Carlo Rosselli alla ricerca della terza via nella libertà e nella democrazia*.

Nella sua Premessa agli “Scritti inediti di economia (1924-1927) di Carlo Rosselli, Biblion Edizioni, 2020, Paolo Bagnoli giustamente afferma che l’autore di questi scritti è stato un leader dell’antifascismo europeo, un grande politologo e teorico della democrazia. In Italia si era posto il problema di come rinnovare la piattaforma programmatica del Partito Socialista Italiano e di porre al centro di essa una teoria della giustizia sociale. In questa Premessa Bagnoli delinea il quadro storico politico all’interno del quale si muove Rosselli nei primi anni 20 quando i socialisti e le altre forze politiche non erano riusciti a bloccare la presa del potere da parte di Mussolini. Secondo Bagnoli al di là delle loro divisioni interne che avevano prima visto la scissione di Livorno (21 gennaio 1921) e poi quella (ottobre 1922) tra massimalisti e i riformisti di Filippo Turati che fondava poi il PSU, ai socialisti mancava un disegno strategico condiviso di salvaguardia della libertà e della democrazia. Il Partito Socialista Italiano non aveva capito la gravità della crisi economica e sociale che si era determinata nell’immediato dopoguerra a causa del diciannovismo che aveva provocato un violento scontro sociale e della illusione circa una possibile svolta rivoluzionaria alimentata dalla diffusa concezione deterministica della storia importata dal marxismo: “era accaduto in Russia poteva accadere in Italia”. Tra l’altro i socialisti non avevano neanche veri e propri leader rivoluzionari alla cui formazione Lenin aveva lavorato per 10 anni. I socialisti – continua Bagnoli – avevano una considerevole esperienza in termini di lotte mirate al riscatto sociale ma “non erano Stato e nemmeno si sentivano parte di esso”; non avevano capito il rapporto tra cittadini e istituzioni. Anche i popolari erano indecisi sul da fare tranne Don Luigi Sturzo. Più gravi le responsabilità dei liberali perché essi erano stati forza politica influente dall’unità in poi; si illusero che da sola la monarchia avrebbe resistito a Mussolini e salvato le istituzioni democratiche. Al capo dei fascisti bastò conquistarsi la fiducia del Re per raggiungere l’obiettivo.

Carlo Rosselli, tornato dalla guerra, avverte l’esigenza di capire, riflettere, di studiare e di confrontarsi con i compagni che si riunivano attorno a Gaetano Salvemini. Dopo anni di studio Carlo Rosselli capisce che il problema fondamentale dell’Italia è la libertà; la sua idea coincide con quella di Piero Gobetti secondo cui la libertà è il motore della storia. Tra i due nasce un grande sodalizio intellettuale. Cito da Bagnoli la frase che Gobetti scrive nel luglio 1924 presentando un articolo di Rosselli intitolato Liberalismo socialista sulla sua rivista La Rivoluzione liberale: “Una volta ammesso, come ammette Rosselli, che il socialismo è conquista da parte del proletariato di una relativa indispensabile autonomia economica e l’aspirazione delle masse ad affermarsi nella storia, il passo più difficile per intendersi è compiuto. Anche il nostro liberalismo è socialista se si accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto più volte. Basta che si accetti il principio che tutte le libertà sono solidali”. 

Evaso da Lipari con Emilio Lussu e Fausto Nitti, nell’agosto 1929, Rosselli fonda Giustizia e Libertà che non era e non voleva essere una costola del socialismo liberale ma un “movimento rivoluzionario dell’antifascismo democratico”, ossia, un movimento di quanti, archiviate le tessere e allargati gli orizzonti, vogliono combattere il fascismo per rifondare lo Stato sul paradigma libertà, democrazia e giustizia sociale. Nel gennaio 1932 elabora lo Schema di programma di Giustizia e Libertà vista come luogo di ricomposizione delle forze della sinistra italiana.  Paolo Bagnoli scrive di Carlo Rosselli economista non puramente accademico ma come scienziato sociale, uomo di azione che mira alla realizzazione di un progetto politico. Da qui lo studio attento del pensiero non solo economico degli economisti classici inglesi che, per l’appunto, erano anche filosofi morali, sociologi, storici economici, studiosi di etica privata e pubblica, in sintesi, scienziati sociali.  Infatti, se gli economisti si occupano non solo di produzione ma anche di distribuzione, delle due l’una: o ritengono che la distribuzione primaria conseguita dal mercato è “naturale” e soddisfacente – e non mancano economisti classici che lo fanno – oppure la ritengono socialmente inaccettabile e allora hanno bisogno di una teoria della giustizia sociale per cambiarla.

L’economista Marco Dardi elabora un giudizio su Carlo Rosselli economista riprendendo l’autodefinizione del Nostro: “economista né pivellino né eretico”. Sulle Dispense genovesi per gli studenti vede il modo in cui Carlo Rosselli svolge la sua funzione di docente mentre negli 11 dei 14 fascicoli di appunti ora raccolti nel volume della Biblion Edizioni vede la ricerca degli sviluppi del pensiero degli economisti classici tra il Sette e l’Ottocento che portano alla crescita del pensiero liberale caratterizzato da individualismo e utilitarismo – binomio con il quale Carlo Rosselli vuole fare i conti – mentre nel testo “Sulla razionalizzazione economica” del 1927 vede la ricerca di una via d’uscita dal sistema capitalistico.         Piuttosto secco il giudizio di Dardi su questi appunti: “quello che abbiamo non è la sua interpretazione degli economisti classici ma una interpretazione delle interpretazioni”.  A me sembra chiaro che gli appunti non possono essere valutati alla stregua di un saggio o di un trattato di economia, se l’obiettivo di Carlo Rosselli era quello di capire come ragionavano gli economisti classici che ipotizzavano (congetturavano) una “armonia spontanea fra interesse privato e interesse generale” basato sull’assunto che l’individuo è il miglior giudice di se stesso, la flessibilità dei salari e la capacità del mercato di autoregolarsi: se ognuno raggiunge il massimo di utilità, questa è la più alta per la collettività. Le citazioni delle interpretazioni precedenti la sua erano inevitabili.  Carlo Rosselli  respinge sia la visione ottimistica dell’armonia spontanea (naturale) sia quella Benthamiana del “massimo di benessere per il maggior numero di soggetti” dove i massimi sono vincolati per via della scarsità delle risorse e dai comportamenti e dalle preferenze degli operatori economici. Inoltre respinge l’idea della “illimitata proprietà privata dei mezzi di produzione e connesso incontrollato diritto di iniziativa affermando nel testo del 1927 il loro superamento a favore di quello che oggi chiamiamo un principio di regolazione mirato a garantire l’interesse generale o, come i costituenti del 1948 hanno scritto nell’art. 42 comma 2 della nostra Costituzione la funzione sociale che anche la proprietà privata deve assolvere. Di conseguenza, Carlo Rosselli supera il concetto di libertà individuale per passare a quella che oggi Axel Honneth** chiama libertà sociale, alias, la libertà dal bisogno delle masse diseredate. Per cui la libertà o è sociale oppure è solo privilegio di pochi; è enorme diseguaglianza. Vedi al riguardo l’analisi del suddetto direttore della Scuola di Francoforte sul fallimento del Trittico della Rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fratellanza) interpretato alla lettera. In questi termini, Dardi correttamente qualifica come socialmente radicato l’individualismo di Carlo Rosselli il quale condanna la socializzazione di tutti i mezzi di produzione (di stampo sovietico) perché al padrone in carne e ossa sostituisce un padrone anonimo, severo, lontano. Alquanto ingeneroso invece mi sembra il giudizio di Dardi quando afferma che Carlo Rosselli non ha fatto una revisione profonda del pensiero economico classico. Non era questo l’obiettivo che il Nostro si era dato e che stava perseguendo dentro e fuori le carceri: a) perché si tratta di appunti; b) perché non si è occupato di teoria economica ma di modelli e/o sistemi economici; c)  perché non ha avuto, secondo me, né tempo né interesse a rielaborarli in un Trattato; d) perché stiamo parlando non solo di storia del pensiero economico ma anche di etica individuale e pubblica,  di filosofia, sociologia, scienza politica e quant’altro nell’arco di un secolo e mezzo se si considerano anche le interpretazioni coeve e successive. Stiamo parlando di annotazioni varie su 50-60 personalità e scienziati sociali che hanno aggiunto vette molto alte del pensiero. Non basta una vita intera di più persone per fare una simile revisione.

Enno Ghiandelli aggiunge altre analisi sul pensiero politico di CR come uomo politico. Precisa che il Nostro liquida il sindacalismo di ispirazione cristiana a suo giudizio impregnato di un eccesso di solidarismo; critica pure il sindacalismo rivoluzionario perché accoglie la rigida suddivisione in due classi sociali; e sceglie quello riformista che, a suo giudizio, poteva evolvere nella direzione del socialismo liberale sul principio della libertà come motore della storia. Ghiandelli evidenzia questa scelta di Carlo Rosselli e la collega al Gildismo socialista inglese e ricorda la sua tesi di laurea dal titolo “Prime linee di una teoria economica dei sindacati operai”. Qui l’Autore “dimostra per via induttiva e deduttiva come non si possa estendere normalmente al mondo delle Leghe il teorema del massimo di utilità assicurato dal regime di libera concorrenza “.  A questo proposito mi corre l’obbligo di precisare di nuovo che per gli economisti classici, chi più e chi meno, la libera concorrenza era l’ordine naturale delle cose e, come ho ricordato sopra, l’Attore principale era solo l’individuo visto come produttore e/o come consumatore. Le Leghe e le organizzazioni dei lavoratori nascono e si sviluppano nella seconda parte dell’Ottocento in contemporanea con il fiorire del pensiero filosofico radicale. Nel suo Manifesto del 1948 Carlo Marx invoca l’organizzazione e l’unità anche internazionale degli operai. È solo nel ventesimo secolo che si studia a fondo la logica dell’azione collettiva. Oggi è più facile capire come i sindacati liberi dei lavoratori attraverso la libera contrattazione dei salari hanno un ruolo non secondario nella determinazione di una variabile importante i salari che insieme a profitti e rendite caratterizzano il funzionamento del sistema economico. Andando avanti nell’analisi del percorso intellettuale di Carlo Rosselli, Ghiandelli ci ricorda le critiche che il Nostro avanza nei confronti dei coniugi Webb. Non ne condivide la proposta politica della “democrazia industriale” perché assoggettata allo Stato democratico ma anche burocratico e, quindi, statalista. La sua preferenza va alla Comunità dei produttori. In questi termini, conferma la sua preferenza per il Gildismo di Cole e Hobson: la democrazia industriale fondata sul controllo operaio dal basso, no all’autoritarismo dall’alto. Prende definitivamente le distanze dai coniugi Webb perché non condivide il loro giudizio sull’URSS e sul fascismo.  Ghiandelli continua citando i discorsi e le analisi sul controllo operaio, le assonanze e dissonanze con Gramsci e la democrazia nelle fabbriche. Per capire quanto queste analisi e proposte fossero innovative basta ricordare che solo nel 1970 si arriva allo Statuto dei lavoratori passando per Filippo Turati, Bruno Buozzi, Giuseppe Di Vittorio, Giacomo Brodolini e Carlo Donat Cattin.

Carlo Rosselli ha una visione alternativa dello Stato e della Società che emerge con tutta chiarezza da un suo articolo del 1934 su Giustizia e Libertà” anno I, n. 19 riportato da Ghiandelli. Avendo sotto gli occhi il regime fascista scrive: “la rivoluzione italiana …. dovrà, sulle macerie dello Stato fascista capitalista, far risorgere la Società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili. Avremo bisogno anche domani di un’amministrazione centrale, di un governo; ma così l’una come l’altro saranno agli ordini della società e non viceversa. L’uomo è il fine non lo Stato”. Così, Carlo Rosselli supera il dilemma individualismo/utilitarismo considerandosi un individualista egualitario.

Non ultimo devo dire che il saggio introduttivo di Ghiandelli non introduce solo agli scritti di economia 1924-1927 ma si estende a tutto il percorso intellettuale di Carlo Rosselli non solo come economista ma soprattutto come pensatore sociale e uomo politico, come oppositore del fascismo che gli costò la vita insieme a quella del fratello Nello. Un saggio illuminante e con un apparato di note esplicative e bibliografiche veramente impressionante che non solo rende più chiara la figura di studioso di Carlo Rosselli ma offre molti stimoli alla migliore comprensione di quella ricerca che negli anni 20 e 30 del secolo scorso veniva rubricata come “ricerca della terza via”.   Dopo i “trenta gloriosi” oggi viviamo ancora nei “quaranta vergognosi” sotto l’egemonia del neoliberismo. Discutiamo di possibili aggiustamenti al sistema capitalistico. A parte l’arcadica tesi della decrescita felice non si vedono tentativi così forti e decisi come quelli di Rosselli e di altri suoi contemporanei di tracciare i lineamenti di un modello alternativo.

                *Recensione destinata alla Rivista Storica del Socialismo, numero di imminente pubblicazione.

**Axel Honneth, L’idea di socialismo. Un sogno necessario, Campi del sapere, Feltrinelli, 2016

Come affrontare il post Covid-19 secondo la CES

Il 9 giugno scorso il comitato esecutivo della Confederazione dei Sindacati europei una interessante dichiarazione sulla crisi covid-19 e la strategia di rilancio delle economie europee. Nella versione italiana c’è qualche piccolo problema di traduzione ma nella sostanza mi sembra che il documento colga bene i principali problemi che la doppia transizione o grande trasformazione che le economie europee devono affrontare. Su questo fronte l’Italia è indietro e agli ultimi posti. Basta citare due problemi. Secondo un’indagine di fonte datoriale, a dicembre 2019, 1.200.000 posti di lavoro sono rimasti vuoti perché dal lato dell’offerta non c’erano le qualifiche richieste. Quindi abbiamo un problema di formazione permanente molto grave e la Pandemia sta mettendo a rischio i processi formativi nelle scuole, nelle Università e nelle imprese. 

Per erogare i fondi del Piano di rilancio a partire dal 2021, la Commissione europea chiede progetti precisi. Sappiamo che l’Italia è in sistematico ritardo sull’utilizzo appropriato del 71% dei fondi strutturali e collegati previsti dal Quadro finanziario 2014-2020. Tutti parlano genericamente di responsabilità della burocrazia ma nessuno individua con precisione oltre alle responsabilità del governo centrale quelle ancora più gravi delle regioni specialmente di quelle meridionali. Da diversi decenni seguo le attività che comunica la Conferenza delle regioni e non ho mai letto che qualcuna di esse abbia presentato un vero piano di sviluppo territoriale con l’indicazione dei progetti specifici e dei programmi di formazione professionale che dovrebbero essere il nerbo strategico delle loro politiche attive del lavoro. Ritengo che il documento di parte sindacale contenga proposte e suggerimenti rilevanti in materia ma questo non mi esime dal criticare quelli italiani  per non avere modulato adeguatamente la loro struttura organizzativa di secondo livello (intermedio, regionale) per aprire vertenze a questo livello e stimolare la elaborazione dei piani regionali specialmente dopo la riforma del Titolo V  della Costituzione del 2011 e come suggerisce la Commissione europea in sede di valutazione degli utilizzi non di rado disinvolti dei fondi strutturali. Sarei lieto di essere smentito a questo riguardo.

Nel documento di domande e risposte sul piano di rilancio e resilienza dell’economia europea pubblicato il 28 maggio scorso la Commissione, dopo aver accordato all’Italia il rinvio a ottobre del Piano nazionale di riforme, prescrive a tutti i paesi membri di presentare piani (o progetti) nel 2021 e 2022 al più tardi entro il 30 aprile.  A questo riguardo c’è un grosso equivoco da chiarire sulle c.d. riforme strutturali. finora il discorso si è ridotto a riforme giuridiche per la flessibilizzazione del mercato del lavoro, per la semplificazione delle procedure amministrative, per la riduzione dei tempi lunghi della giustizia, ecc. Le prime 

hanno compresso i diritti dei lavoratori che sul terreno economico hanno subito la svalutazione interna dei salari senza alcun recupero sostanziale e duraturo della produttività del sistema economico su cui, come noto, pesa l’inefficienza dei servizi privati e pubblici. Anche le altre riforme hanno dato risultati insufficienti e perciò bisogna insistere nel portarle avanti ma esse non bastano da sole ad assicurare il rilancio e la resilienza e/o capacità del sistema economico di riparare i danni inflitti dalla Pandemia  e provvedere ai cambiamenti necessari (conversione ecologica, digitale). Infatti, se la crisi è doppia( di domanda effettiva e di offerta servono  massicci investimenti nei vari settori dell’economia reale diretti dell’operatore pubblico ai vari livelli e di sostegno ai privati ove questi siano ritenuti insufficienti. Non bastano le semplificazioni delle leggi sugli appalti e non sono solo i tempi della giustizia che ostacolano gli investimenti dall’estero nelle regioni meridionali se non si riduce il grande gap infrastrutturale, il peso delle organizzazioni criminali e la diffusa corruzione. Nè si affronta in termini approfonditi il problema di come suddividere questi compiti complessi tra governo centrale, regioni ed EELL. Ci si trastulla con i discorsi indubbiamente importanti di grandi leader europei ma inevitabilmente generici e non intrusivi negli affari interni mentre stiamo ignorando l’invito della Commissione a presentare un primo gruppo di progetti anche entro il 2020.

State bene e buona lettura.

@enzorus2020

ETUC statement on COVID-19 outbreak and recovery strategy 9 June 2020

The COVID-19 pandemic and its consequences have put the European project and democracy at risk. The lockdown and the measures adopted by European governments to face the emergency have generated terrible consequences in terms of economic recession, massive unemployment, obstacles to the freedom of movement, deterioration of working conditions and rights, increased inequality and social exclusion.

For the ETUC, the health of citizens and workers and the protection of jobs and rights have been the priority when the institutions were taking lockdown measures. At a time when these measures are relaxed in order to achieve a gradual return to economic activity, the health and safety of citizens and workers must be fully protected.

The effects of the financial crisis on healthcare systems and public services have been devastating, proving that cuts and privatisation have been the wrong recipe for the wellbeing of people and the safety of our societies. Austerity policies, the neoliberal approach to fiscal policies, competition and trade, led to a dramatic decrease in public and private investment and to many Member States not been able to provide adequate health services to the population and protection to workers in the health and care sectors.

The reaction to the outbreak in terms of Member States’ coordination and EU initiatives has come very late. The emergency measures put in place to support workers, healthcare systems and companies hit by the crisis still show serious limits: many workers and companies are not supported by such measures, which are often not adequate, while in many cases the deployed resources did not reach the ground with concrete help. This has to be fixed as soon as possible.

Additionally, some governments used the outbreak as an excuse to attack the rule of law, human, workers’ and trade union rights, particularly collective bargaining. This situation, together with the increasing economic and social emergency, is boosting people’s desperation and anger, with far-right populistic and anti-European forces exploiting the opportunity to regain political space.

Back to normal is not acceptable if this means business as usual. A sound European response is necessary to prevent and contain economic recession, unemployment and poverty and to rebuild the European project and democracy. The EU is at a crossroads: either it makes a relevant change of direction and commits to its founding principles, or it will face an unprecedent political crisis.

The ETUC has been urging the EU institutions and Member States to start immediately a clear, ambitious, and coordinated recovery strategy. We advocate for a recovery built on a more sustainable, inclusive and fair economic model and a social market economy where the environment is respected, digital innovation is put at the service of people, the European economy is protected, a massive fiscal stimulus for investment and quality job creation is triggered, a fair distribution between profits and wages is ensured, workers and social rights are protected, public services – particularly health care and education and training – are restored and reinforced, universal social protection is ensured.

The recovery plan proposed by the European Commission, which took up and broadened the proposal presented by France and Germany and includes many demands pushed forward by the ETUC, is a significant step in the right direction.

The ETUC advocates for massive financing for investment to be provided to member states, and for the money to be raised via common debt instruments guaranteed by the European Commission through the increase of EU own resources, thus avoiding creating additional unsustainable debt in EU countries.

The recovery strategy must repair the damage of the crisis and build a new economic and social model based on solidarity, economic and social convergence and cohesion, finally breaking with austerity policies. The suspension of the Stability Pact has made possible to take the necessary emergency measures, but only a radical revision of the EU economic and social governance and Semester process can ensure a fair recovery.

Investment to get out of recession must contribute to EU commitments to climate action and fight unemployment, particularly for youth, and these have to be overarching conditions for all funding. Public services, health care and education and training, social protection systems and social infrastructures must be strongly supported.

It’s important to increase the EU own resources, based on the Emissions Trading Scheme, a Carbon Border Adjustment Mechanism and taxation of operations of large companies, including a new digital tax and a tax on non-recycled plastics. Unfair tax competition has to be stopped through EU minimum corporate tax base and rate, and reinforced fight against tax havens, tax evasion, avoidance and fraud.

The ETUC expects the recovery strategy to focus on just transition at all levels, on reinforcing EU industries and economic sectors, on supporting workers affected by insolvency and restructuring process, on redesign European supply chains to make them more sustainable, on redesign our competition rules, and on making our trade policy fairer and more inclusive, in particular through binding and enforceable labour provisions in trade agreements.

The EU must not give money to businesses without exercising control on how they behave. The recovery plan funding should be conditional on providing decent jobs, paying taxes and working towards agreed climate goals through just transition. It is important that any company refusing to negotiate with the trade unions does not receive any grants, funds or other public procurement contracts.

The ETUC has always demanded that respect for the rule of law and fundamental rights is one of the conditions of funding for recovery, while stressing the need for labour, trade union and social rights, social dialogue and economic and workplace democracy, the European Pillar of Social Rights and the Agenda 2030 of the UN, to be at the basis of all funding granted.

It is also very important that the European Commission confirms all initiatives which would boost a fair and socially sustainable recovery, while increasing the profile of its neighbourhood, development and international cooperation policy, and strengthening its commitments for an European Democracy Action Plan and the relaunch of the Conference on the Future of Europe. In the current extraordinary circumstances, solidarity is needed more than ever. Without an ambitious strategy which is shared by all Member States and driven by the EU in a communitarian spirit, Europe cannot succeed.

Therefore, ETUC appeals to all governments to shoulder their responsibility, overcome their divisions and go for a swift approval and implementation of the recovery strategy, which is not enough but it’s urgently needed. European workers and citizens need help and cannot wait longer.

The ETUC, together with its member organisations, is ready to contribute to national and sectoral plans to make the recovery strategy fully operational. We call for effective social dialogue and full involvement of trade unions and social partners at the highest level with EU institutions and Member States’ governments.

The future of European democracy, economy and social cohesion is at stake. The trade union movement in Europe has always defended the strengthening of the European project by promoting a European Union that protects its citizens and working people. The European Trade Union Confederation, representing all workers across all countries, is united in calling for a fairer Europe of solidarity, rights and social and environmental justice.

Il bicchiere resta mezzo vuoto ma é diventato molto più grande.

Nel 2019 in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo siamo riusciti a contenere l’ondata populista-sovranità ma già durante la campagna elettorale non è che i partiti più europeisti avessero messo grande attenzione ai temi della riforma dei Trattati. Sta qui il problema. L’assetto istituzionale dell’Unione è incompleto, debole e caratterizzato da un enorme deficit democratico. Il Consiglio europeo composto dai Capi di Stato e di governo – soprattutto da questi ultimi – è eletto con sistemi elettorali diversi, sono espressione delle maggioranze locali, rispondono al loro elettori locali. Gli stessi componenti della Commissione sono in buona sostanza nominati dai governi del PM. È come se il governo di Roma fosse composto dai Presidenti delle regioni. La Comunità europea prima e poi l’Unione non è mai stata una Confederazione e non è una federazione vera e propria. Per la struttura sovranazionale dell’Unione si parla di governance ma – come spiega bene Gustavo Zagrebelsky – dove c’è governance non c’è democrazia vera. Concordo con lui e aggiungo che la stragrande maggioranza degli elettori non sono cittadini attivi, non hanno tempo o voglia di occuparsi di politica interna e meno ancora di quella sovranazionale. E questo è vero non solo nella ricca ed evoluta Europa ma anche in Inghilterra, negli USA, in Brasile, in Cina, in India, in Russia. In questo ultimo paese si sta introducendo una riforma costituzionale per consentirebbe a Putin di restare al potere sino al 2036 e, magari, a vita come Xi in Cina.

In Italia e nel mondo c’è una forte ansia di delega lasciando ai delegati stessi il compito di scriversi i termini del rapporto agente-principale. Non sorprende che la democrazia arretri dappertutto. Non sorprende che 2/3 dei paesi membri della Nazioni Unite siano governati da dittature più o meno soft, più o meno crudeli. L’obiettivo fondamentale di questi dittatori è quello di non essere disturbati a casa loro con buona pace dei diritti fondamentali dei loro concittadini. Questa spiega come negli ultimi decenni pochi siano stati gli interventi diretti dei caschi blu a parte quei pochi dedicati a mantenere la pace dopo sanguinose guerre civili.

In Europa negli ultimi dieci anni si sono fatte riforme che hanno incrementato il ruolo decisionale del governo a scapito dell’iniziative legislative dei Parlamenti. I Trattati di Lisbona riflettono questa tendenza. La Commissione ha il monopolio dell’iniziativa legislativa ma sotto la tutela del Consiglio europeo. Il PE non ha autonomo potere di imporre tasse ed imposte o autorizzare l’emissione di debito pubblico. Ha solo potere condiviso. Come ho scritto in altri post, dopo la presentazione del piano di rilancio da parte della Presidente della Commissione UVDL, si è aperto il dibattito in aula. Sono stati concessi due minuti ai capigruppo e un solo minuto ai singoli parlamentari. Hanno potuto dire si o no con brevi pistolotti. Spero che nelle Commissioni ci sia un dibattito più attento che entri nel merito e nei dettagli dei problemi. Sappiamo che il diavolo si nasconde nei dettagli. Sappiamo che non basta concordare o dissentire sugli obiettivi generali. Di norma, si dissente e ci si divide sugli strumenti, sulle risorse stanziate, sulle modalità e i tempi di attuazione degli obiettivi.

Dopo l’introduzione dell’Unione economica e monetaria – costruzione notoriamente incompleta. si sono susseguiti due eventi molto importanti: l’allargamento ad Est e la crisi del 2009-12. Molti hanno criticato la scelta attuata dal Presidente Prodi sostenendo che bisognava fare prima l’approfondimento istituzionale. A mio parere, avremmo dovuto fare le due cose insieme e, in qualche modo, così è stato fatto se pensiamo alla istituzione della Convenzione che ha definito il Trattato costituzionale poi bocciata dai referendum francese e olandese e al ripiegamento sui Trattati di Lisbona. Per brevità, salto alla crisi finanziaria ed economica del 2009-12 (doppia recessione) con disastrose conseguenze per alcuni paesi periferici. Oggi è chiaro che i paesi egemoni hanno preso atto di quegli errori ed hanno cambiato passo muovendosi nella direzione giusta almeno in termini di misure volte a rafforzare le strutture sanitarie, gli ammortizzatori sociale, l’aiuto alle imprese in difficoltà, ecc. Ma non c’è una vera strategia per contrastare la recessione che rischia di trasformarsi in una Grande depressione. Manca a Bruxelles e manca a Roma.

Nei giorni scorsi la Banca d’Italia ha pubblicato le sue previsioni di crescita per l’Italia si rischia un calo del PIL del 13% previsione pessimistica massima per le economie dei PM. A Bruxelles mancano piani precisi per la conversione ecologica e la digitalizzazione dell’economia o sono redatti in termini di obiettivi generali che i PM devono attuare; manca un piano europeo per le infrastrutture materiali ed immateriali. Più vagamente si parla di prestiti collegati a riforme strutturali.   La solita solfa. In un documento pubblicato dalla Commissione il 28 maggio u.s. (vedi indirizzo sotto) leggo che le riforme strutturali 2020 riguardano le imposte ambientali e la valutazione del loro impatto. In realtà in attuazione delle Direttiva comunitaria n. 2019/904/904UE del 5-06-2019 l’Italia ha introdotto la plastica tax nella legge di bilancio 2020 ma in seguito alle proteste dei produttori ha previsto la sua entrata in vigore a partire dal 1° luglio p.v. Vedremo presto se l’impegno sarà mantenuto. 

Accanto al DEF sino al 2010 il governo doveva presentare il Piano nazionale delle riforme PNR. Ai sensi della legge 7-04-2011 e con l’introduzione del Semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche il PNR è stato integrato nel DEF come parte terza. Inutilmente ho cercato nel DEF 2020 il PNR. Da fonti di stampa ho appreso che il Governo lo presenterà in ritardo insieme alla legge di stabilità 2021. Nel DEF ho trovato solo la seguente frase: “Il contrasto all’evasione fiscale e le imposte ambientali, unitamente ad una riforma della tassazione che ne migliori l’equità e ad una revisione organica della spesa pubblica, dovranno pertanto essere i pilastri della strategia di miglioramento dei saldi di bilancio e di riduzione del rapporto debito/PIL nel prossimo decennio”. In teoria una simile strategia andrebbe bene per tempi normali e per una economia in crescita normale anche se ritengo che precedenti governi hanno sempre fallito sui due obiettivi più importanti: la lotta all’evasione e la revisione organica della spesa pubblica. In ogni caso – lo ripeto – suddette misure non sono sufficienti per fare uscire l’economia italiana dalla stagnazione secolare e dalla recessione che rischia di aggravarsi vieppiù.   Per citare un articolo di Gianfranco Pasquino sul Sole 24 Ore del 16 maggio 2004 : “il bicchiere resta mezzo vuoto ma è diventato molto più grande”. Allora l’illustre politologo si riferiva al testo del Trattato costituzionale uscito dalla Convenzione. Sappiamo che la situazione è stata recuperata in gran parte con i Trattati di Lisbona. Oggi sul terreno economico abbiamo il tentativo di portare il QFP attorno al 2% annuo ma è un obiettivo ancora minimale se si pensa che negli Stati federali il bilancio impegna il 20-25% del PIL. Sul terreno istituzionale c’è la proposta della Conferenza sul futuro dell’Europa che rischia di tradursi in una immane perdita di tempo perché è già in ritardo sulla partenza, avrà due anni di tempo per redigere un rapporto che dovrà essere esaminata dal Consiglio europeo quando la presente legislatura sarà vicina alla sua naturale conclusione. Ma sia chiaro, tutto questo non è colpa e responsabilità dell’Europa ma dei suoi singoli paesi membri e dei loro specifici governanti.

@enzorus2020

,

Il Piano di rilancio UE della Commissione

Sentito due volte il discorso della Presidente della Commissione europea (CE) al Parlamento europeo in diretta il 27-05-2020 e subito dopo registrato ho trovato tante belle parole anche commoventi e due cifre importanti 500 miliardi di trasferimenti a fondo perduto e 250 di prestiti. Concordo con quanti valutano il “piano” una svolta storica – in realtà fatta dalla Merkel nel discorso al Parlamento tedesco la mattina dello stesso giorno in cui nel pomeriggio si doveva tener il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo in seguito anche all’accordo raggiunto con il Presidente Macron.  Il discorso della UVDL è stato una succinta presentazione di un piano che ancora non c’è per due probabili motivi: 1) perché ancora non c’è accordo con i governi dei Paesi membri (PM); è nota l’opposizione dei 4 paesi nordici c.d. frugali (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia), alias, egoisti che non vogliono trasferimenti a fondo perduto; 2) perché il piano Le è stato commissionato dal Consiglio europeo e probabilmente per motivi vari UVDL vuole o deve presentare la prima bozza a quella che da alcuni osservatori viene definita la Cupola delle istituzioni europee. A fronte dei rischi crescenti di disgregazione, la Merkel ha passato il Rubicone e, come avevo previsto e sostenuto, la Germania paese leader dell’Europa integrata non poteva e non doveva rinunciare al suo ruolo storico in Europa.

A scanso di equivoci anche io ritengo che si tratta di una scolta storica ma nel suo discorso al PE UVDL non ha dato alcun dettaglio tecnico del piano che ha approntato per il Consiglio europeo a partire su come si realizzerà l’aggancio al QFP ancora non approvato, allo strumento esistente o da creare che emetterà gli eurobond; alle condizionalità collegate sia ai trasferimenti a fondo perduto che ai prestiti; ai tempi di questi ultimi; alla leva che potrà essere realizzata per finanziare gli ambiziosi obiettivi che l’UE in quanto tale intende perseguire: Green New Deal, digitalizzazione dell’economia, lotta alle diseguaglianze, convergenza tra le regioni periferiche e quelle centrali, ecc..

Non ultimo se è vera l’ipotesi che i dettagli tecnici del piano saranno svelati al momento della presentazione del piano al Consiglio europeo, io starei attento a parlare di piano o risultato acquisito dopo la presentazione dello stesso al PE. Come in casi precedenti potrebbe verificarsi un compromesso al ribasso verosimilmente riguardante il fondo dei trasferimenti a fondo perduto che potrebbe essere dimezzato. Al riguardo va tenuta presente una recente dichiarazione della Cancelliera Merkel secondo cui la trattativa con alcuni PM sarà lunga e difficile. E qui rileva la questione dei tempi. Quali che siano le dimensioni dei fondi, l’UE deve procurarsi fondi e metterli a disposizione in tempi brevi. Aspettare la Primavera prossima sarebbe esiziale perché intervenire in ritardo aggreverebbe e prolungherebbe la crisi non solo economica ma anche sociale.

Alcune forze politiche e tra di essi anche il Movimento federalista europeo punta ancora su quello che potrebbe proporre la Conferenza per il futuro dell’Europa dopo che è stata respinta la proposta di Macron di una nuova Convenzione per aprire il cantiere della riforma dei Trattati. Vale la pena ricordare che sull’argomento esiste il Libro bianco sul futuro dell’Europa preparato dalla Commissione Juncker nel 2017 in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma. È vero che nei mesi scorsi è intervenuta la crisi Covid-19 che ha sconvolto ogni scenario sanitario ed economico precedente ma i problemi istituzionali europei  sono sempre gli stessi ed abbastanza approfonditi. La Commissione nel 2017 ha disegnato 5 scenari: 1) avanti così (business as usual); 2) solo il mercato unico; 3) chi vuole di più fa di più;  4) fare meno in modo più efficiente; 5) fare molto di più insieme. Per un federalista lo scenario ottimo (first best) sarebbe il 5° ma sappiamo che esso non è condiviso all’unanimità. È d’uopo ripiegare sul terzo scenario (second best) “chi vuole di più fa di più” e nei tempi più stretti possibili. La geometria variabile è consentita dai Trattati e la impone la situazione drammatica e auspicabilmente non tagica della recessione mondiale. Abbiamo già circa 40 milioni di disoccupati negli USA e forse altrettanti nella UE dove per via dei forti ammortizzatori sociali i tempi saranno più lunghi.

Il 29 u.s. in TV hanno citato una intervista a Daniel Cohn Bendit il quale ha proposto di “accomodare fuori” i 4 Paesi nordici che non vogliono aumentare i trasferimenti a fondo perduto. Personalmente non arrivo a tanto, credo che detti PM non vogliano uscire dall’Unione come ha fatto il Regno Unito ma non si può consentire loro o al Gruppo di Visegrad di bloccare o ritardare il processo decisionale e di maggiore integrazione dell’UE. Bisogna sospendere la regola dell’unanimità e/o utilizzare le c.d. passerelle (art. 48 par. 7 del TUE) che consentono le più appropriate maggioranze qualificate. Anche questo è un modo per superare il grave deficit democratico che caratterizza l’attuale funzionamento dell’UE.

Il problema tecnico di politica economica e finanziaria è quello di coordinamento di appropriate politiche fiscali con la politica monetaria espansiva che sta conducendo tempestivamente la BCE. Ma sappiamo che da sola la politica monetaria non basta. Il pacchetto di proposte che la Commissione sta mettendo a punto se adeguatamente finanziato potrebbe consentire il coordinamento che è mancato nella crisi del 2009 e che ha prodotto la seconda recessione europea del 2012. Il lungo dibattito economico che si è svolto in quest’ultimo decennio ha ben chiarito gli errori commessi a livello UE e dei PM.  Le misure proposte vanno nella direzione giusta. Si tratta di passare dalle parole ai fatti nella massima urgenza.

https://www.project-syndicate.org/commentary/france-germany-covid19-recovery-fund-eu-by-lucrezia-reichlin-2020-05

https://formiche.net/2020/05/ue-crisi-antonio-parenti-commission-italia/

sulle passerelle vedi Astrid, Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, a cura di Franco Bassanini e Giulia Tiberi, nuova edizione riveduta e aggiornata, il mulino, 2010; in particolare il cap. 13° di Luigi Carbone, Luigi Cozzolino, Luigi Gianniti e Cesare Pinelli; pp.266 e segg.