Le analisi e riflessioni che seguono prendono lo spunto dalla lettura di tre documenti ufficiali prodotti dalle istituzioni europee in vista del sessantesino anniversario della firma del Trattato di Roma (25-03-1957). I rapporti prendono il nome dai loro relatori: da Guido Verohfstadt (Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, 5-07-2016), e Boge-Berés (rispettivamente del Comitato Bilanci e del Comitato affari economici e finanziari, 1-05-2016), Bresso-Brock (Commissione affari costituzionali, 20-01-2016). Questi tre documenti elaborano circa 200 proposte puntuali con numerose duplicazioni e/o differenze marginali. Le proposte principali vanno valutate attentamente . Dico subito che nel Rapporto Verohfstadt (il piu recente dei tre) ci sono due proposte, amio giudizio, fondamentali. La prima chiede l’abrogazione dell’attuale Consiglio europeo e la sua trasformazione in un vero e proprio Senato federale eletto direttamente e con parità di poteri con il Parlamento Europeo, quindi, bicameralismo perfetto. La seconda auspica la trasformazione dell’attuale Commissione in un vero e proprio governo federale pur continuando a parlare di nuova governance economica. Valuto positivamente queste proposte perchè supererebbero l’ibrido attuale di un assetto federale in fatto governato da un Consiglio espressione dei governi (sub-centrali) dei Paesi membri PM della UE . Se gli assetti di governo multilivello, come si dice adesso, sono assetti di governo suddiviso, ogni livello deve avere il suo governo in un rapporto di sussidiarietà verticale. L’anomalia prevista dal Trattato di Lisbona è che in Europa i due più elevati livelli di governo sono costituiti dalle stesse persone con una forte distorsione del modello teorico che causa non pochi problemi che conosciamo.
Tornando ai tre Rapporti, con tante proposte anche di dettaglio, mi sembra che i relatori seguano il c.d. approccio puntuale che si contrappone a quello globale. Con il primo si isola un problema specifico e si propone un nuovo strumento. Per ogni nuovo problema si propone prima un comitato di studio, poi uno strumento e, infine, magari, un fondo e così via creando una ragnatela di strutture specializzate ma frammentate. Con il secondo approccio, si guarda alla macchina istituzionale nel suo insieme, si constata che essa non funziona bene e si decide di sottoporla ad una revisione generale o , al limite, alla sua sostituzione con una macchina nuova. Ovviamente Senato federale e Governo europeo con tutti i poteri del caso, non solo esclusivi ma anche concorrenti, rientrano bene in questo secondo approccio ma richiedono numerose e profonde modifiche del Trattato di Lisbona e, quindi, inevitabilmente, tempi molto lunghi.
A sentire i dibattiti che si vanno svolgendo su questi tempi e i pareri di politici ed esperti di politica europea non sembra che a Bruxelles e nelle capitali dei PM ci sia una grande voglia di riaprire il cantiere delle riforme istituzionali anche perchè, nei prossimi anni, si svolgeranno elezioni in Francia, Germania ed altrove e i Capi di governo si concentreranno sui loro problemi elettorali. Eppure, secondo me, alcune delle riforme proposte dai tre Rapporti sono strettamente necessarie e urgenti. Prima si affronteranno e prima si risolverà il problema di legittimità e di deficit democratico che affligge le istituzioni europee. In detti Rapporti ci sono commenti diversi sulla bontà del metodo intergovernativo che negli anni scorsi ha prevalso su quello comunitario. Se l’attuale assetto istituzionale, in fatto e in diritto, è sostanzialmente federale e se esso va completato e formalizzato come tale, allora il metodo da adottare è quello federale, senza se e senza ma.
Negli ultimi anni invece, si sono creati una serie di strumenti nuovi per fronteggiare la crisi e, per alcuni di essi si è alzata la fonte legislativa adottando il trattato intergovernativo sui cui è stato chiesto il parere del PE ma inevitabilmente delegittimando questa istituzione. Perché lo si è fatto? Perché viviamo “la politica nell’era della sfiducia” (Rosanvallon, Controdemocrazia. Castelvecchi, 2012). I governi del PM non si fidano l’uno dell’altro e credono di risolvere il problema innalzando la fonte del diritto , alias, consacrando certi accordi in c.d. Trattati intergovernativi o imponendo ad alcuni PM di modificare articoli rilevanti della loro Costituzione (vedi modifica dell’art. 81 Cost. richiesta dalla Germania). Se, come sostengo, in fatto, noi siamo già in uno stato federale perché abbiamo una moneta unica nell’eurozona, una politica economica e finanziaria comune dopo il Fiscal compact e i due regolamenti principali (Sixpact e il Twopact) anche se tuttora zoppa; perchè abbiamo una politica comune della difesa anche se delegata alla NATO , occorrerebbe prenderne atto e superare sia il metodo comunitario che quello intergovernativo adottando, come detto, il metodo federale. Ma come è facile constatare, non soffia il vento giusto per fare questo salto di qualità e tuttavia è chiaro che non si può stare con le mani in mano davanti all’aggravarsi delle crisi che affliggono l’Unione a 28 e l’eurozona in particolare e che sono interconnesse: la stagnazione economica, la disoccupazione, l’emigrazione e il terrorismo di matrice islamica.
Per loro natura questi problemi non possono essere affrontati e risolti con accordi solo tra i PM dell’UE e dell’eurozona. Sono caratterizzati da forte interdipendenza con quello che fanno le autorità di altri Paesi, di altri continenti. In queste ultime settimane, successive all’esito del referendum britannico, si è parlato molto degli effetti di una eventuale secessione della GB dalla UE ma si è ignorato quello che l’eurozona non fa per rilanciare la crescita del PIL e dell’occupazione. La stagnazione europea e la crisi dei paesi Brics hanno prodotto un rallentamento della crescita dell’economia mondiale ben più grave di quello che, a mio giudizio, potrebbe produrre la Brexit. In ogni caso, la eventuale secessione della GB è e resta un problema politico ed economico della UE. La situazione del Medio Oriente aggrava i fenomeni emigratori e dei rifugiati politici ma, accanto ad essa, c’è l’emigrazione strutturale proveniente dall’Africa di dimensioni bibliche. Vedi Rapporto sull’economia mondiale e l’Italia, a cura di M. Deaglio,Guerini e associati, novembre 2015. L’Europa ha la popolazione più vecchia del mondo e l’Italia è in prima fila per la decrescita demografica. Non se ne parla abbastanza a livello federale. Abbiamo 25 milioni di disoccupati e in piu gli scoraggiati a livello europeo. È come il problema non esistesse. Eppure c’è un collegamento ben preciso tra rilancio della crescita e dell’occupazione a livello europeo e le possibilità di accogliere un maggior numero di profughi , rifugiati e anche di migranti economici. Nei prossimi decenni l’UE , volente o nolente, deve affrontare l’arrivo di decine e decine di milioni di migranti. Una stima prudenziale parla di 50 milioni di persone pronte a lasciare l’Africa. È chiaro che se non si risolve innanzitutto il problema dei disoccupati cittadini europei aumenta fortemente il rischio della c.d. guerra tra i poveri; aumenta la presa dei movimenti xenofobi e la situazione politica in alcuni PM dell’UE rischia di diventare esplosiva.
Ma analizziamo un po’ meglio il problema della politica economica a livello europeo. Con il Trattato di Maastricht essa era rimasta decentrata e così con il Trattato di Lisbona. Ma con Il Fiscal Compact e gli annessi regolamenti, in diritto e in fatto, essa è stata centralizzata sempre però con l’idea del pilota automatico a cui si assegna la rotta e, quindi, si va avanti con il pilota automatico che la corregge quando la nave devia o scarroccia. Le proposte dei tre documenti citati anche se accolgono la proposta del ministero delle finanze e/o del tesoro (Boge-Berès: 41; Bresso-Brok : 9; Verohfstadt: 10) sostanzialmente si muovono all’interno della cornice attuale seppure con differenze di enfasi. Auspicano un nuovo atto giuridico in materia di governance economica. In altre parole, il ministro sarebbe un vice-presidente della Commissione. Ma non si approfondisce il discorso della missione e del ruolo che il governo dovrebbe avere, non si entra nel dettaglio dei nuovi poteri che bisogna attribuirgli. Non si capisce se avrà il potere di indebitarsi per finanziare progetti di investimento in infrastrutture, di ricerca e sviluppo, di controllo integrativo e complementare della domanda effettiva.
Resta l’obiettivo fondamentale di trasformare la Commissione in un vero e proprio governo federale europeo che abbia un bilancio congruo (4-5 punti del PIL europeo) per essere in grado di svolgere manovre anticongiunturali di un qualche rilievo. La politica economica deve essere competenza concorrente del governo federale e dei governi dei PM dell’UE, a cui applicare il principio di sussidiarietà verticale. La politica economica e finanziaria deve essere opportunamente articolata per tener conto dei diversi problemi che i governi delle zone centrali e periferiche devono affrontare. L’esperienza dimostra che l’applicazione meccanicistica di regole automatiche uguali per tutti non funziona e sta portando ad una crescente divaricazione dei livelli di reddito e di benessere tra le diverse macro aree dell’UE. Se questa, in tutta sintesi, dovesse essere la nuova missione del governo europeo non serve un “nuovo atto giuridico in materia di politica economica” (vedi Rapporto Bresso-Brok: p.9).
Come sappiamo l’attuale mix di politica fiscale e monetaria se ha fronteggiato la crisi dei debiti sovrani non sta funzionando per rilanciare la crescita del PIL e dell’occupazione. La politica monetaria é espansiva e a tassi zero ma è contraddetta da una politica fiscale restrittiva attuata con grande rigore. Ha salvato le banche e i debiti sovrani di alcuni paesi ma non fa arrivare la liquidità necessaria alle famiglie e alle imprese. Da ultimo la BCE ha deciso di comprare direttamente titoli di grandi imprese. È chiaro che potrà farlo in quantità limitate altrimenti rischierebbe di sostituirsi alle banche e non credo che questo sia il suo progetto. Ma sappiamo che c’è un difetto di domanda effettiva che non consente alle imprese di produrre di più e programmare nuovi investimenti. Per altro verso, i PM con forti surplus nelle loro bilance commerciali non aumentano la loro domanda interna. La Germania ha imposto una politica di austerità fondata sulla svalutazione interna dei prezzi e dei salari nei Paesi euromed. Il risultato è il taglio dei salari nei paesi più deboli e la deflazione. Sembra un paradosso ma non lo è : nonostante l’enorme liquidità immessa nel sistema dalla BCE, con le varie misure di allentamento monetario abbiamo la deflazione. Si tratta di una novità senza precedenti per l’Italia dopo che per 5-6 decenni il problema è stato sempre quello di un’inflazione molto elevata. Le banche prima salvate e ripetutamente aiutate restano in posizione precaria. Ottengono liquidità a tassi quasi nulli, comprano titoli del debito pubblico che fruttano interessi molto bassi; non erogano liquidità a famiglie e imprese se non restituiscono i fondi presi a prestito precedentemente. Hanno un problema strutturale di reddititività.
Il mix non funziona perché nei paesi con autorità di politica economica autonome e “indipendenti” la politica fiscale ha come soggetto un vero e proprio governo e la politica monetaria ha un ruolo ancillare , ossia, accomoda la politica economica e finanziaria adottata dal governo. Negli USA peraltro anche la FED, per statuto, deve salvaguardare non solo la stabilità dei prezzi ma anche i livelli di occupazione. Nella UE il ruolo egemone è svolto dalla BCE ma i continui appelli del governatore Draghi a coordinare meglio le politiche economiche dei governi dei PM sono serviti solo ad inasprire la politica di austerità nei paesi che meno ne avevano di bisogno.
Per la Germania la politica economica e finanziaria ha finalità istruttive ed etiche. I PM con alto debito pubblico sono colpevoli. In tedesco schuld significa colpa ma anche debito. I PM con alto debito si comportano come le cicale. Devono imparare a non scialacquare le risorse d’estate e metterle da parte per l’inverno. Devono mantenere i conti pubblici in equilibrio. Se non lo fanno, devono espiare le loro colpe e imparare le best practices dei paesi virtuosi. In teoria questo potrebbe anche andare bene in tempi normali ma non durante la gestione di una recessione/depressione più grave di quella iniziata nel 1929. Come se i responsabili della crisi mondiale fossero stati l’Irlanda e le cicale del Mediterraneo e non gli squali famelici della finanza di New York . Come se a scialacquare le scarse risorse dei PM euromed fossero stati operai e impiegati e non i governanti di quei Paesi complici le banche francesi e tedesche che compravano titoli del debito pubblico ad alto rendimento. Ma al di là di interpretazioni a sfondo etico, é un fatto che in Europa prevalgono governi di centro-destra che sostengono politiche economiche neo-liberiste e conservatrici che privilegiano il ruolo del mercato piuttosto che quello dello Stato, ritenuto meno efficiente e problematico. La nuova occupazione deve essere creata solo dalle imprese, lo Stato deve limitarsi ad erogare loro incentivi e/o concedere riduzioni delle tasse. Non a caso, all’interno della UE, imperversa una concorrenza fiscale senza regole ritenuta dalle destre utile per contenere l’aumento dellla spesa pubblica. Il costo del denaro in teoria è molto basso per chi riesce a indebitarsi e perciò bisogna concentrarsi sulla riduzione del costo del lavoro.
Di fronte ai guasti sociali che la crisi ha determinato in molti invocano la Unione sociale accanto a quella fiscale , bancaria ecc. La invocano giustamente anche i sindacati dei lavoratori. Devo premettere che quando si discuteva della creazione dell’Euro gli economisti americani ci avevano avvertito ripetutamente che per far funzionare bene una moneta comune in un’area geo-economica caratterizzata da forti squilibri socio-economici servivano un sistema articolato di trasferimenti dalle aree più ricche a quelle più povere. Non penso ai c.d. trasferimenti solidali che in Europa hanno scarsa cittadinanza, ma soprattutto a quelli cosiddetti compensativi tipici della politica regionale, fondamentali anche per far funzionare bene la tanto auspicata concorrenza nel mercato unico. Come fa una piccola e media impresa, lontana dai mercati , con manodopera meno qualificata , taglieggiata dalla mafia, con servizi alle imprese lontani e perciò più costosi, a competere con analoghe imprese vicine ai mercati centrali con tutti i vantaggi discendenti dalll’essere inserite in un ambiente con servizi avanzati ed efficienti e con strutture amministrative e giudiziarie bene funzionanti. Mi si dirà che ci sono i fondi strutturali e quelli della politica regionale e/o della coesione sociale per affrontare questi problemi ma sappiamo che detti fondi sono largamente insufficienti e che i risultati in termini di convergenza fin qui ottenuti sono del tutto insoddisfacenti.
Ora anche per questi motivi è giusto invocare politiche sociali più attive ma bisogna sapere che tanto più efficacemente si affronta congiuntamente e si risolve positivamente il problema della disoccupazione e dell’integrazione degli immigrati tanto meno risorse servono fondi per le politiche sociali. Tanto meglio si risolvono i problemi della qualificazione e della formazione permanente dei lavoratori tanto minore saranno le risorse necessarie per ridurre la disoccupazione frizionale e quella discendente dalla digitalizzazione dell’economia e/o dall’utilizzo crescente della robotica.
Ora tutto questo si può e si deve fare in tempi più o meno ravvicinati se si trova l’accordo nel Consiglio europeo che al momento tiene in pugno le redini della politica economica e finanziaria. Le regole astruse con cui si calcola la fiscal stance e l’output gap , il deficit strutturale di ciascun PM potrebbero essere temporaneamente accantonate . Bisogna sottrarre la gestione della politiche fiscali agli automatismi delle regole e alle bizantine discussioni sulla flessibilità ammessa dalle stesse regole su cui si esercitano periodicamente i super tecnici della Commissione e gli stessi commissari quasi ogni giorno con interpretazioni diverse delle regole.
Un’ultima osservazione sulla lotta al terrorismo islamico. Se è vero che è in corso una guerra mondiale, come sostiene Papa Francesco, in alcuni casi, fratricida come in Siria e in Iraq allora come suggerito anche dal Presidente Obama , la struttura pronta e attrezzata per svolgere sia l’attività di intelligence sovranazionale che quella di contrasto e di intervento militare, eventualmente necessaria specialmente nello scacchiere mediterraneo e del Medio oriente, é la NATO . Se aspettiamo che i servizi segreti dei PM della UE si coordinino tra di loro o che addirittura si crei l’FBI europeo, la procura europea e quant’altro, aspetteremo ancora a lungo e vedremo ancora molto sangue sparso sulle terre europee.