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Il Piano di rilancio UE della Commissione

Sentito due volte il discorso della Presidente della Commissione europea (CE) al Parlamento europeo in diretta il 27-05-2020 e subito dopo registrato ho trovato tante belle parole anche commoventi e due cifre importanti 500 miliardi di trasferimenti a fondo perduto e 250 di prestiti. Concordo con quanti valutano il “piano” una svolta storica – in realtà fatta dalla Merkel nel discorso al Parlamento tedesco la mattina dello stesso giorno in cui nel pomeriggio si doveva tener il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo in seguito anche all’accordo raggiunto con il Presidente Macron.  Il discorso della UVDL è stato una succinta presentazione di un piano che ancora non c’è per due probabili motivi: 1) perché ancora non c’è accordo con i governi dei Paesi membri (PM); è nota l’opposizione dei 4 paesi nordici c.d. frugali (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia), alias, egoisti che non vogliono trasferimenti a fondo perduto; 2) perché il piano Le è stato commissionato dal Consiglio europeo e probabilmente per motivi vari UVDL vuole o deve presentare la prima bozza a quella che da alcuni osservatori viene definita la Cupola delle istituzioni europee. A fronte dei rischi crescenti di disgregazione, la Merkel ha passato il Rubicone e, come avevo previsto e sostenuto, la Germania paese leader dell’Europa integrata non poteva e non doveva rinunciare al suo ruolo storico in Europa.

A scanso di equivoci anche io ritengo che si tratta di una scolta storica ma nel suo discorso al PE UVDL non ha dato alcun dettaglio tecnico del piano che ha approntato per il Consiglio europeo a partire su come si realizzerà l’aggancio al QFP ancora non approvato, allo strumento esistente o da creare che emetterà gli eurobond; alle condizionalità collegate sia ai trasferimenti a fondo perduto che ai prestiti; ai tempi di questi ultimi; alla leva che potrà essere realizzata per finanziare gli ambiziosi obiettivi che l’UE in quanto tale intende perseguire: Green New Deal, digitalizzazione dell’economia, lotta alle diseguaglianze, convergenza tra le regioni periferiche e quelle centrali, ecc..

Non ultimo se è vera l’ipotesi che i dettagli tecnici del piano saranno svelati al momento della presentazione del piano al Consiglio europeo, io starei attento a parlare di piano o risultato acquisito dopo la presentazione dello stesso al PE. Come in casi precedenti potrebbe verificarsi un compromesso al ribasso verosimilmente riguardante il fondo dei trasferimenti a fondo perduto che potrebbe essere dimezzato. Al riguardo va tenuta presente una recente dichiarazione della Cancelliera Merkel secondo cui la trattativa con alcuni PM sarà lunga e difficile. E qui rileva la questione dei tempi. Quali che siano le dimensioni dei fondi, l’UE deve procurarsi fondi e metterli a disposizione in tempi brevi. Aspettare la Primavera prossima sarebbe esiziale perché intervenire in ritardo aggreverebbe e prolungherebbe la crisi non solo economica ma anche sociale.

Alcune forze politiche e tra di essi anche il Movimento federalista europeo punta ancora su quello che potrebbe proporre la Conferenza per il futuro dell’Europa dopo che è stata respinta la proposta di Macron di una nuova Convenzione per aprire il cantiere della riforma dei Trattati. Vale la pena ricordare che sull’argomento esiste il Libro bianco sul futuro dell’Europa preparato dalla Commissione Juncker nel 2017 in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma. È vero che nei mesi scorsi è intervenuta la crisi Covid-19 che ha sconvolto ogni scenario sanitario ed economico precedente ma i problemi istituzionali europei  sono sempre gli stessi ed abbastanza approfonditi. La Commissione nel 2017 ha disegnato 5 scenari: 1) avanti così (business as usual); 2) solo il mercato unico; 3) chi vuole di più fa di più;  4) fare meno in modo più efficiente; 5) fare molto di più insieme. Per un federalista lo scenario ottimo (first best) sarebbe il 5° ma sappiamo che esso non è condiviso all’unanimità. È d’uopo ripiegare sul terzo scenario (second best) “chi vuole di più fa di più” e nei tempi più stretti possibili. La geometria variabile è consentita dai Trattati e la impone la situazione drammatica e auspicabilmente non tagica della recessione mondiale. Abbiamo già circa 40 milioni di disoccupati negli USA e forse altrettanti nella UE dove per via dei forti ammortizzatori sociali i tempi saranno più lunghi.

Il 29 u.s. in TV hanno citato una intervista a Daniel Cohn Bendit il quale ha proposto di “accomodare fuori” i 4 Paesi nordici che non vogliono aumentare i trasferimenti a fondo perduto. Personalmente non arrivo a tanto, credo che detti PM non vogliano uscire dall’Unione come ha fatto il Regno Unito ma non si può consentire loro o al Gruppo di Visegrad di bloccare o ritardare il processo decisionale e di maggiore integrazione dell’UE. Bisogna sospendere la regola dell’unanimità e/o utilizzare le c.d. passerelle (art. 48 par. 7 del TUE) che consentono le più appropriate maggioranze qualificate. Anche questo è un modo per superare il grave deficit democratico che caratterizza l’attuale funzionamento dell’UE.

Il problema tecnico di politica economica e finanziaria è quello di coordinamento di appropriate politiche fiscali con la politica monetaria espansiva che sta conducendo tempestivamente la BCE. Ma sappiamo che da sola la politica monetaria non basta. Il pacchetto di proposte che la Commissione sta mettendo a punto se adeguatamente finanziato potrebbe consentire il coordinamento che è mancato nella crisi del 2009 e che ha prodotto la seconda recessione europea del 2012. Il lungo dibattito economico che si è svolto in quest’ultimo decennio ha ben chiarito gli errori commessi a livello UE e dei PM.  Le misure proposte vanno nella direzione giusta. Si tratta di passare dalle parole ai fatti nella massima urgenza.

https://www.project-syndicate.org/commentary/france-germany-covid19-recovery-fund-eu-by-lucrezia-reichlin-2020-05

https://formiche.net/2020/05/ue-crisi-antonio-parenti-commission-italia/

sulle passerelle vedi Astrid, Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, a cura di Franco Bassanini e Giulia Tiberi, nuova edizione riveduta e aggiornata, il mulino, 2010; in particolare il cap. 13° di Luigi Carbone, Luigi Cozzolino, Luigi Gianniti e Cesare Pinelli; pp.266 e segg.

Di Maio e Salvini hanno confuso il semestre europeo con un torneo di calcio

Secondo Di Maio, Draghi non tifa per l’Italia. Il torto del Presidente della Banca centrale europea è quello di aver ricordato ai massimi esponenti del governo italiano che anche le sole parole possono provocare danni e che occorre rispettare le regole del condominio a cui appartengono. Jason Brennan il cui libro Contro la democrazia ho recensito in un precedente post distingue gli elettori in tre categorie: gli hobbit quelli che per motivi diversi anche razionali non si occupano di politica e, quindi, non sono in grado di valutare correttamente il reale significato di certi provvedimenti del governo.

La seconda categoria è quella degli hooligan, gente che segue la politica ed ha una certa capacità di comprendere la portata di certi provvedimenti ma proprio in ragione di questa conoscenza si comporta come i tifosi di una squadra di calcio; molti tifosi si sentono di valutare attentamente le scelte dell’allenatore e dell’arbitro senza ombra di dubbio ma sono miti con gli errori della squadra per la quale tifano e estremamente rigorosi con gli errori della squadra avversaria.

La terza categoria di elettori è la sparuta minoranza degli esperti c.d. vulcaniani come il dott. Spock della Saga di Star Treck che sono in grado di fare valutazioni imparziali e verificare se un certo strumento può raggiungere veramente l’obiettivo assegnato. Si tratta di esperti simili ai filosofi della politica di Platone categoria consapevole anche dei limiti delle loro competenze e, quindi, esprimono pareri informati e anche incerti dato che nelle questioni economiche e sociali l’esito finale di certi provvedimenti dipendono dai comportamenti degli operatori pubblici e privati che possono essere diversi e contraddittori.

Nelle democrazie moderne le maggioranze si formano con il voto degli hobbit e degli hooligan, un misto di ignoranza e arroganza che nel caso di prevalenza di politici populisti e sovranisti li porta ad affermare che solo loro rappresentano la volontà popolare o, addirittura, come affermano i nostri vice-presidenti del Consiglio dei ministri, la manovra di finanza pubblica che sarà tradotta in legge di bilancio è quella voluta direttamente dal popolo e, quindi, essendo loro gli unici agenti del popolo non possono modificarla per renderla compatibile con le regole europee sottoscritte da precedenti governi ma non per questo meno cogenti. Quella di Di Maio come del resto analoghe affermazioni di Matteo Salvini sono genuine affermazione di politici populisti irresponsabili che agiscono in politica come gli hooligan di Brennan ossia come i tifosi di uno sport qualsiasi, ignorando l’art. 11 Cost e tutti i Trattati firmati dall’Italia e i regolamenti approvati dal Parlamento europeo.

Ovviamente la mia non è una difesa ad oltranza della bontà delle attuali regole sul pareggio e sulle procedure di bilancio del c.d. semestre europeo. Regole che vanno in buona parte modificate e per farlo serve il consenso degli altri Paesi membri dell’Unione. Il comportamento dei due Vicepresidenti del Consiglio ha isolato l’Italia. Probabilmente hanno confuso il semestre europeo con un torneo di calcio e non si rendono conto dei danni che hanno già causato e continueranno a causare al nostro paese se non rivedono la loro posizione irresponsabile.
Enzorus2020@gmail.com

Le tranquille comunicazioni al Senato del Presidente Conte

Stamane il PdCdM Conte ha svolto al Senato le comunicazioni del governo in vista del Vertice europeo del 18 p.v. Si dice orgoglioso della manovra appena approvata; si occupa in termini generici di emigrazione dicendo che non accetterà movimenti secondari a scatola chiusa; si dice scettico sulla proposta di una Guardia Costiera europea per gli effetti sulla sovranità; accenna al completamento dell’Unione bancaria; parla della riduzione delle sofferenze bancarie (in inglese: non performing loans); non dice una sola parola sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita con le cui regole cozza l’impianto del Documento programmatico di bilancio inviato ieri notte alla Commissione. Nessuna menzione del Memorandum Savona del 7 settembre con richiesta che fosse messo all’odg del prossimo Vertice europeo.
Un senatore avendo biasimato la prassi di alcuni ministri che dopo avere fatto il loro intervento abbandonano l’aula, prima ringrazia Conte per essere rimasto ma poi gli rinfaccia di non avere preso appunti di sorta.
A proposito di Unione bancaria, come noto, c’è un intreccio diabolico tra solvibilità del debito pubblico e delle banche che detengono quantità eccessive di titoli del debito pubblico del proprio paese. Le nostre banche detengono nei loro portafogli circa 370 miliardi di titoli del Tesoro italiano per cui un attacco speculativo sul debito pubblico coinvolgerebbe inevitabilmente le banche e viceversa. La svalutazione di detti titoli porterebbe la Vigilanza europea a chiedere una ricapitalizzazione che con tassi di interesse in aumento renderebbe più difficile l’emissione di obbligazioni.
Da anni alcuni economisti anche di fama internazionale avevano proposto un divieto o un drastico allentamento di tale legame ma non sono stati ascoltati. Ebbene è di stamattina la notizia secondo cui le banche italiane di loro iniziativa stanno vendendo titoli del debito pubblico italiano che hanno in portafoglio. Evidentemente cominciano a valutare seriamente il pericolo di un attacco speculativo contro il debito pubblico italiano specialmente alla luce della manovra che inevitabilmente lo aumenterà.

enzorus2020@gmail.com

La minaccia italiana di non pagare i contributi al bilancio comunitario.

Mentre in Europa imperversa ancora il neoliberismo, il populismo, il sovranismo e il suo sbocco naturale, il nazionalismo, l’individualismo metodologico, alias, l’individuo razionale che massimizza il suo interesse personale anche a spese del suo prossimo, in Italia, proprio i populisti, sovranisti e nazionalisti, aspiranti dittatori, tutti nemici della democrazia liberal-democratica, denunciano l’assenza di solidarietà all’interno dell’Unione Europea sulla questione dell’immigrazione.
Si tratta di un paradosso spiegabile con l’ignoranza o, peggio, con la malafede di politici ignoranti, disinformati e che, consapevolmente, ingannano i propri elettori. Se uno guarda alla storia dell’Europa si accorge che già nella parte finale del Sacro romano impero e l’avvento degli Stati nazionali (Pace di Westfalia, 1648) è stata tutta una sequenza di guerre (cento anni, trenta anni, Guerre napoleoniche, ecc.) culminate poi in due micidiali guerre mondiali del XX secolo scatenate dalle ambizioni imperiali e coloniali della Germania. Gli stati nazionali hanno sempre difeso e difendono in primo luogo l’interesse nazionale.
Quindi è un fatto che storicamente nelle grandi aggregazioni intergovernative la solidarietà non ha mai funzionato. Non ha funzionato neanche nella Federazione americana come prova la guerra di secessione (1861-65) e il fatto che ancora oggi la questione dell’integrazione delle minoranze etniche non è stata felicemente risolta.
Nella Unione Europea la solidarietà ha funzionato in fatto all’interno dei singoli paesi membri con la costruzione del welfare state (1945-75), mentre la costruzione europea era ancora nelle sue fasi iniziali e bisognerà attendere i primi anni ’70 del secolo scorso per arrivare alla istituzione del Fondo per la politica regionale mirato a ridurre i divari territoriali e, quindi, promuovere la convergenza tra regioni centrali e quelle periferiche. Sappiamo che a tale scopo sono state assegnate risorse insufficienti, che si è ottenuta poca convergenza economica e minore coesione sociale tra i paesi membri di quanto servirebbe.
Salute, istruzione, assistenza, ammortizzatori sociali ecc. sono finanziati dalle imposte pagate dai lavoratori, dalle imprese e solo, in via residuale, dalle imposte generali fondate sul principio di capacità contributiva.
La solidarietà è quindi imposta dalle leggi dello Stato. Ma si tratta di solidarietà o di finanziamento dei diritti sociali?
In fatto, ai 30 anni gloriosi sono succeduti i 40 vergognosi del neoliberismo d’accatto, del mercatismo, della concorrenza fiscale senza regole, della piena libertà dei movimenti di capitali, dei tentativi delle forze conservatrici e reazionarie di abbattere o, quanto meno, ridimensionare il Welfare State accreditando l’ideologia secondo cui gli istituti del welfare sono strumenti inefficienti e inefficaci di puro assistenzialismo.
Senza rendersi conto che smantellando lo stato sociale, si fa saltare il c.d. compromesso socialdemocratico tra capitalismo e democrazia: riconoscimento dei diritti individuali e sociali in cambio del riconoscimento pieno della proprietà e dell’iniziativa privata.
Più recentemente la teoria dei giochi ha reinterpretato tutta la teoria della politica economica, ossia, l’analisi delle politiche correnti che i governi portano avanti nelle democrazie più avanzate, cercando di accertare i loro presupposti fondamentali e valutare se i loro effetti reali corrispondono agli obiettivi annunciati.
E’ teoria assodata che i sistemi tributari moderni che contano milioni anzi decine o centinaia di milioni di contribuenti funzionano se c’è l’adesione spontanea e che senza un forte spirito cooperativo non si producono beni pubblici. E’ ovvio che l’adesione è tento più alta quanto più le spese pubbliche vanno a beneficio della stragrande maggioranza dei cittadini a partire a partire da quelli che soffrono bisogni più urgenti. Questo richiede che nel Paese e nell’Unione europea germogli e poi fiorisca una teoria della giustizia sociale largamente condivisa. Se in un paese come l’Italia c’è una evasione fiscale nell’ordine del 7-8% del PIL, questo significa che non c’è adesione spontanea al sistema tributario con conseguenze negative anche sull’equilibrio strutturale di bilancio. Quindi la solidarietà non funziona all’interno del singolo paese membro e l’Italia non è un caso isolato nell’Unione a 27.
Ora tornando ai problemi europei. L’UE è grande quanto un continente. Non c’è un alto spirito cooperativo. Anche l’esperienza empirica relativa ai Paesi grandi e medi dimostra che la solidarietà non funziona o funziona in maniera insoddisfacente in ambiti allargati specie se di dimensioni continentali. Non funziona bene neanche nelle mesoeconomie. Al limite anche nelle comunità locali poco coese si verificano significativi fenomeni di free-riding quando ci sono notevoli differenze nella distribuzione dei redditi e dei patrimoni e quando non c’è un’etica pubblica condivisa.
Quindi in casi come questi bisognerebbe adottare misure legislative che la impongano ma nel mondo – secondo una classificazione di Yascha Mounk, Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Feltrinelli, 2018 – ci sono poche democrazie liberali che rispettano la separazione dei poteri e promuovono i diritti individuali e sociali (modello Canada); ci sono le democrazie illiberali senza diritti (modello Polonia); c’è il liberalismo antidemocratico (modello Unione europea); e ci sono un numero crescente di dittature (modello Russia di Putin). L’Unione europea ha un sistema di finanziamento di tipo embrionale più adatto ad una Confederazione piuttosto che a una federazione nascente. Di certo non è un sistema predatorio come ce ne sono tanti anche in non poche democrazie formali senza pieno rispetto dei diritti individuali e sociali e del principio di capacità contributiva.
Ci sono rapporti che propongono la costruzione di un sistema di risorse proprie a livello europea (da ultimo quello presieduto dal Prof. Monti) ma le proposte non sono mai arrivate alla fase decisiva dell’adozione perché non c’è stato e non c’è tuttora il necessario consenso unanime per le imposte dirette sulle persone fisiche e giuridiche.

I nostri due Vice-presidenti del Consiglio, i due giovani tori che da pochi mesi trascinano il carro del governo italiano, non ottenendo soddisfazione immediata sulle richieste di solidarietà relative ai problemi di gestione dei flussi migratori, prima chiudono i porti alle ONG cariche di naufraghi, poi sequestrano i migranti sulla nave della Guardia Costiera italiana Diciotti, dentro un porto italiano, coprendosi di ridicolo a livello mondiale, poi, inopinatamente, minacciano di non pagare i contributi al finanziamento della proposta di bilancio pluriennale 2021-27. La minaccia, peraltro fondata su numeri sbagliati, è stata annunciata in termini così generici e cangianti che alcuni hanno capito che l’Italia non dovrebbe pagare i contributi degli ultimi due anni del bilancio settennale in corso e regolarmente approvato dal governo del tempo. Se la richiesta italiana riguarda effettivamente il bilancio successivo messo a punto nel maggio scorso dalla Commissione, sentiti i pareri dei paesi membri, allora la proposta dovrebbe essere avanzata per questioni di metodo e di merito. Di metodo perché è di dubbia costituzionalità approvare un bilancio prima delle elezioni del Parlamento europeo e della nomina della nuova Commissione; di merito, perché anche per l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione, le risorse per promuovere la convergenza economica, la coesione sociale e la solidarietà nella gestione dei flussi migratori saranno inferiori. E c’è una seconda questione di metodo da tenere presente ed è quella che preliminarmente andrebbe richiesta con fermezza e/o rinnovata la richiesta della riforma del Regolamento di Dublino. In modo maldestro, ciò è stato fatto nel Consiglio europeo del 28 giugno scorso sconvolgendone l’ordine del giorno, ma, come gli addetti ai lavori sanno, il tutto si è concluso, con qualche riconoscimento formale del problema e con un nulla di fatto sul piano operativo perché, di nuovo, non c’è il consenso unanime per avviare la procedura e, peggio ancora, con alcuni accordi bilaterali stipulati su base volontaria secondo cui migranti trovati nei paesi centrali in posizione irregolare dovrebbero ritornare a tempo indeterminato nei paesi periferici di primo approdo.
Concludendo, se sei un rappresentante di un paese debole che, peraltro verso, negli anni scorsi, ha avanzato ripetutamente la richiesta di condivisione del rischio connesso al proprio debito pubblico più alto dopo quello greco, consenso e solidarietà non li ottieni con le minacce e i ricatti ma dimostrando che le tue proposte sono nell’interesse comune, evitano conseguenze negative per tutti, creano un valore aggiunto europeo, promuovono reciprocità e/o mutualità. Minacce e ricatti sono segnali che eventualmente si potrebbero permettere i governi forti che fin qui per fortuna si sono astenuti dal farli. Invece quello italiano di oggi non solo è un governo debole ma deve ancora dimostrare di saper parlare con una sola voce. A meno che i due ineffabili Vice-presidenti non pensino sul serio a come farci cacciare fuori dall’Unione.
Enzorus2020@gmail.com

La montagna ha partorito il topolino.

Non è stato un fallimento totale, come alcuni di noi temevano, ma un “compromesso di facciata” come molto opportunamente lo definisce Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore del 30 giugno. Purtroppo diversi fattori hanno concorso ad assicurare questo risultato: il protagonismo del Presidente Macron che da 10 mesi cerca di rilanciare il progetto europeo senza raccogliere alcun successo prima per via dei risultati elettorali in Germania che hanno lasciato in carica il vecchio governo per sei lunghi mesi in attesa di uno nuovo, poi per via delle elezioni italiane che hanno consegnato il Paese ad una maggioranza di forze euroscettiche e xenofobe dopo che il PD di Renzi inopinatamente ha rifiutato una possibile intesa con il M5S. Naturalmente Francia, Germania e Italia non sono gli unici responsabili di questo compromesso di facciata. Negli ultimi anni si sono consolidati alcuni raggruppamenti all’interno dell’Unione che hanno piantato dei paletti ben precisi contro l’avanzamento del progetto europeo: in primo luogo, il Gruppo di Visegrad che mette insieme i principali paesi dell’Est europeo (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia) il “cuore di tenebra” dell’Europa contrario non solo ad accogliere i migranti ma anche una maggiore integrazione politica ed economica. Più recentemente si è consolidato anche il gruppo dei Paesi baltici tra i quali (Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, ecc.) anche essi molto scettici sui vari progetti di riforma dell’eurozona mirati a completare l’Unione bancaria ad avviare e rendere più efficiente il mercato unico dei capitali; a trasformare il fondo salva Stati (ESM) in un vero ministero dell’economia e delle finanze all’interno della Commissione oppure, in subordine, a trasformarlo in un più potente strumento di intervento contro shock simmetrici e asimmetrici che sono ragionevolmente prevedibili in un mondo globalizzato ora in forte tensione per via anche delle dissennate politiche del Presidente Trump che rifiuta ogni approccio cooperativo multilaterale. In questo contesto di grande confusione ed incertezza si è inserito il leader della Lega Salvini che, forte del risultato elettorale del 4 marzo, ha puntato tutte le sue carte nella contestazione della politica migratoria dell’UE e in particolare sul discusso e discutibile Regolamento di Dublino (versione 2013) che lascia un ruolo primario di accoglienza solo ai Paesi di primo approdo. Va precisato che come Regolamento quello di Dublino è un atto legislativo di competenza propria dell’Unione e la sua riforma potrebbe essere oggetto dell’iniziativa del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio dei ministri competenti per materia. Ma sappiamo che su detti organi domina la cupola del Consiglio dei capi di Stato e di governo che ragionano guardando lo specchio retrovisore, ossia, pensando sempre agli effetti elettorali interni al proprio Paese delle misure che si discutono a Bruxelles. In altre parole, in un contesto di sfiducia reciproca e di incertezza generale, i capi di Stato e di governo, invece di assumere come prioritario il futuro dell’Europa, pensano soprattutto al consolidamento della loro leadership all’interno dei loro paesi di provenienza e/o al saldo netto tra costi e benefici di certe misure che invece avrebbero un valore aggiunto europeo di medio e lungo periodo. Per considerare attentamente questo ultimo obiettivo servirebbe una classe dirigente dotata di visione del futuro ma sappiamo che, in molti paesi occidentali, prevalgono politici dalla veduta corta anche a causa dell’accresciuta volatilità dell’elettorato. Il risultato è che anche su un problema come quello delle migrazioni che andrebbe affrontato nella prospettiva pluridecennale se non proprio secolare in considerazione del declino o invecchiamento della popolazione europea e/o della forte crescita demografica dell’Africa, un ministro dalla veduta corta come Salvini ha messo in primo piano il blocco degli sbarchi nonostante che questi ultimi siano stati fortemente contenuti dalla politica portata avanti dal suo predecessore Minniti e così raccogliendo significativi successi elettorali in elezioni locali e parziali. Salvini ovviamente non è l’unico responsabile del fallimento del vertice europeo del 28-29 giugno. Scrivo di fallimento perché aver messo al primo punto dell’o.d.g. irresponsabilmente da parte di tutti la questione degli immigrati ha condizionato tutto il resto.
A chi non segue gli affari europei giorno per giorno va ricordato che da quattro anni dopo che si è chiusa la crisi economica con la seconda recessione terminata nel 2013, si era aperto un dibattito sull’adeguatezza degli strumenti di politica economica e finanziaria a disposizione delle autorità europee. La Commissione ha prodotto decine di documenti, il Parlamento europeo altri studi, La Banca Centrale europea altri ancora – per non parlare di quelli dell’OCSE, del FMI e dei numerosi centri studi pubblici e privati che si occupano dei problemi europei e che, negli ultimi anni, hanno concentrato la loro ricerca su come riformare il Patto di stabilità e crescita e gli annessi e connessi regolamenti che cercano di promuovere il coordinamento delle politiche economiche e le procedure di bilancio (vedi semestre europeo) per creare un vero e proprio governo economico al centro dell’Europa. Sappiamo che il coordinamento automatico delle politiche economiche sulla base dei famigerati parametri di Maastricht non ha mai funzionato e che i Patti di stabilità e crescita (a partire da quello del 1997 sino a quello del 2011) hanno funzionato solo a metà dando la priorità al consolidamento dei conti pubblici e sacrificando in tutto o in parte la crescita. Un recente studio della BCE (febbraio 2018) ha affermato che la disoccupazione vera dell’eurozona non è quella ufficiale del 9% ma poco più del doppio se si considerano gli inoccupati come disoccupati scoraggiati. Corrispondentemente in Italia abbiamo circa 7 milioni di persone senza lavoro tra giovani e anziani. A causa del rigore e delle politiche di austerità (svalutazione interna) l’eurozona e l’Italia non sono riuscite a salvaguardare il processo di accumulazione, alias, un flusso di investimenti tale da allargare il divario tra reddito potenziale e quello effettivamente prodotto. Secondo la macchinosa procedura di calcolo dell’output gap, previsto dal PSC 2011, più ampio è il gap e più margine di flessibilità ottieni per finanziare nuovi investimenti produttivi. Era questo uno dei punti nodali della riforma del PSC che doveva essere discusso nel vertice. A causa dell’emergenza migranti creata artificiosamente da Salvini, d’intesa il Gruppo di Visegrad, la riforma dell’eurozona è scomparsa dall’odg del vertice dei giorni scorsi e rinviata al Consiglio di Dicembre. E’ di tutta evidenza che se non si risolve il problema della disoccupazione in Europa non c’è speranza alcuna di accogliere e integrare neanche i migranti che hanno fondato diritto ad essere accolti. Solo spingendo l’economia europea verso la piena o massima occupazione si creano prospettive serie di accoglienza e inclusione. Il punto 7 dell’accordo sull’emigrazione prevede che l’Unione sposterà 500 milioni dal Fondo di sviluppo a quello di solidarietà per l’Africa; un altro (implicito nel punto 11) prevede accordi bilaterali che la Germania ha già firmato con la Spagna e la Grecia secondo cui i migranti sbarcati in quei Paesi ma arrivati in Germania in maniera irregolare nel paese che ha il più basso tasso di disoccupazione dell’eurozona. Mi chiedo: ma che razza di classe dirigente abbiamo a livello europeo se pensa di risolvere – sia pure in via emblematica – problemi strutturali della disoccupazione africana con 500 milioni di euro e, dall’altro, far ritornare i migranti comunque arrivati in Germania in paesi come la Grecia e la Spagna che hanno i più alti tassi di disoccupazione? Forse pensano alla deportazione forzata?
enzorus2020@gmail.com