Anche ieri un fiume di parole sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori alla direzione del PD ma Renzi non cambia strada forte com’è di una maggioranza blindata di yes men da lui nominati. Nella votazione finale gli è stata confermato l’80% dei consensi sulla sua linea. Una linea di politica economica che non serve ad affrontare i problemi dell’economia e serve solo a portare lo scalpo dei sindacati a Bruxelles per dire che lui una riforma del diritto del lavoro l’ha fatta anche se nessuno glie l’ha chiesta in questi termini e la Germania non cambierà linea come, purtroppo, ripetutamente, hanno confermato il ministro tedesco dell’economia Schauble e la stessa Cancelliera Merkel.
Vediamo cosa ha detto il MEF Padoan alla Conferenza interparlamentare sul Fiscal Compact: «Negli ultimi mesi tutte le istituzioni internazionali, gli analisti privati e i governi nazionali hanno dovuto ripiegare su se stessi circa le stime di crescita rivelatesi eccessivamente ottimistiche. Questi rinvii continui (aggiornamenti) suggeriscono non solo che la crescita si è dovuta spostare, ma che alcune cause profonde della mancanza di crescita non sono ancora ben comprese da tutti noi e siamo di fronte a problemi assai più profondi del semplice andamento ciclico». Autentica autocritica?
“La situazione è molto preoccupante – ha aggiunto – , con investimenti calanti, disoccupazione molto elevata e un andamento dei prezzi che prefigura rischi di deflazione”. Padoan accenna quindi alle critiche e ai suggerimenti della Commissione quando sostiene che le pressioni per l’aggiustamento del bilancio tra i paesi in deficit e i paesi in surplus «dovrebbero essere più simmetriche». Ma non attacca apertamente le
politiche di rigore che tanti danni e sofferenze hanno prodotto nei paesi periferici e circa gli stimoli alla crescita, da tutti auspicati a parole si limita ad auspicare anche lui “un uso migliore possibile degli strumenti che abbiamo a disposizione”. Tra questi, proprio nel Fiscal Compact, concepito in un quadro macroeconomico più favorevole (sic!) , “andrebbe tenuto conto delle difficoltà del quadro e delle circostanze eccezionali soprattutto di alcuni Paesi. Questo strumento va reso più potente e orientato alla crescita”.
Il rischio di deflazione “potrebbe essere in aumento” – ribadisce Padoan – nel corso della sua replica alla conferenza interparlamentare sul fiscal compact. “Si cominciano a intravedere segni in cui le aspettative a breve termine si trasmettono a quelle a lungo termine, il che significa che il rischio di deflazione potrebbe essere in aumento” ma confida che “la Bce stia assolutamente controllando questo fenomeno e si stia preparando a usare anche strumenti diversi per affrontare la situazione”. Affidiamoci a Super Mario.
Se questa è la situazione, non basta auspicare un allentamento delle regole del Fiscal Compact. Questo è un Trattato intergovernativo e per modificarlo servono tempi lunghi. Le modifiche arriverebbe a babbo morto. Servono invece 45-50 miliardi di investimenti pubblici hic et nunc per dare un chiaro segnale di svolta nella politica economica italiana ed europea. Deficit e debito sono economicamente connessi nel medio lungo termine. Devono essere tenuti distinti nel breve termine. Questa scossa per l’economia italiana – lo ripeto – serve qui ed ora per rovesciare le aspettative e dare un seguito ai ripetuti annunci sulla necessità di rilanciare gli investimenti. Serve che tale scelta sia compresa nella legge di stabilità per il 2015 se non vogliamo che anche l’anno prossimo sia un altro anno a perdere.
Non è una risposta adeguata citare l’annunciato piano Juncker di 300 miliardi in tre anni. Dati i tempi lunghi del processo decisionale europeo, è impensabile che detto piano diventi operativo agli inizi del 2015. Inoltre è irragionevole pensare che dei 100 miliardi all’anno possa toccare all’Italia una quota sufficiente a imprimere una spinta significativa al processo di accumulazione a livello italiano e tanto meno a livello europeo. Non ultimo, il governo non può illudersi che la svolta possa venire dalle ultime misure della BCE. Dette misure arrivano tardi e, data la segmentazione del mercato creditizio e dei capitali, non garantiscano che esse siano sufficienti . Lo ha detto lo stesso Draghi: serve il coordinamento delle politiche economiche e fiscali dei Paesi dell’eurozona. Cosa avveniristica se si pensa alla posizione della Germania che pur richiamata dalla Commissione europea per eccesso di surplus nella bilancia commerciale non solo non ha fatto niente ma critica aspramente la decisione della BCE di comprare pacchetti di crediti cartolarizzati di singoli PM dell’eurozona. Le nuove misure di Draghi certamente aumenteranno la liquidità a livello europeo. I mercati finanziari apprezzano ma i nuovi provvedimenti monetari rischiano di tradursi prevalentemente in operazioni di produzione di denaro a mezzo di denaro. Perché vale l’osservazione di Piketty: quando il tasso di rendimento dell’investimento finanziario è superiore di 4-5 volte il tasso di crescita dell’economia reale non conviene investire nell’economia reale.
Per i paesi periferici della UE, per via dell’eccessivo rigore delle regole del Fiscal Compact, si consolida il paradosso per cui aumenta la liquidità ma questa non può essere utilizzata dalla Commissione europea né dai governi dei PM. Questi sono vittima delle loro contraddizioni. Formalmente non vogliono centralizzare anche la politica economica e finanziaria ad un vero e proprio governo federale ma in pratica sottoscrivendo il Fiscal Compact si sono legati mani e piedi per cui hanno perso comunque la sovranità sulle loro decisioni di fiscal policy. Gioca l’equazione maggiore deficit = maggiore debito per cui l’Italia non potrebbe indebitarsi ulteriormente. Gioca l’ottusità dei governi di centro destra che prevalgono nei PM della UE e che egemonizzano il Consiglio dei Capi di Stato e di governo. Gioca la contraddizione italiana per cui il governanti italiani giorno dopo giorno affermano che abbiamo un problema di credibilità e che dobbiamo meritarla.
Se questa è la situazione , a che serve inseguire qualche concessione marginale? Come ha scritto Galli della Loggia ieri sul Corriere della Sera, serve “parlare alto e forte con il linguaggio della dignità e della verità”. Al di là delle minacce più o meno credibili di ritorsioni, Renzi e Padoan prendano il coraggio a quattro mani ed emettano debito pubblico aggiuntivo per 45-50 miliardi di euro per finanziare un programma di investimenti pubblici in grado di creare centinaia di migliaia di posti di lavoro nel giro di pochi mesi. Serve qui ed ora una terapia shock per rispondere alla emergenza occupazionale e avviare la crescita economica. Senza queste prime cure, le riforme strutturali non hanno buone probabilità di risultare efficaci.
Articoli recenti
Categorie
- Democrazia (40)
- Economia (22)
- Europa (143)
- Europa (32)
- Federalismo (7)
- Finanza pubblica (20)
- Fisco (10)
- Politica (19)
- Primo Piano (19)
- Società (5)
- Storia (7)