malleveria dell’imprenditore2 , è interesse di quest’ultimo aiutarmi oppure deve fare un semplice atto di altruismo? A parte il fatto che parlare di altruismo si addice meglio alle persone fisiche più che alle imprese e/o alle istituzioni pubbliche, mi sembra che, nell’uno e nell’altro caso, quale che sia la scelta dell’imprenditore2, c’è una condizione necessaria ma non sufficiente: la fiducia. Se l’imprenditore2 non si fida dell’imprenditore1 il primo non darà la malleveria. Mutatis mutandis questo vale anche per le istituzioni pubbliche che devono avere autorevolezza, reputazione e credibilità per ottenere la fiducia di altre istituzioni e delle società di rating. È questo il problema politico a livello europeo. A torto e a ragione i PM del Nord non si fidano di quelli del Sud Europa; entrambi non si fidano del gruppo di Visegrad e viceversa. E per questi motivi non si riesce a superare il voto all’unanimità nelle questioni fiscali paralizzando il processo decisionale e danneggiando tutti chi più o meno. PQM fin qui hanno rifiutato di mutualizzare non solo il debito pregresso ma anche quello odierno e futuro necessario per contrastare la grande recessione in arrivo.
Se questa analisi ha un qualche fondamento, un paese tra i più ricchi del mondo e dell’Europa che insiste a chiedere solidarietà all’Europa, rectius, agli altri PM contributori al bilancio europeo rectius al QFP – come ad esempio la Germania e la Francia – rischia di fare la figura dell’accattone. Se c’è un problema di solidarietà è quello tra i ricchi paesi dell’Eurozona e quelli meno fortunati dell’Est europeo e del Sud-mediterraneo ma questo – irresponsabilmente – non è un problema all’odg dell’Unione. Un’ultima osservazione a seguito delle decisioni interlocutorie del Consiglio europeo del 23 u.s. riguarda la richiesta secondo cui metà delle risorse prese a prestito dai mercati dovrebbe essere erogata a fondo perduto. Ma se detti fondi sono presi in prestito e se il QFP è alimentato dai contributi dei PM sembra buon senso aspettarsi che i fruitori paghino gli interessi- godendosi il solo vantaggio della riduzione degli interessi più bassi ai quali verrebbero piazzati gli eurobond. I trasferimenti a fondo perduto sarebbero più appropriati per i PM più poveri dell’Unione non per quelli più ricchi. Anche in questa richiesta vedo un altro esplicito tentativo di accattonaggio. Anche perché al momento – incassata la disponibilità ad emettere eurobond – non sappiamo se il fondo per i recovery bond, sia pure agganciato al QFP, sarà costruito sulla base del modello MES oppure di quello di un vero e proprio modello di governo federale dotato di risorse proprie come tributi propri e autonomo potere di indebitamento per attuare le proprie politiche e perseguire i propri obiettivi. Purtroppo anche il raddoppio delle risorse del QFP proposto dalla Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen – semmai accettato dal Consiglio europeo – non andrebbe nella direzione di un governo federale. Non c’è governo federale nel mondo che abbia un bilancio così risibile rispetto al fabbisogno. Reputo che nell’attuale situazione è probabile che le regole sottostanti il QFP non verranno cambiate e se così i PM che usufruiranno delle risorse prese a prestito dovranno giustamente aumentare il loro contributi al finanziamento di detto Quadro. PQM ritengo che non ci sia via di uscita da questa empasse se non si pone mano hic et nunc alla riforma dei Trattati. Se abusando una frase fatta “la crisi può creare un’opportunità” io vedo un solo organo che potrebbe o dovrebbe prendere una tale iniziativa ed è il Parlamento europeo l’unico organo eletto direttamente dai cittadini europei. No taxation without representation fu lo slogan delle colonie americane. Noi europei abbiamo la rappresentanza di anime più o meno belle ma senza tassazione, senza un vero e proprio bilancio. E senza di questo – lo ripeto – è stucchevole e noioso parlare di solidarietà.
@enzorus2020