Non bastano le Costituzioni scritte per salvare la democrazia.

Steven Levitsky e Daniel Ziblatt, Come muoiono le democrazie, Introduzione di Sergio Fabbrini, traduzione di Fabio Galimberti, Editori Laterza, 2019 (ed. orig. 2018).

Per capire quello sta succedendo, per capire perché la democrazia arretra dappertutto dove più e dove meno bisogna studiare la storia. È quello che fanno i due professori di Harvard.  Essi riprendono l’idea di Juan J. Linz che a Yale ha impegnato gran parte della sua carriera di scienziato politico a capire perché muoiono le democrazie e ha enfatizzato il ruolo dei dirigenti politici. Levitsky e Ziblatt (il primo esperto di America Latina, il secondo dei paesi europei), fanno un’analisi storica comparata che non si limita ad alcuni paesi di questi due continenti ma, all’occasione, studiano altri paesi, sviluppano l’analisi di Linz sui dirigenti politici e ci aiutano a capire quali sono quelli pericolosi. “Dobbiamo preoccuparci quando un politico 1) rigetta, con le parole e con i fatti, le regole del gioco democratico; 2) nega legittimità agli avversari; 3) tollera o incoraggia la violenza; o 4) si dimostra pronto a limitare le libertà civili degli avversari, mezzi di informazione inclusi”. Individuano nei partiti le sentinelle della democrazia. Oggi sappiamo che in molti paesi democratici i partiti sono molto deboli e ridotti a simulacri di quello che erano una volta per via del prevalere del populismo, del leaderismo e della personalizzazione della politica. Ai partiti strutturati spetta il compito di opporsi all’emergere di politici autoritari nel loro seno ma sappiamo come in Italia si è teorizzato il partito liquido, il partito come mero strumento elettorale. E quando gli stessi politici e i cittadini invocano l’uomo forte la frittata è fatta. Richiamano il nuovo contesto mediatico che consente ai politici demagoghi e/o aspiranti autocrati ampi margini di manovra che occupano gli spazi vuoti lasciati dai partiti in fase di dissolvenza. Un contesto dove fioriscono gli esperti di comunicazione che insegnano a tutti come trasmettere velocemente (in tempo reale) i loro messaggi. E quando la competizione si fa dura non rifuggono dall’utilizzo di fake news o comunicazioni mirate a screditare in ogni modo gli avversari visti come nemici veri e propri da distruggere. Naturalmente dal loro punto di osservazione hanno davanti agli occhi il caso di Trump ed osservano che come candidato non aveva l’appoggio dei maggiorenti del partito repubblicano (d’ora in poi GOP great old party) che c’erano ma che, a loro giudizio, hanno abdicato al loro ruolo non facendo nulla per fermarlo.

 Levitsky e Ziblatt intitolano il cap. IV come sovvertire l democrazia. Premettono che far funzionare bene una democrazia è un compito sfibrante che richiede grande impegno non solo da parte dei politici in generale e spirito di leale collaborazione da parte di maggioranza e minoranza. Gli aspiranti autocrati invece si impegnano a controllare quelli che loro chiamano gli arbitri: il sistema giudiziario, le forze dell’ordine, i servizi di intelligence, le autorità fiscali, e le autorità di regolazione.  Richiamano anche la tesi generale di Ilya Somin sul ruolo dei giudici e lo judiciary scrutiny che le corti supreme possono esercitare sulle leggi e gli atti del governo. Un altro modo di svuotare dall’interno la democrazia è quello di manipolare le leggi elettorali e i regolamenti connessi al fine di raggiungere il loro scopo.  Citano l’esempio storico degli Stati del Sud della federazione dove il PD manipolò le leggi sui requisiti soggettivi e le modalità di esercitare il voto per cui l’abolizione della schiavitù ottenuta con la Guerra di secessione non produsse cittadini con diritti politici pieni. Furono approvate ad iniziativa del PD una tale congerie di restrizioni, poi raccolte nel famigerato Compromesso del 1877, che impedirono agli afroamericani di esercitare a pieno i loro diritti politici sino al 1964 e 1965. In pratica uccisero la democrazia negli ex Stati della Confederazione. Una volta messi in riga gli arbitri, gli aspiranti autocrati si rivolgono agli avversari politici del proprio partito e dell’opposizione, agli imprenditori, agli organi dell’informazione, a figure religiose popolari, a intellettuali, personalità note cercando di attirarli nella loro cerchia oppure screditandoli anche con accertamenti fiscali. Citano una serie di esempi che vanno da Chavez e Maduro in Venezuela, Fujimori in Cile, Peron in Argentina, Orban in Ungheria, Putin in Russia, Erdogan in Turchia, ecc.. In altre parole, invece di gestire veri e propri colpi di stato con fucilazioni, confino ed esilio, gli aspiranti autocrati per lo più preferiscono agire comprando l’opposizione ed emarginando quelli che rifiutano di fiancheggiarli nascondendo le varie operazioni sotto una facciata di legalità. Eccezione clamorosa quella del turco Erdogan che in fatto ha operato l’epurazione di 100.000 funzionari pubblici, la chiusura di diversi giornali, 50.000 arresti tra cui centinaia di giudici, pubblici ministeri, e due giudici costituzionali.  “Per i demagoghi a cui vanno stretti i vincoli costituzionali – affermano Levitsky e Ziblatt – una crisi può rappresentare un’opportunità per cominciare a smantellare gli scomodi, e a volte pericolosi, controlli e contrappesi che sono parte integrante della politica democratica”. Elencano i diversi presidenti democratici e repubblicani che hanno colto dette opportunità: Bush padre e figlio hanno raggiunto il massimo dei consensi durante la prima guerra all’Iraq e dopo l’11 settembre 2001, lo stesso Franklin Delano Roosevelt e molti altri ancora.    

Nel cap. 5 Levitsky e Ziblatt si occupano delle barriere di sicurezza della democrazia distinguendo tra norme scritte e quelle consuetudinarie non meno importanti delle prime. Premettono che la Costituzione degli Stati uniti in generale viene considerata una delle migliori anche se costituzionalisti come Robert Dahl, altri e loro stessi non la identificano con la democrazia; affermano inoltre che essa è stata “copiata” da quasi tutti i paesi dell’America latina ma quasi sempre aggirata clamorosamente. PQM essi si concentrano sul debole tessuto della consuetudine, ossia, sulle regole informali che non si trovano scritte nel testo costituzionale. È vero che l’importanza di una norma scritta è di norma rivelata dalla sua assenza ma sappiamo che l’Inghilterra una delle più antiche monarchie costituzionali non ha una costituzione scritta eppure il sistema funziona proprio grazie a norme consuetudinarie. La prima di queste norme è la tolleranza reciproca tra le forze politiche che competono per il governo del Paese. Se i nostri avversari politici rispettano le regole costituzionali non possono essere considerati nemici da combattere – come prevedono le categorie del politico di Carl Schmitt che i nostri non citano neanche. Quando questa basilare norma di tolleranza reciproca è fragile la democrazia fa fatica a sopravvivere. La seconda regola è la temperanza (forbearance), il self restraint, il paziente autocontrollo e/o moderazione dei politici che animano e governano le istituzioni.   L’opposto della temperanza o moderazione istituzionale è lo sfruttare senza alcun freno le proprie prerogative istituzionali. Tolleranza reciproca e moderazione sono norme di comportamento strettamente collegate   e si alimentano a vicenda. I due autori tra gli altri citano il caso del Cile 1973; pur menzionando il ruolo della CIA negli affari cileni sottolineano come le due principali forze di allora i socialisti e i democristiani non rispettarono le norme di sicurezza e la democrazia cilena cadde in maniera violenta. Su questa linea gli autori riprendono di nuovo il discorso della tolleranza reciproca al ribasso operata con il famigerato compromesso del 1877 che ha consolidato per circa un secolo l’egemonia del PD razzista negli Stati del Sud e, quindi, il governo suddiviso del paese. Non senza osservare che la costruzione di un clima di confronto civile e collaborazione tra GOP e PD in quel lungo periodo ha contribuito l’esclusione razziale degli afroamericani.   D’altra parte ricordano Levitsky e Ziblatt durante la Convention di Filadelfia tutti i costituenti a parole volevano una repubblica, in fatto, poi per via degli ampi e indeterminati poteri attribuiti al Presidente hanno legiferato una nuova monarchia come ebbe a dire George Washington – o una “presidenza imperiale” come l’ha definita lo storico Arthur M. Schlesinger Jr. consulente del presidente Kennedy. Come noto, i costituenti americani hanno stabilito una separazione netta tra i tre poteri dello Stato per cui il Congresso può non approvare le leggi proposte dal Presidente e viceversa questi può mettere il veto sulle leggi approvate dal Congresso. Nella prassi costituzionale USA il Presidente passa la maggior parte del suo tempo a confrontarsi con esponenti del Congresso per concordare le leggi da approvare e viceversa. Ma quando la politica si polarizza – specialmente negli ultimi decenni – diversi presidenti che non apprezzano la collaborazione con l’opposizione che controlla una o entrambe le Camere hanno fatto ricorso  ad atti esecutivi tipo comandi ai militari, “decreti”, ordinanze esecutive per le agenzie pubbliche, circolari e memorandum esecutivi (una specie di circolare presidenziale), sino ad arrivare ad accordi esecutivi come quello che Obama stipulò con l’Iran in materia nucleare che formalmente non è un Trattato internazionale e, quindi, non richiede la ratifica del Senato.   Nei rapporti tra maggioranza ed opposizione è previsto il filibustering o ostruzionismo come potere informale dell’opposizione che portato agli estremi può bloccare una legge della maggioranza ma viene usato raramente.  Storicamente molti presidenti hanno fatto ricorso a questi poteri indeterminati specialmente in situazioni di crisi o presunte tali o per evitare di collaborare con l’opposizione. La violazione delle norme in materia elettorale non avviene solo a livello federale ma anche a livello degli stati federati che hanno competenza sulle modifiche dei collegi elettorali che per legge dovrebbero avvenire dopo un censimento ma che in non pochi casi avviene prima giustificandola con la forte mobilità che caratterizza gli spostamenti delle persone e quindi su dati meno affidabili.   

Se non si rispettano le regole precedenti avviene lo sfilacciamento del tessuto democratico buone o cattive che siano le norme scritte nelle Costituzioni. Gli autori citano il ruolo del senatore Newt Gingrich che sposando esplicitamente la logica amico-nemico negli anni ’90 contribuì notevolmente a spostare a destra il GOP più di quanto il PD si fosse spostato a sinistra. In fatto contribuì a creare una situazione per cui non c’è più terreno comune tra i due storici partiti americani che oggi si dividono su pericolose linee integraliste di razza e religione così favorendo la polarizzazione.  A questa ha contribuito un cambiamento epocale prima nella società e poi nella composizione dei due partiti. Nel 1950 i non bianchi erano appena il 10%, nel 2014 il 38%, nel 2044 secondo previsioni dell’Ufficio del Censimento saranno la maggioranza.  Il GOP è diventato un partito a stragrande maggioranza composto da bianchi; il PD raccoglie i voti di tutte o quasi le minoranze etniche; nel GOP c’è una forte presenza di evangelici; per converso nel PD si riscontra più laicità. A questa grande trasformazione hanno contribuito i media di destra che castigano pubblicamente i politici repubblicani dialoganti con il PD. E molti donatori privati che non mancano di chiedere adeguate contropartite.

Levitsky e Ziblatt dedicano l’ottavo capitolo al primo anno del mandato di Trump anche se non hanno mancato di citarlo in quelli precedenti. Ha provocato le dimissioni del direttore dell’Ufficio etico del governo; ha fatto molti tentativi di modificare le leggi sui diritti civili e quelli elettorali. Lo definiscono un mentitore seriale nonostante che la norma informale preveda che il presidente debba dire sempre la verità. Un comportamento questo molto grave se si pensa che il buon funzionamento della democrazia servono cittadini bene informati. Naturalmente i suoi seguaci filtrano con lenti di parte le sue esternazioni e questo spiega come l’abbia fatta e continua a farla franca. Eppure il diritto ad una informazione corretta è diritto elementare per i cittadini e senza di essa viene meno la fiducia tra governanti e governati. Se così si erodono le basi della democrazia rappresentativa. Da qui la rilevanza di una stampa indipendente ed autorevole. Ma Trump va avanti sulla sua strada: ha attaccato il New York Times, il Washington Post, la CNN e singoli giornalisti ad alcuni dei quali ha proibito l’accesso alla Casa Bianca, si è scagliano contro presentatori TV in pubblico. Neanche Nixon era arrivato a tanta arroganza del potere.

Levitsky e Ziblatt concludono il loro lavoro con una specie di appello su come uscire dalla recessione democratica e salvare la democrazia in particolare quella americana su cui disegnano due scenari. Il primo ottimista che ipotizza il mancato rinnovo del mandato a Trump che darebbe slancio ai democratici che potrebbero cancellare alcuni provvedimenti del loro avversario e assumerne di nuovi per migliorare la qualità della democrazia come avvenne dopo le dimissioni di Nixon.

Il secondo scenario è pessimista e prevede la rielezione di Trump e dei repubblicani che cavalcando l’onda del suprematismo bianco si assicurerebbero la maggioranza in entrambe le Camere e nella Corte Suprema e così aprirebbero la strada a modifiche delle leggi elettorali per fabbricare maggioranze durature. Ed il gioco costituzionale potrebbe farsi molto pesante con ulteriori restrizioni alla identificazione degli elettori, espulsioni di immigrati clandestini o presunti tali, riduzione degli strumenti a disposizione delle opposizioni, ecc.. Disegnano uno scenario da incubo che gli stessi autori ritengono poco probabile.

Il terzo scenario che Levitsky e Ziblatt ritengono più probabile è quello in cui aumenta la polarizzazione e, di conseguenza, le rotture con le buone pratiche politiche e il gioco costituzionale pesante; se così la democrazia resta senza barriere di sicurezza affidabili. Con o senza Trump tolleranza reciproca e temperanza politica declinano. La Costituzione – ripetono i due autori – non è un’opera di ingegneria meccanica. Senza i partiti strutturati, senza regole di comportamento per gli uomini che animano le istituzioni (tolleranza reciproca e temperanza istituzionale) la Costituzione rimane un pezzo di carta – come ebbe a dire Piero Calamandrei – che giace inerte in un cassetto o per terra se non trova le gambe sulle quali farla camminare.

“Le istituzioni – continuano Levitsky e Ziblatt – sono qualcosa di più delle regole formali, richiedono anche una visione comune di quali sono i comportamenti appropriati che vi devono sovraintendere”. Al riguardo citano Gunnar Myrdal 1944 che vedeva nel credo americano due principi fondamentali: “libertà individuale ed egualitarismo” ma aggiungono che detti principi “scritti nei documenti fondanti, ripetuti nelle scuole, nei discorsi, negli editoriali dei giornali si giustificano da soli, ma non si applicano da soli”. Da americani sono preoccupati del fenomeno Trump e affermano che il trumpismo ha costruito il suo potere su una polarizzazione preesistente, per sconfiggerlo bisogna andare oltre Trump. L’alternativa è imparare a collaborare nonostante la polarizzazione, è superare la polarizzazione”.

 Il libro è del 2018 ma è di estremo interesse perché non si occupa solo degli USA ma sviluppa un’analisi comparatistica e storica di grande rilevanza. Quanto mai opportuno leggerlo nel 2020 in vista delle elezioni presidenziali di novembre.   

 http://enzorusso.blog/2020/01/15/non-bastano-le-costituzioni-scritte-per-salvare-la-democrazia/

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