Chi sono i “mutanti” ai quali è dedicato il bel libro di Giuseppe Averardi dal titolo tanto intrigante?

Sono semplicemente i post-comunisti, reduci dell’esperienza comunista e che in Italia si sono riuniti, attraverso svariati percorsi e denominazioni, nel partito cosiddetto “democratico”, a parte le formazioni impietrite nel mantenimento del nome per essi sacro, nella speranza di raccogliere quell’eredità. Ma questi “Mutanti” (Data News editore) attualmente in crisi, dopo le segreterie Veltroni e Franceschini, non si portano appresso – a nostro avviso – tutto il bene e il male di una grande realtà che costituì per mezzo secolo una significativa speranza per tanta parte delle forze politiche a livello mondiale quanto i residui di quei tentativi falliti che hanno dato vita in varie gradazioni, al PDS e ai DS. In effetti – questo l’argomento sostanziale di Averardi – essi anziché richiamarsi ai valori del socialismo – matrice di tanti contributi alla lotta contro lo sfruttamento e il potere dispotico della finanza internazionale – hanno preferito darsi sembianze e denominazioni proprie dei raggruppamenti politico-elettorali operanti nei sistemi liberal-democratici senza mostrare nelle scelte, nei comportamenti pratici, negli svariati programmi volta per volta elaborati, una autentica vocazione ad una apertura democratica di conio rinnovatore. Nelle molteplici metamorfosi, sino all’Ulivo e poi all’ “Unione”, è sempre mancata – il rilievo non è solo nostro – una reale predisposizione a “cambiare”.

Pagina per pagina l’autore riporta sia precedenti pericolosi (come l’assurda ma lunghissima lotta condotta contro la cosiddetta “socialdemocrazia del tradimento”, negli anni ’20-’30 e successivi) sino al rifiuto sistematico di accettare l’amara lezione della storia. Come fallimentare si dimostrò ogni “nuovo corso” del PCI, tutti vani sono stati gli approcci di Occhetto per una configurazione più al corrente con i tempi nuovi della globalizzazione. Il “maremoto” (dettagliatamente ricostruito nel libro) e il partito “nuovo” da costruire quale rappresentanza di una sinistra nuova non hanno chiarito neppure i termini veri del problema, cioè il rinnovamento politico-organizzativo, sulla base di una cultura critica della società contemporanea ed il richiamo all’anima delle moltitudini sacrificate e desiderose di partecipare ad un movimento di riscatto. Viceversa, esperienza dopo esperienza, gli italiani hanno assistito a tante “prove” di allestimento di nuovi partiti senza che nessuno di essi abbia sinora saputo ritrovare, indicare, un’anima.

Chi non ricorda i tanti “forum” nei quali si dispersero energie promettenti ai fini di un ripensamento capace di condurre all’effettiva creazione di una comune istituzione capace di raccogliere tante volontà disperse per dare un preciso punto di riferimento? Averardi cita nomi, fatti, gruppi, immagini cangianti dimostratisi insufficienti al fine di sviluppare una iniziativa credibile, continuativa, solida nei programmi e persistente nei propositi.

Coalizioni elettorali destinate ad infrangersi alla prima sconfitta e quindi sostenute da alleanze altrettanto improbabili, tanto da faticare a ritrovare un aggancio con la nuova realtà. L’esperimento Prodi – che è stato poi l’unico capace di conseguire risultati positivi – si è infranto ogni volta per rivalità e contrasti interni alla stessa sinistra. Ancora oggi quello che è considerato uno dei gruppi più importanti del vecchio PCI pensa ancora di affidarsi a Casini, quasi riconoscendo la impossibilità, per coloro che sono stati comunisti, di riunificare e guidare una parte consistente di italiani. Eppure il vecchio PCI, a modo duo, seppe farlo. Dai vari seminari, incontri – rievocati con precise analisi dall’autore – frazioni, aree, rimane solo un “vuoto” assoluto, dal quale si salvano personali comportamenti e indicazioni come quelle di Michele Salvati o di pochi altri, il resto è la ripetizione avvilente di una rappresentazione opaca dei “mutanti”.

La lettura colpisce per la crudele presa d’atto di una realtà confermativa di una triste verità. Le montature via via cangianti d’ogni singolo tentativo di passi in avanti, i milioni di votanti generosi a nulla sono serviti perché manca tuttora la convinzione e la capacità di dar vita ad un movimento chiaramente definito nei suoi scopi, nel rifiuto “di ogni rivalutazione del passato totalitario”, come ha scritto Averardi, per guardare al futuro senza più riserve mentali politiche e culturali.

In corso di pubblicazione su FORMAZIONE POLITICA