Non senza fondamento, i fautori del NO al referendum costituzionale intravvedono rischi di svolta autoritaria nelle scelte operate a partire dalle elezioni del 2013. Si è votato con una legge elettorale successivamente dichiarata incostituzionale in parti significative con la sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014. Per scelte improvvide del Presidente della Repubblica si è silurato il “vincitore” di quelle elezioni Pier Luigi Bersani, nominando successivamente Enrico Letta. Quindi su richiesta generale delle forze politiche Napolitano viene rieletto Presidente della Repubblica per un secondo mandato. Dopo una breve vita grama, Letta viene sostituito da Renzi che, nel frattempo, aveva scalato il PD con primarie, a dir poco, malamente regolate. Devo premettere che in realtà i governi Monti, Letta e Renzi, in buona sostanza, sono tutti e tre governi del Presidente nominati con procedure discutibili e tutti nati senza un preliminare ed approfondito dibattito in Parlamento. Come si sostiene nel documento delle 14 Fondazioni del 2008 già prima il sistema istituzionale italiano era stato sottoposto ad una forte “torsione presidenzialista”, alias, autoritaria. Con la Presidenza Napolitano la situazione si è fortemente aggravata. Da quasi 5 anni siamo governati da tre governi nominati dal Presidente Napolitano, da tre governi di dubbia legittimità per via delle procedure, diciamo, eccezionali con le quali sono stati scelti i presidenti di tre governi che, in ogni caso, probabilmente, non casualmente, in forte continuità tra di loro con riguardo alla politica economica e finanziaria che hanno attuato facendo scrupolosamente i compiti dettati dalle Autorità europee. Un significativo elemento di discontinuità purtroppo c’è stato sul mandato specifico della riforma costituzionale- come tutti sanno – voluta fortemente dal Presidente Napolitano nel momento dell’accettazione del secondo mandato – imposta a Renzi, ma senza un preciso mandato popolare perché di essa non si era discusso nelle elezioni politiche del febbraio 2013.
Per giustificare questa affermazione ho scorso il Programma elettorale del PD per le elezioni del 2013. Si afferma: “Dobbiamo sconfiggere l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo al comando…..
“La crisi della democrazia non si combatte con “meno” ma con “più” democrazia. Più rispetto delle regole, una netta separazione dei poteri, una vera democrazia paritaria e l’applicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo……..
“Sulla riforma dell’assetto istituzionale, siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e rafforzato, con un ruolo incisivo del governo e la tutela della funzione di equilibrio assegnata al Presidente della Repubblica. Riformuleremo un federalismo responsabile e bene ordinato che faccia delle autonomie un punto di forza dell’assetto democratico e unitario del Paese”.
Diversamente nei programmi degli altri partiti. Se uno scorre i 20 punti del programma di Forza Italia, non ce n’è uno solo che riguardi la riforma costituzionale. Così nel programma del M5S. Solo la Lega Nord proponeva la riforma del bicameralismo, la introduzione del senato federale e delle macro-regioni.
SEL proponeva un’Assemblea costituente ma per affrontare i problemi istituzionali europei, cioè, per revisionare i Trattati, mettere al centro il parlamento europeo e riformare il Fiscal Compact. Tutti i programmi enfatizzavano i provvedimenti per rilanciare la crescita ed arrestare il declino, come era ovvio, nelle circostanze che vedeva l’Italia preda della seconda grave recessione dopo quella del 2009.
Se questo è vero ed è vero perché sommariamente sto raccontando fatti e non opinioni, non c’è alcun mandato popolare e, quindi, c’è violazione dell’art. 1 della Costituzione. La legge di riforma costituzionale, approvata a colpi di maggioranza risicata, aggiunge ingiuria ad insulto.
Ma veniamo ai temi anche teorici della democrazia e delle scelte sociali. Da economista mi riferisco agli aspetti che mi sono più familiari come sono presentati nei migliori manuali internazionali. Coloro che hanno studiato la teoria della politica economica e del benessere sanno che le preferenze non sempre si aggregano, non sempre si sommano per fare maggioranza.
Kenneth Arrow, premio Nobel per l’economia 1972, ha individuato situazioni in cui non si forma la maggioranza. Il teorema è stato definito teorema dell’impossibilità della maggioranza. Quelli di destra né fanno discendere l’impossibilità della democrazia. E quindi avallano soluzioni autoritarie. Se identifichiamo la democrazia con il principio maggioritario, sappiamo che, in teoria, ci può essere da un lato dittatura della maggioranza con il 51% dei voti e c’è dittatura o ricatto della minoranza nei casi in cui si prevede la unanimità. Non è una cosa rara. A livello UE per molte importanti decisioni è prevista l’unanimità.
Come si supera il problema? Con la previsione di maggioranze qualificate, il buon senso, con il negoziato tra maggioranza e minoranza componendo gli interessi diversi. In molti casi, gli interessi si possono comporre. Poi ci sono i diritti su cui a maggior ragione si impone il negoziato tra tutte le parti presenti in parlamento. In fatto è una questione di coesione sociale e di condivisione di valori fondamentali e di propensione alla cooperazione. Solo in Italia si teorizza che il governo piglia-tutto deve avere una maggioranza blindata come nel caso dell’elezione diretta dei sindaci e, detto in latinetto, secondo il criterio: “simul stabunt simul cadent”. A mio giudizio, questo criterio può valere solo per i piccoli comuni, non si addice alle grandi città e, meno che mai, al governo di un grande Paese membro dell’Unione europea. Sia pure a livello sub-centrale i parlamenti dei paesi UE si occupano dell’attuazione dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini e la relativa legislazione deve essere approvata con il massimo di consenso politico.
Per chi non ha studiato il sistema costituzionale USA, ora basta vedere il film sul Presidente Lincoln mentre si occupava di un diritto fondamentale di uguaglianza e libertà che richiedeva l’abrogazione della schiavitù nel mezzo della Guerra di secessione. Si vede come Lincoln passava le giornate e anche alcune notti a negoziare con i rappresentanti del Congresso per raggiungere la maggioranza necessaria. Un codicillo a questo discorso è che negli USA, storicamente e in generale, si governa con l’accordo tra l’area moderata del Partito repubblicano e quella progressista del Partito democratico. Si tratta infatti di partiti di massa all’interno dei quali c’erano e ci sono forti gruppi reazionari e anche razzisti.
Si parla molto del Sistema delle garanzie. Ma deve essere chiaro che dove è bassa la propensione a cooperare, non bastano regole formali ma devono prevedersi statuti dell’opposizione e/o poteri di veto analoghi a quelli previsti dalla costituzione USA ed illustrati da Tzebelis in un libro intitolato “Veto Powers” tradotto dal Mulino. L’Autore, un politologo americano di origine greca, spiega come funzionano in realtà le istituzioni moderne non solo nel caso USA della separazione netta dei poteri ma anche nei casi in cui c’è una forte polarizzazione delle posizioni e, quindi, si abbassa il livello di cooperazione.
Non è vero che per 30-40 anni non si è fatto niente. Dopo la bocciatura della riforma costituzionale di Berlusconi del 2005, sono ripresi i tentativi di riavviare il discorso su binari corretti.
Nella Primavera del 2008 ben 14 fondazioni rappresentative delle principali aree politiche e culturali del Paese sottoscrissero un Manifesto politico di 27 pagine in cui concordavano sugli obiettivi e sul metodo da perseguire per arrivare alla riforma costituzionale. Le tesi furono illustrate in un seminario del 14 luglio 2008 e gli atti pubblicati in un volume di Astrid del 2009. C’è tutto e di più di quanto sento dire in questa fase.
Voglio citare qui un solo punto preliminare sul quale c’era pieno accordo. “Bisogna ristabilire la supremazia della costituzione, difenderne la stabilità e porre fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte con il voto a maggioranza”.
È significativo che questo punto con le stesse parole sta anche nel Manifesto del PD elaborato proprio in quel periodo. La riforma Renzi ha violato questo impegno e ha ignorato quasi tutti gli altri punti.
Questo punto sulle regole condivise è stato ripreso da tutti gli interventi al Convegno organizzato da Massimo D’Alema e Gaetano Quagliariello il 12 ottobre scorso alla Residenza di Ripetta (Roma) con la partecipazione di molti esponenti del Centro destra e della sinistra.
Se il problema è culturale, come sostiene correttamente Stefano Rodotà, il problema non può essere risolto solo con regole formali ma con il dialogo, il buon senso e la ricerca di un terreno comune. La democrazia inglese funziona senza una Costituzione scritta. Noi scriviamo e riscriviamo continuamente le leggi e siamo diventati maestri nell’abuso del diritto.
In generale, è più probabile che il terreno comune lo si trovi se le regole del gioco vengono discusse e decise dai parlamenti e dalle assemblee costituenti avvolti nel velo dell’ignoranza che non è la ignoranza senza velo di chi ha scritto la riforma Renzi in violazione della regola fondamentale secondo cui le regole del gioco si stabiliscono senza sapere chi saranno quelli che se ne avvantaggeranno.
Non è vero che se vince il No dobbiamo aspettare altri 40 anni. D’Alema e Quagliariello hanno presentato una proposta di legge breve in tre punti che potrebbe essere approvata nello scorcio di questa legislatura. Essa prevede: a) la riduzione del 30% del numero dei parlamentari (400+200); b) l’elezione a suffragio universale e diretto di tutti i parlamentari; c) i senatori verrebbero eletti su base regionale. Con un provvedimento a parte, ai fini della semplificazione del procedimento legislativo, i suddetti propongono la introduzione della Commissione di conciliazione nel caso in cui la Camera che esamina la legge per seconda apporti modifiche al testo – come previsto dal manifesto delle 14 fondazioni.
P.S.: Per chi è interessato, il Manifesto delle 14 Fondazioni e gli interventi del seminario del 14 luglio 2008 sono stati pubblicati da Astrid nel volume a cura di Franco Bassanini e Roberto Gualtieri, “Per una moderna democrazia europea”, Passigli editori, 2009.