Nel loro libro ?Il costo della democrazia?, Mondadori, 2005, Cesare Salvi e Massimo Villone, professori di diritto pubblico e pro-tempore senatori di sinistra ci spiegano funzionamento e costo della politica.
S e V individuano tre cause principali per spiegare la crisi del nostro sistema politico: la dissolvenza dei controlli di ogni tipo, il federalismo e la debolezza della politica.
Nel blog del 10 luglio u.s. mi sono occupato del problema dei controlli. In questa seconda parte dell?analisi dei contenuti del libro mi occupo del rapporto tra il costo della democrazia, quello che gli Autori chiamano ?spaghetti federalismo? e la debolezza della politica.
Nonostante che da alcuni decenni si cerchi la delegificazione e la semplificazione del sistema ? affermano gli Autori – la funzionalità dell?apparato politico e amministrativo non migliora. E? su tale situazione che si innesta negli anni ?90 la forte spinta verso la decentralizzazione in sintonia con quanto avviene in altri Paesi. Da alcuni questa viene perseguita come la ricerca per migliorare l?efficienza e promuovere la partecipazione politica. Da altri, come S e V, viene percepita come una ulteriore complicazione del sistema e causa del suo deterioramento. Trovo poco convincente questo aspetto dell?analisi di S e V e perciò dedico ad esso un po? più di attenzione.

Intanto colgo una forte contraddizione tra l?obiettivo della semplificazione e quello della decentralizzazione. Essa ricorre nelle analisi di commentatori disattenti e dell?uomo della strada ma che vi incorrano due illustri professori di diritto pubblico e parlamentari francamente mi sorprende non poco. Infatti, è ovvio che se, al posto di un solo livello di governo ne prevediamo 4-5, il sistema non può non risultare più complicato. Potrei riprendere il discorso sulla mancata abrogazione delle Province che invece continuano a moltiplicarsi. Però le domande da porsi, secondo me, sono altre. Una società complessa può essere governata da un governo centralizzato monolivello? Un governo suddiviso può essere più efficiente? Può sviluppare la partecipazione democratica ed il controllo sociale? La risposta in chiave teorica, storica e culturale è sì. Invece, S e V, presi dalla loro avversione ad accettare il federalismo, come del resto gran parte della dottrina giuridica italiana, utilizzano l?argomento come una sorta di capro espiatorio. Il federalismo viene utilizzato per spiegare tutti i mali che affliggono il sistema politico e la società civile italiani.
E? il punto più debole della loro analisi e la riprova si ha quando i due autori, pur affermando che il federalismo fiscale non è stato attuato e che il governo di centrodestra ha praticato un gretto centralismo, probabilmente in buona fede, cadono nell? errore di Sartori e di altri di considerare come maggiore costo il ?valore? delle funzioni da trasferire. Non voglio affermare che si possa attuare il trasferimento delle competenze a costo zero anzi prevedo che un certo aumento di costo inevitabilmente ci sarà per diversi motivi ma spacciare come fanno alcuni il valore di alcune funzioni gestite e finanziate attualmente a livello centrale come maggior costo per la collettività è un errore tecnico.

In secondo luogo, non mi convince la spiegazione che S e V danno della origine del processo di federalizzazione del Paese. Lo spiegano come un tentativo di ?associare la Lega alla coalizione di governo e sterilizzare i temi di cui era portatrice. Sulla scena politica si sarebbe agitata una tematica federalista che non aveva e non ha riscontro nella gran parte del Paese, ma ha precise e solide ragioni nelle dinamiche del sistema politico?. S e V trascurano le tendenze a livello mondiale ed europeo. La duplice tendenza alla globalizzazione da un lato e al decentramento dall?altro. Lo Stato nazionale di stampo ottocentesco è troppo piccolo per occuparsi efficacemente dei problemi planetari. E? troppo grosso e lontano per occuparsi dei problemi locali della gente. Il cittadino da un lato viene lanciato sulla scena mondiale verso la omologazione, dall?altro si abbarbica come meglio può al proprio campanile alla ricerca di identità.
S e V sembrano ignorare il processo di revisione costituzionale che ha interessato ed interessa molti paesi europei e la stessa Unione, la spinta delle regioni di diversi paesi europei che hanno ottenuto da lungo tempo, il Comitato delle regioni per potere interloquire direttamente a Bruxelles con la Commissione europea come avviene in Italia con la Conferenza delle regioni.

Non so se come politici o giuristi, S e V spiegano la grande abilità di Tremonti a ricucire con la Lega Nord e imputano a questo fatto l? accelerazione del federalismo, ma questa spiegazione a me sembra folkloristica. S e V non colgono che c?è un forte filone di letteratura economica sul governo suddiviso che, se correttamente applicato, potrebbe portare al miglioramento dell?efficienza delle istituzioni politiche e di quelle economiche. Potrebbe portare ad una democrazia più avanzata (federale).
S e V. criticano l?art. 114 Costituzione come novellato nel 2001 e l?equiparazione di tutti i livelli di governo. Sono d?accordo con loro che, però, non spiegano come si è giunti a tanto. Forse dovrebbero interrogare alcuni potenti sindaci del loro stesso partito. Inoltre criticano, ma da destra, il sistema delle conferenze perché svuoterebbe di potere decisionale e deresponsabilizzerebbe il Parlamento. Osservo che le conferenze, se correttamente utilizzate, sono uno strumento fondamentale di cooperazione e/o collaborazione tra i diversi livelli di governo in assenza di un senato federale. Senza trascurare che, d?altra parte, il Parlamento è già ampiamente espropriato dal governo che monopolizza o quasi l?iniziativa legislativa e non rifugge da un utilizzo strumentale del voto di fiducia.
Come tanti commentatori, più o meno distratti, S e V osservano la crescita abnorme dei conflitti di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, ma sembrano trascurare che la mancata attuazione della riforma del 2001 è forse la causa principale del contenzioso costituzionale tra Governo centrale e governi regionali. Che la bieca politica centralistica del governo Berlusconi è stata l?esatto contrario del self- restraint che il governo centrale avrebbe dovuto praticare nei confronti di quelli sub-centrali.

Per altro verso, la scelta federalista viene spiegata anche con il refrain della politica debole. Secondo me, S e V si sbagliano. Il problema della riforma costituzionale viene da lontano e S e V lo sanno bene. Trova la sua fondamentale ragione in un sistema bloccato fino al crollo del Muro di Berlino e alla successiva implosione dell?Unione Sovietica. Nel sistema bloccato di allora, la competizione politica non era assente ma si svolgeva prevalentemente tra le correnti dei partiti ?condannati? a governare comunque il Paese. Dopo il 1991 era ovvio concludere che bisognava riformare il sistema elettorale per attuare l?alternanza e innescare più competizione. La svolta ? si fa per dire – trova un?accelerazione a fine 1994 quando Bossi e Buttiglione fanno cadere il primo governo Berlusconi e poi nel 1996-97 con la Bicamerale presieduta dall?On. D?Alema. Si è avuta l?alternanza ma non la maggiore competizione auspicata. Il federalismo certo motiva Bossi ma non Buttiglione. La Lega Nord arretra ma avanza il partito trasversale dei Sindaci che nel frattempo si sono insediati al potere.
Ma la politica debole è una ossessione per S e V; alla bisogna la vedono come causa o come effetto; sembrano adombrare l?idea che la politica debole sia dovuta addirittura alla spinta federalista emersa nel Paese. Se il riferimento è al ruolo del partito dei sindaci ?irresponsabili?, la mia diagnosi è diversa. Si dà il caso che nella fase più bassa della politica nazionale (Mani Pulite), acquistano forza crescente da un lato non la spinta federalista bensì quella secessionista della Lega Nord, dall?altro, il partito trasversale dei sindaci. La Lega Nord che è movimento nato dal basso in quella fase, accentua la sua spinta disgregatrice e di contestazione radicale del sistema (vedi emblematicamente lo slogan Roma ladrona). In alcune sue espressioni apicali, il partito dei sindaci ?irresponsabili? non nasce dal basso. Per lo più è composto da personalità politiche già note ed affermate a livello nazionale. Non coinvolte in Tangentopoli, queste preferiscono dedicarsi, prevalentemente e temporaneamente, al livello locale per evitare il discredito che colpiva la dimensione nazionale. Il governo centrale era diventato il Palazzo lontano ed irriso dalla gente. Alcuni politici anche nazionali (vedi Bassolino, Bianco, Rutelli, e altri) preferiscono impegnarsi nella dimensione locale più vicina alla gente.

Ma la forza del partito dei sindaci ?irresponsabili? ha poco di federalista. Si oppone decisamente ad un presunto neo-centralismo regionale come se si potesse realizzare un federalismo serio senza valorizzare il ruolo legislativo delle regioni anche in materia fiscale. Ha a che fare con la legge elettorale che ha consegnato loro poteri troppo forti confondendo stabilità con la governabilità. Come detto, anche il centrosinistra voleva portare il modello del Sindaco al livello del governo centrale, ossia, aveva un progetto per rafforzare i poteri del primo ministro ? e Salvi lo sa bene. Non è giunto in porto a causa del fallimento della Bicamerale di cui faceva parte e nella quale si è occupato proprio del problema forma di governo .

S e V cambiano quindi argomento e, secondo me, confondono le carte perché introducono quindi la questione dei partiti. Sembrano sostenere che i partiti sono più deboli per via del decentramento e della infiltrazione da parte delle lobbies e delle clientele locali. C?è questo e molto di più!
Premesso che nelle democrazie moderne i gruppi di interesse organizzati, le lobbies hanno un ruolo legittimo da giocare a tutti i livelli di governo, concordo che nel sistema di potere corrotto che S e V descrivono con grande acume, c?è spazio anche per le degenerazioni e le distorsioni che le clientele locali portano con se. Con l?aggravante che, mentre a livello nazionale nel frattempo si sono fatte massicce privatizzazioni, smantellando il sistema IRI e delle PPSS e, quindi, riducendo le occasioni (possibilità) per i politici di concedere favori e prebende, a livello locale, la gestione delle imprese municipalizzate si è trasformata in modi che facilitano la gestione disinvolta (?irresponsabile?) e/o la commistione tra interessi pubblici e privati. Vedi gli affidamenti in house a SpA in totale possesso degli EELL ed il massiccio ricorso all?outsourcing senza alcuna previa analisi di costi e benefici. Tutto questo ha poco o punto a che fare con il federalismo e S e V dovrebbero saperlo.
Io concordo che il partito dei sindaci ?irresponsabili? ha fatto danni importanti (nell?imporre una inconsistente equiparazione e rifiutando il ruolo delle regioni) ma non mi sembra si possa dire che i partiti nazionali siano deboli perché sono forti le loro proiezioni locali. I partiti nazionali sono autoreferenziali. Non si rinnovano. Non promuovono una nuova classe dirigente locale anzi ne impediscono la nascita e la crescita. I partiti nazionali sono deboli perché hanno perso il contatto con la società civile. Si contendono i salotti mediatici attraverso i quali raggiungono comodamente qualche milione di elettori alla volta. Rifuggono le piccole e faticose riunioni a livello locale, in periferia, dove qualcuno magari può interloquire con domande dirette non filtrate dal conduttore di turno. C?è un problema serio di qualità della classe dirigente a tutti i livelli pubblici e privati, nazionali e locali.

Non mi convince neanche il passaggio che S e V. fanno tra paese forte al Nord e paese debole al Sud. Certo se il riferimento è all?economia la tesi è relativamente fondata ma se il riferimento è alla politica, non mi sembra che il Nord esprima una classe politica più forte o che possa esercitare alcuna egemonia culturale. Non mi sembra che la Lega Nord sia portatrice di una visione strategica accettabile per tutto il Paese. Sembra veicolare interessi gretti, miopi e senza futuro. Anche d?altra parte, si vaneggia di una questione settentrionale quando tutto il paese ha un problema di declino morale, economico e civile. E certo non basta una debole ripresa dell?economia o vincere i campionati mondiali di calcio per ritenere che stiamo uscendo dal deserto morale. C?è un gravissimo problema di cultura della legalità. Se poi, vinto il campionato mondiale di calcio, si invoca da più parti la clemenza dei giudici sportivi. Se poi nel provvedimento di indulto motivato soprattutto dal sovraffollamento delle carceri, non si escludono i reati economici e finanziari (tra cui anche l?usura) per i quali pochissimi stanno in carcere. E come meravigliarsi poi se tra i reati c?è anche la corruzione se i sindaci avevano avuto il loro bravo condono per il danno erariale (vedi commi 231, 232, 233 della LF 2006 proposta e fatta approvare dal governo Berlusconi). Questo Paese ama la continuità o no?

Quello di S e V è una sorta di ?viaggio nella politica italiana?. Un cammino senza speranza? No perché restiamo nell?Unione Europea un?entità federata e federatrice.
No se S e V, e quelli che la pensano come loro, accantonata la loro avversione pregiudiziale al federalismo, si rendono conto che proprio un assetto istituzionale non centralizzato può promuovere la partecipazione politica, il controllo sociale, la responsabilizzazione (inopinatamente negata), quelle riduzioni dei consiglieri regionali, provinciali e comunali, delle spese di funzionamento delle istituzioni sub-centrali ? ma non solo di queste – che non possono essere autoritariamente imposte dall?alto. Devono invece maturare dal basso proprio perché attraverso il federalismo fiscale, la gente, i contribuenti percepiranno meglio il legame tra spesa pubblica locale e imposte che la finanziano e potranno imporre dal basso limiti più stringenti alle politiche di spesa ai vari livelli di governo.

Infine non vale gran che, secondo me, la loro argomentazione secondo cui la trasformazione in senso federalista ?favorirebbe il modello liberista di società?. Nel mondo abbiamo da un lato sistemi federali avanzati come quello nordamericano o australiano di impronta liberista e, dall?altro modelli come quello tedesco e canadese di impronta solidale. Si abbiamo i modelli teorici di stampo competitivo e quelli di tipo cooperativo. La contrapposizione è più nella mente dei sostenitori che nei fatti. In pratica, rileva il problema pratico della profondità dell?intervento pubblico soprattutto in termini di regolamentazione.
Negli USA, paese di presunto federalismo neo-liberista, c?è un salario minimo garantito (minimum wage) dalla legge federale ma in maggioranza gli Stati fissano liberamente e alla bisogna livelli superiori a quello federale. Hanno avuto un sistema di assegni familiari per le donne madri molto avanzato gestito dal centro ma che negli anni ?90 Clinton ha devoluto agli Stati. In altre parole, di per sè, l? assetto federale non è necessariamente un limite ad una politica sociale avanzata. Vedi più compiutamente il caso Germania.
In Italia se uno pensa al pauroso intreccio di interessi pubblici e privati a livello locale, forse più opportunamente, bisognerebbe pensare al c.d. market preserving federalism. Se bene attuato esso potrebbe consentire il passaggio dal welfare state al workfare. Potrebbe salvaguardare e promuovere la massima competitività del mercato, privatizzare le aziende municipalizzate e liberalizzare i servizi pubblici locali secondo un approccio empirico che, di volta in volta, valuti i guadagni di efficienza e di benessere per la collettività.