Joseph E. Stiglitz, L’euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, Giulio Einaudi Torino, 2017.
E’ un dato di fatto che la governance dell’UE funziona male e che in molti PM (paesi membri) stanno crescendo movimenti anti-euro. Il fenomeno riflette lo scontento di vasti strati sociali a partire dalla classe media che si è impoverita. Aumentano le diseguaglianze non solo per effetto della globalizzazione ma anche per le miopi politiche economiche portate avanti dal Consiglio europeo e dalla Troika durante la crisi mondiale. Per semplicità di comunicazione tutti parlano di effetti dell’Euro. Ritengo invece che sia opportuno distinguere tra gestione della moneta comune e le politiche economiche dell’austerità implementate durante la crisi mondiale innescata dalle banche e dalla finanza americane. Certo ci sono anche difetti e colpe nella costruzione e nella gestione dell’euro dovute all’approccio funzionalista e gradualista che aveva dato il meglio sino al Trattato di Maastricht. La teoria dell’area valutaria ottimale (AVO) presuppone una area geo-economica omogenea ma questa non c’è da nessuna parte se parliamo di regioni vaste come continenti. In presenza di squilibri territoriali l’AVO prescrive un sistema efficiente ed efficace di trasferimenti compensativi delle diseconomie esterne che gli operatori economici devono affrontare nelle aree periferiche e meno sviluppate. Si può ricordare che nella UE abbiamo già schemi di trasferimenti come i fondi strutturali e la politica di coesione economica e sociale ma sono dotati di risorse insufficienti. Bisognerebbe aumentarle consistentemente per adeguarle ai fabbisogni e aumentare la loro efficacia potenziale. Ma gli squilibri strutturali e i divari territoriali sono fenomeni di lungo termine da affrontare con strategie di lungo termine. Dice Stiglitz: non sono loro che hanno causato la crisi e servono altri strumenti per affrontare gli shock asimmetrici di breve-medio termine come quelli prodotti dalla finanza rapace. Servono altri strumenti e altre risorse e quelli fin qui creati – a dieci anni dall’inizio della crisi – sono alcuni del tutti inadeguati altri ancora da completare. Servirebbero soprattutto strumenti per il governo macro-economico dell’eurozona e dell’Unione a 27. La Germania e i suoi alleati di centro-destra hanno sempre respinto questa proposta nella fase decisiva della costruzione della moneta comune. Travolti dalla crisi alcuni PM periferici sono stati in pratica commissariati dalla Troika (composta da rappresentanti del FMI, della BCE e della CE), con un ruolo egemonico della BCE. La CE elabora programmi specifici per ciascun paese in crisi suddivisi in due parti: una prima contenente misure macro-economiche prevalentemente mirate a tagliare la spesa pubblica e/o aumentare le tasse; la seconda contenente prescrizioni circa le riforme strutturali da attuare per rendere i PM in crisi più efficienti e competitivi.
Visti i risultati storici fallimentari delle politiche di austerità a partire da quelle di Herbert Hoover (31mo presidente USA 1929-1933) che fa precipitare il paese nella Grande Depressione, Stiglitz si chiede perché la Troika abbia potuto insistere in politiche così controproducenti. Si dà due possibili spiegazioni: 1) il c.d. fondamentalismo di mercato per cui le cose miglioreranno da sole se si riduce il perimetro dell’intervento dello Stato, ovviamente fondato sull’assunto che i fallimenti dell’operatore pubblico sono peggiori di quelli del mercato; 2) una spiegazione strettamente politica secondo cui c’è stata e c’è la volontà politica dei governi di centro-destra in maggioranza nel Consiglio europeo di far fallire quelli di centro-sinistra e dimostrare così la superiorità delle loro politiche. Circa la Troika va precisato che il FMI da qualche anno ha mostrato un certo ravvedimento operoso proponendo ad esempio un taglio del debito greco e ammettendo gli errori di calcolo sui moltiplicatori. E qualche elemento di novità viene anche dalla Commissione europea la quale mostra un timido nuovo approccio a favore della crescita con il c.d. Piano Juncker. Niente del genere da parte della BCE. Secondo il Presidente Draghi del quale cito tre affermazioni importanti dal discorso alla XVIII conferenza di Francoforte del 6-04-2017: 1) la nostra politica monetaria sta funzionando; 2) la ripresa economica fa progressi; 3) la dinamica inflattiva dipende dalla continuazione dell’attuale politica monetaria e continuerà così finché essa si stabilizzerà attorno all’obiettivo prefissato del 2%. Non mi sfugge che in altre occasioni Draghi ha evocato il coordinamento delle politiche fiscali dei PM e che i suoi inviti sono rimasti inascoltati. Se poi l’ultimo Bollettino della stessa BCE ci dice che la vera disoccupazione è doppia (18%) rispetto a quella ufficiale, questo è un fatto di definizione statistica che ha attirato l’interesse dei media solo per un giorno. Se poi il divario tra PM del Nord e quelli del Sud cresce, questo dipende dagli squilibri storici che bisogna accettare come tali, anzi, come naturali come naturale definiscono gli economisti della BCE il tasso di disoccupazione italiano all’11,6%.
Stiglitz dedica un intero capitolo del suo libro alla BCE. Sostiene – ed è vero – che la BCE che la banca ha una governance inadeguata. Il suo statuto limita la missione alla stabilità dei prezzi e a quella del sistema bancario al di là degli interessi dei cittadini. Non è un attacco a Draghi che loda a p. 149 per la famosa frase: “faremo tutto il necessario per salvare l’euro” (luglio 2012) mentre non lesina critiche a Trichet. Pone un problema serio di riforma dello statuto della BCE che con la delega implicita del Consiglio europeo egemonizza non solo la politica monetaria ma tutta la politica economica e finanziaria dell’eurozona.
Stiglitz (p. 32) propone di tornare al sistema monetario europeo (1979-99) in vigore prima dell’euro con oscillazioni più ampie e che consentiva aggiustamenti sui tassi di cambio significativi. Secondo il Nobel, i PM dell’eurozona possono e devono creare quel contesto istituzionale per cui sia possibile perseguire l’obiettivo della piena occupazione, ricreare un sistema di cambi flessibili ed aggiustabili, che promuova sul serio la convergenza tra le economie dei diversi paesi e, quindi, consenta la graduale riduzione della banda di oscillazione senza compromettere il processo di convergenza stesso. Per promuovere quest’ultimo servono politiche attive molto più impegnative di quelle adottate finora. La Strategia di Lisbona è fallita e lo stesso si può dire dell’attuale Europa 2020. Non si possono adottare strategie di pura impronta neoliberista senza un ruolo diretto e rilevante della governance economica centrale e, comunque, lasciarla alla solo responsabilità dei PM che non dispongono di risorse per affrontare forti divari territoriali di carattere strutturale. Infatti, promuovere la convergenza per regioni che soffrono di ritardi storici non può essere fatto senza modificare le regole generali della concorrenza fiscale al ribasso, se i PM non possono poi applicare la regola della golden rule per gli investimenti necessari, se non si aggiornano rendendole più flessibili anche le regole sugli aiuti di Stato.
Nel capitolo IX Stiglitz concorda che serve più Europa ed elenca sei riforme strutturali della sua governance economica di tal che si possa perseguire una politica della piena occupazione: 1) una vera Unione bancaria, messa in opera nel 2012 è ferma a metà strada non senza ricordare che la gestione fin qui fatta ha aggravato la crisi di liquidità di cui soffrono le banche di alcuni PM; 2) la mutualizzazione del debito; 3) un nuovo quadro per la stabilizzazione economica e finanziaria per neutralizzare i destabilizzatori automatici, assorbire gli shock asimmetrici e perseguire la piena occupazione; 4) regole più stringenti per allineare gli squilibri strutturali, scoraggiare i surplus alzando i salari e adottando politiche fiscali espansive e convergenti nei PM eccedentari; 5) misure dirette a promuovere la crescita e la piena occupazione; 6) misure che garantiscano il perseguimento degli obiettivi di cui al punto precedente come una regolamentazione dei mercati finanziari che assicuri il riciclo dei risparmi e faccia funzionare il circuito dei capitali in modo che essi vengano investiti nel modo più efficiente e nelle aree periferiche dove ce n’è maggior bisogno.
Essendo impossibile raccontare in poche pagine un libro molto ricco di analisi e dati non solo sulla storia dell’euro ma soprattutto sulle politiche economiche e finanziarie e sulla pessima gestione da parte del Consiglio europeo della prima grande crisi mondiale del XXI secolo chiudo sottoscrivendo la conclusione di Stiglitz: “fortunatamente, esistono alternative agli accordi attuali, che possono creare una vera prosperità condivisa: la sfida è imparare dal passato per creare la nuova politica e la nuova economia del futuro”. Restare fermi con l’attuale assetto istituzionale e perseverare nell’attuazione di politiche sbagliate e fallimentari costa molto di più che provare a cambiarle.