In una fase di forte accelerazione della globalizzazione, l’orizzonte degli statisti dovrebbe essere il governo mondiale. A maggiore ragione, vale la tesi di Spinelli secondo cui la federazione europea era un passo intermedio verso la federazione mondiale. Oggi questo è un obiettivo quanto mai attuale è urgente se non si vuole lasciare il governo economico del mondo alla finanza rapace e alle società di rating. Ma soprattutto se non si vuole lasciare deteriorare la democrazia in Europa e nel mondo. Abbiamo istituzioni sovranazionali inadeguate ai compiti che, giorno dopo giorno, perdono legittimazione democratica vuoi per la rappresentanza politica che essi esprimono vuoi per la loro incapacità a risolvere i problemi della gente comune ma soprattutto i grandi squilibri mondiali. Abbiamo i G7, i G8, G20, i G5 e i Gtanti. Sottoscrivono documenti che auspicano il coordinamento delle varie politiche, poi tornano a casa e continuano a fare i loro interessi aspettando che qualcun altro tolga le castagne dal fuoco. E i leader europei non si comportano diversamente. Ieri Renzi incontra separatamene Hollande, oggi si rivedono insieme alla Merkel. Si parla di direttori a tre a quattro. Abbiamo una pletora di organi collegiali e tutti si dilettano a suggerire incontri informali di gruppi a diversa composizione che non di rado escludono i cinque Presidenti e, in modo ancora più grave, il Parlamento europeo.
Due terzi dei Paesi Membri (PM) dell’Onu sono espressione di paesi a basso grado di democrazia se non proprio di dittature feroci. Questo costringe i paesi più democratici a dare spazio e legittimazione indiretta alle organizzazioni specializzate delle NU e/o a autorità amministrative indipendenti non di rado gestite e controllate da uomini dell’alta finanza attraverso le c.d. sliding doors, ossia, uomini che si alternano al governo dei più importanti paesi del mondo e delle maggiori banche d’affari residenti , in particolare, a Wall Street. Per questi motivi diventa cruciale quello che si può e si deve fare al livello delle aree regionali vaste, ossia , di dimensioni continentali. L’UE è una di queste e lo sforzo dei Paesi membri (PM) dovrebbe essere diretto a rafforzare sempre più le sue strutture e renderle sempre più responsabili da un lato rispetto ai suoi cittadini dall’altro rispetto alle aspettative del resto del mondo.
Vale la pena ripetere una cosa per molti di noi banale: chiudersi nello splendido isolamento o continuare a fare il piccolo cabotaggio sarebbe semplicemente suicida. Occorre invece intraprendere la strategia alta quella degli statisti che pensano alle generazioni future più che al mantenimento del loro potere non è facile. Limitando il discorso allo stato della UE, dopo il referendum inglese, mi sembra che i problemi da affrontare siano molteplici e molto complessi, alcuni di essi possono essere affrontati in tempi brevi, altri hanno bisogno di una più attenta meditazione e preparazione.
Ne elenco alcuni: a) rafforzare il ruolo del PE; b) rafforzare il ruolo della Commissione che deve diventare il vero governo centrale; c) abrogare il Consiglio europeo; d) adottare il principio della geometria variabile; e) il cambio della politica economica; f) l’adozione di una politica comune in materia di emigrazione. Ovviamente l’elenco non è esaustivo. Ci sono altri e pesanti problemi da risolvere ma in questo scritto mi occupo solo di quelli elencati.
Rispetto ad a) bisogna sciogliere il nodo delle competenze, ossia, precisarle meglio. Non si può pensare di andare avanti così . Se anche gli eventi più recenti impongono la geometria variabile, ossia, poteri diversi a seconda che si tratti di affari del nucleo avanzato o di quelli dei 28 ora 27 PM, allora bisogna adottare il modello delle due camere o quello di una camera e mezza. A questo riguardo si pone la questione del Senato federale . Nelle federazioni vere e proprie, tradizionalmente, c’è un Senato federale che assicura la rappresentanza paritaria degli Stati federati o con poteri paritari rispetto alla Camera o con poteri differenziati. Da noi si è scelta la soluzione del Consiglio europeo dove siedono i capi di governo dei PM. La soluzione mostra la corda perché, come vediamo ogni giorno, i capi di governo ragionano per lo più in una ottica che in primo luogo tiene presente gli interessi nazionali.
Gli obiettivi fondamentali da perseguire secondo me sono due : camera e senato devono essere in diritto e in fatto i massimi rappresentanti della sovranità popolare e le leggi che essi approvano devono essere immediatamente applicabili e applicate nei confronti dei cittadini europei . Senza passare attraverso lo strumento della legge comunitaria di livello nazionale che recepisce quelle del PE.
L’iniziativa legislativa sarebbe condivisa tra le Camere e il governo federale, alias, Commissione rafforzata. Il primo problema che si pone al riguardo del governo e se la forma di Stato deve essere una Repubblica parlamentare oppure una repubblica presidenziale o semi presidenziale. La mia preferenza va alla Repubblica parlamentare ma sono pronto a discutere le altre soluzioni a condizione che sia rigorosamente salvaguardata la separazione netta dei poteri come ad esempio negli Stati Uniti. Anche il governo avrebbe due composizioni diverse: una ristretta per gli affari dell’eurozona ed una allargata per l’UE a 27.
Con riguardo ad e) , a prima vista, la soluzione sarebbe più a portata di mano. Ormai c’è un certo consenso che la politica dell’austerità non ha dato i frutti sperati e che occorra cambiare passo. Non si può applicare la stessa ricetta a paesi in situazioni diverse. Le economie dei 27 PM non possono essere governate da regole automatiche, dai parametri di Maastricht. Non possiamo tutti perseguire lo stesso obiettivo del risanamento dei conti pubblici. Che senso ha avere la finanza pubblica in regola e decine di milioni di disoccupati che per anni e anni non hanno speranza di trovare lavoro? Il punto è che il cambio di politica economica in teoria sarebbe possibile anche nel breve periodo se solo ci fosse il consenso necessario . Serve non una maggiore flessibilità nell’applicazione delle attuali regole uguali per tutti ma una politica economica articolata per aree regionali con gli stessi problemi all’interno dell’Unione. La strategia di Lisbona sulla convergenza va rigenerata e rilanciata mettendo a disposizione della Commissione e dei governi nuovi e più incisivi strumenti di intervento diretto nell’economia. Bisogna prendere atto che, dopo la crisi iniziata nel 2008, con l’adozione del Fiscal compact e degli annessi e connessi regolamenti anche la politica economica è stata centralizzata ma confermando l’errore del 1997. Allora come negli anni recenti si è data priorità alla politica di stabilizzazione trascurando del tutto o quasi la crescita. Come noto, mentre si elaborava il Fiscal compact si stava elaborando anche un Growth Pact ma poi di quest’ultimo non se ne fece niente. Non solo ma si fece di più e di peggio. A fronte del persistere della doppia recessione che colpiva più duramente i PM euromed , l’accordo Cameron-Merkel riduceva di 90 miliardi le proposte della Commissione di aumentare il bilancio settennale ,alias, le prospettive finanziarie della UE.
Anche questo è un punto fondamentale che va riformato con urgenza se non si vuole condannare all’impotenza l’auspicato governo europeo. Come si fa a governare una economia di dimensioni continentali con un bilancio non solo striminzito di poco superiore all’1% del PIL europeo ma anche rigido. Serve intanto un sostanziale aumento del bilancio e il potere di indebitarsi per avere la possibilità di governare la domanda interna non solo a livello delle maggiori aree regionali ma dell’economia europea nel suo insieme, non solo per fare fronte agli shock esterni ma anche per affrontare sul serio gli squilibri territoriali che permangono e si aggravano all’interno delle varie aree regionali.
In una intervista al Corsera del 26 u.s. Amartya Sen, dopo avere richiamato il Manifesto di Ventotene, ha sostenuto che prima di fare l’euro bisognava fare l’Unione fiscale. Pur riconoscendo che la costruzione dell’Unione economica e monetaria è zoppa e incompleta. Rispettosamente mi permetto di dissentire. Un mercato comune e poi unico non può funzionare bene senza una moneta comune. L’idea è vecchia quanto il Trattato di Roma. Ma l’integrazione monetaria subisce una forte accelerazione con l’abbandono del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods voluto dagli USA (15-08-1971). Abbiamo avuto prima il serpente, poi il sistema monetario e infine l’euro. L’approccio funzionalista, in buona sostanza, ha funzionato. Sappiamo che l’Europa non aveva le caratteristiche di un’ottima area monetaria e che comunque servivano dei trasferimenti compensativi e perequativi. Ma i PM ricchi non hanno voluto i primi strettamente necessari per far funzionare bene la concorrenza né, tantomeno, i secondi.
In Italia l’attuazione dell’euro è stata disastrosa, producendo un forte aumento dei prezzi. Poi c’è stata una gestione filo-americana del cambio a cui solo recentemente ha posto parziale rimedio il Presidente della BCE Draghi. Dico che il problema più importante non è l’euro ma la politica economica. Ancora ai primi degli anni 70 , ossia, prima della fine dei “gloriosi trenta”, si parlava del quadrato magico della politica economica: crescita sostenuta e sostenibile (vedi Conferenza di Venezia, aprile 1972, organizzata da Spinelli) , piena occupazione, stabilità dei prezzi ed equilibrio dei conti con l’estero.
Dopo 30-40 anni di neo-liberismo, ci ritroviamo in Europa con crescita media asfittica, 25 milioni di disoccupati, la deflazione e squilibri fondamentali nelle bilance dei pagamenti. Siamo dentro il quadrato tragico.
O l’Unione si dà un governo centrale dotato degli strumenti necessari e sufficienti ad affrontare questi problemi in chiave sussidiaria dei governi dei PM oppure il suo futuro è veramente a rischio. Last but not least, vengo al problema dell’emigrazione. È connesso in maniera ineludibile con il problema della disoccupazione diffusa tra i lavoratori europei, tenendo conto che il fenomeno rischia di aggravarsi per effetto delle nuove tecnologie e della digitalizzazione. La Commissione europea non può accettare come tassi normali di disoccupazione quello italiano dell’11,6% e quello spagnolo più del doppio. Un governo europeo degno di questo nome deve darsi l’obiettivo della piena occupazione. Lo Statuto della BCE va modificato secondo il modello della FED. La misura è estremamente urgente se considero l’assenza o, se volete, l’estrema debolezza di un governo centrale dell’economia a livello dell’Unione. Solo in un contesto così modificato, l’Europa può sul serio cercare di diventare una società inclusiva non solo per i cittadini europei ma anche per quelli che hanno diritto a o vogliono diventarli.
È evidente che molte di queste politiche non sono fattibili nel breve termine perché richiedono modifiche ai Trattati Ma proprio per questo motivo bisogna riaprire al più presto il cantiere delle riforme costituzionali a livello europeo . Ma se parliamo di politica economica in senso stretto non poco si può fare in tempi relativamente brevi.