Il fallimento del sistema politico contribuisce all’instabilità dell’economia e questa alimenta le diseguaglianze. E se queste continuano ad alimentare, la gente perde fiducia nel sistema e la democrazia è in pericolo.
La fiducia è necessaria non solo nella politica e nei rapporti tra le istituzioni ma anche nell’impresa, nella società, in qualunque attività commerciale, nell’interscambio sociale e individuale. Stiglitz (Il prezzo delle diseguaglianze, 2013) cita casi concreti in cui i lavoratori mantenuti a lavoro hanno incrementato la loro produttività. A me basta il rinvio al caso tedesco. Nel 2008 governo e parti sociali tedeschi decidono di ridurre l’orario di lavoro a tutti e di non licenziare nessuno. Questo ha consentito alla Germania di affrontare la crisi meglio di qualsiasi altro paese europeo.
Vedo in senso opposto il caso italiano. Il governo Berlusconi 2011 perde ogni credibilità; letteralmente manda l’economia a puttane e assume provvedimenti draconiani a danno dei lavoratori dipendenti e pensionati. Tremonti mette a disposizione delle banche i c.d. Tremonti Bond; il governo Monti, proditoriamente voluto dal Presidente della Repubblica, aggiunge altri e più pesanti provvedimenti sulla gobba dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Nel 2012 la Fornero ridimensiona il ruolo dell’art. 18 ; due anni dopo il neo premier – altro nominato dal Presidente della Repubblica, spinge per una ulteriore riforma dello Statuto dei lavoratori – a suo dire reperto di un tempo passato come se i diritti fondamentali delle persone cambiassero ogni 30-40 anni. Il motivo vero è quello di accogliere le richieste dei settori più retrivi dell’imprenditoria che non gradisce l’eventuale intervento della magistratura nelle controversie sui licenziamenti c.d. discriminatori. A mio giudizio, si tratta di politica sconsiderata perché, da un lato, non aumenta i posti di lavoro, anzi fin qui ha prodotto un milione di disoccupati in più, dall’altro, aumenta la sfiducia all’interno dell’impresa; inasprisce le relazioni industriali e rende più difficile la cooperazione all’interno dell’impresa e della società. Le manifestazioni di protesta e gli scioperi fatti e da fare, la guerra tra i poveri nelle periferie delle grandi città ne sono la prova. Allora che senso hanno le manciate di ottimismo e di speranza che Renzi dispensa giornalmente quando, nei fatti, fa il possibile per distruggere la fiducia? A me il comportamento del Premier sembra paradossale: non essendo riuscito a cambiare verso alla politica economica dell’UE, vorrebbe dare fiducia agli investitori stranieri. E come poteva cambiarla se andando a Bruxelles e ai Consigli europei andava a dire e ripetere che avrebbe rispettato le regole prefissate? In ogni caso, dare fiducia agli investitori esteri è missione impossibile se uno pensa: a) allo stato di illegalità diffusa in cui versa il Paese; b) all’inefficienza del sistema giudiziario; c) alla corruzione; d) all’incertezza della legislazione anche in materia fiscale; e) alla conseguente inefficienza della Pubblica Amministrazione; f) alle metastasi della criminalità organizzata; …. Il paradosso è che nel mentre velleitariamente vuole dare fiducia agli investitori esteri e agli imprenditori più retrivi che sono una minoranza, in maniera spavalda, crea sfiducia e massimo stress per la stragrande maggioranza dei lavoratori occupati, quelli disoccupati e gli inattivi che non vedono alcuna speranza nel loro futuro. Il dati di ieri dell’Istat che stima la disoccupazione al 13,2% pari a quello del 1977 è veramente deprimente, ma lui si rifugia nel dato parziale dei 100 mila posti di lavoro creati non da lui ma dall’economia e trascurando il saldo netto.