C’è un’assunto molto popolare quanto infondato tra i c.d. mercatisti nel dibattito corrente sull’austerità che sta affossando l’economia italiana ed europea. “il mercato impone il rigore e il rigore impone tagli alla spesa sociale e tasse”. Io direi: se funziona, il mercato espelle le imprese inefficienti ma siccome non sempre i mercati sono efficienti o completi, non di rado sopravvivono a lungo imprese e interi settori produttivi che sfruttano i consumatori. Se così il rigore correttamente applicato dovrebbe comportare innanzitutto la riforma del mercato e della sua eventuale inadeguata regolamentazione per renderlo più efficiente e, così, massimizzare la rendita dei consumatori. Se così, il mercato efficiente tutt’al più impone il rigore al settore privato concorrenziale. È un non sequitur affermare che lo stesso rigore impone tagli alla spesa sociale e tasse”. Infatti la spesa sociale e le tasse necessarie per finanziarle sono determinate attraverso le procedure di scelta collettiva, ossia, dal c.d. mercato politico all’interno del quale gli elettori scelgono i beni e servizi pubblici da produrre e, in un sistema democratico, scelgono anche gli strumenti con cui finanziare la spesa pubblica. A certi livelli di reddito i cittadini vogliono consumare più beni privati e più beni pubblici. A seconda del tipo di beni pubblici, si scelgono tariffe, prezzi politici, tasse e imposte generali. Naturalmente anche nel settore pubblico ci sono inefficienze e sprechi sia dal lato dei prelievi che dal lato della gestione della spesa pubblica ed è comprensibile che questi attirino maggiormente l’attenzione di quelli del settore privato. Sia le inefficienze del settore privato sia quelle del settore pubblico comportano un costo sociale, ossia, un abbassamento del livello del benessere della collettività. In pratica, i cittadini come consumatori e come utenti di servizi pubblici ottengono meno beni privati e meno beni pubblici.
Come rimediare alle inefficienze del settore privato e pubblico? In modo analogo e diverso. Come detto sopra, quando i mercati sono efficienti, gli operatori sono tutti price-takers e perciò hanno interesse a risparmiare sui costi se vogliono espandere la loro attività. In molti casi i mercati sono inefficienti e bisogna correggere regolamentazioni sbagliate o aprire i mercati protetti. Il settore pubblico intanto produce beni e servizi che non sono prodotti dal settore privato. Correggere le inefficienze, ridurre o eliminare gli sprechi risulta un po’ più difficile e complicato se non si adottano adeguati sistemi di gestione e controllo dei servizi. Serve la spending review non straordinaria ma in via ordinaria, non solo ex post ma anche durante. Nel settore pubblico servono manager all’altezza del compito. Secondo le cronache, la spending review fu adottata per la prima volta nel 1981 dal Ministro Andreatta che incaricò proprio il prof. Giarda ora ministro del governo Monti e il prof. Baldassarri ora presidente della Commissione bilancio del Senato. Per dichiarazione di quest’ultimo, la spending review non è stata mai fatta. Perché ? perché non è compito dei ministri che spesso non conoscono bene la macchina che sono chiamati a dirigere. Né ha funzionato adeguatamente l’Ispettorato di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato. Inoltre oggi più della metà della spesa pubblica è decentrata e, quindi, la spending review dovrebbe essere fatta dall’alta dirigenza dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Non è stata fatta perché i dirigenti pubblici ai vari livelli non sono stati valutati pur essendoci da 20 anni una legge (D. Lgs. n. 29/93) che lo prevede. Se non c’è valutazione, se tutti i dirigenti avanzano di carriera e ricevono i previsti incentivi a prescindere dai risultati conseguiti anno per anno, non c’è merito, non c’è incentivo a raggiungere risultati migliori o valutare i propri dipendenti. Se quelli incapaci vengono premiati come quelli capaci, le inefficienze si perpetuano. Quindi non funzionano i controlli interni alla PA per colpa dei governi centrale, regionali e locali. Ci sono i controlli esterni della Corte dei Conti che il governo centrale semplicemente ignora e che sono esortativi per Regioni ed enti locali. La responsabilità di tutto questo ricade sui politici e governanti ai vari livelli. Il ponderoso rendiconto preparato dalla Corte dei Conti viene discusso e approvato in poche ore e non rileva ai nostri fini che l’anno scorso sia stato motivo delle dimissioni di Berlusconi.
Nel settore pubblico non c’è alcun meccanismo automatico che spinga all’efficienza e gli incentivi esistenti sono costruiti e gestiti male. E tuttavia non è vero che il settore pubblico è sempre inefficiente. Ci sono almeno due casi emblematici che lo dimostrano proprio nel comparto della spesa sociale: la previdenza e la sanità. Ci sono centinaia di studi empirici che dimostrano che la previdenza pubblica concentrata in uno o pochi enti pubblici di gestione costa meno di un sistema privato con decine e decine di enti ed imprese privati che, quantunque efficienti, hanno costi amministrativi più elevati, devono pagare dividendi ai loro azionisti e, quindi, devono necessariamente ridurre le erogazioni (benefici) agli assicurati. Analogamente, per la sanità pubblica di molti paesi europei e quella mista fondata prevalentemente sulle assicurazioni private. Nonostante la recente riforma del Presidente Obama, la sanità degli Stati Uniti costa in media circa il doppio di quanto costa nei principali paesi europei dove la sanità è principalmente pubblica.
In Italia previdenza e sanità sono le prime due missioni più importanti della spesa sociale della PA. Non sto sostenendo che in particolare nella sanità non ci siano sprechi ed inefficienze da eliminare o ridurre. Ma in questo settore il mercato ha ben poco da dire nell’attuale situazione italiana. Tutti i tentativi di introdurre elementi di concorrenza nel settore sanitario sono falliti e sono destinati a fallire se prima non si costruiscono e applicano i costi standard e non si elimina la corruzione nelle procedure di esternalizzazione. Infatti se i compensi alle cliniche o ai laboratori convenzionati vengono determinati attraverso i costi gonfiati di strutture pubbliche mal gestite, non si introduce concorrenza nel settore pubblico ma rendita di protezione. Il fatto è che in Italia si parla tanto di trasparenza e accountability ma in realtà non si praticano perché non ci sono controlli interni adeguati e quelli esterni della Corte dei Conti vengono ignorati. Se così, non sorprende che dilaghi la corruzione e illegalità. Se così non sorprende che la spending review del ministro Giarda incontri difficoltà enormi o consegua risultati del tutto insoddisfacenti. Risibile mi appare infine l’idea che il problema possa essere seriamente affrontato da un commissario straordinario.
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