Mai vista tanta innovazione accompagnata da tanta comunicazione: ogni mese si cambia spartito. In una lunga intervista al Sole 24 Ore del 17 agosto scorso la Direttrice dell’Agenzia delle Entrate (d’ora in poi: AdE) Rossella Orlandi annunciava che le indagini finanziarie e il redditometro sarebbero stati utilizzati solo se strettamente necessari. Di converso, annunciava l’invio di 220 mila lettere su incongruenze riguardanti il mod. 730 come noto sottoscritto per lo più da lavoratori dipendenti e pensionati. Siamo al secondo anno della versione precompilata; questa è stata accolta da due milioni pari al 10% di quelli che si avvalgono di detto modello. Secondo la Orlandi la precompilata “è oggi una scommessa vinta”.
A poco più di tre settimane, altra novità veramente devastante: si archiviano gli studi di settore. Uno strumento previsto dal decreto legge 30 agosto 1993 n. 331, convertito con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993 n. 427, attuato poi con tre anni di ritardo. Non servono più, ma non si chiude la società per l’elaborazione degli studi di settore SOSE acronimo di Soluzioni per il sistema economico di cui sono soci fondatori il ministero delle finanze e la Banca d’Italia). Per la SOSE non vale il discorso della riduzione delle poltrone. Lo slogan è “dagli studi di settori agli indicatori di compliance” (adempimento, adesione). Una parola in inglese ci sta bene anche in tempi di Brexit. Gli indicatori serviranno a dare i voti in condotta ai contribuenti (da uno a dieci). E del resto, negli ultimi anni, alla SOSE erano stati affidate altre missioni tra le quali il calcolo dei fabbisogni standard per i servizi pubblici nazionali e locali.
Quando fu costituita la SOSE, il suo storico presidente Brunello, con un passato in Confcommercio, aveva sostenuto che gli SdS avrebbero apportato un tale contributo di conoscenza non solo dei diversi settori economici nel loro insieme ma anche dei loro cluster (gruppi omogenei) da poter cogliere non solo la produttività dove c’era ma anche le debolezze e le situazioni di crisi congiunturale o strutturale su cui basare politiche industriali ben calibrate ed articolate sul territorio.
Se in Parlamento ci fossero Commissioni che facessero sul serio il loro lavoro dovrebbero convocare con urgenza Ministro e dirigenti del MEF, dirigenti dell’Agenzia delle entrate e della SOSE per capire come si è arrivati ad una decisione così grave se si considera l’impegno di lunga lena di uomini e di risorse che è stato profuso per arrivare alla elaborazione degli studi di settore che avrebbero dovuto consentire una migliore programmazione dei controlli degli Uffici finanziari e una più fondata motivazione degli accertamenti. Sappiamo che questi due obiettivi fondamentali non sono stati conseguiti per motivi che non posso approfondire qui. La prova di fatto è che l’evasione fiscale si aggira sempre tra il 7 e l’8% del PIl secondo i dati citati dal Presidente della Repubblica Mattarella nel suo discorso di fine anno.
In realtà, l’abbandono degli SdS non segna il cambio di strategia, non è una svolta, ma una decisione che integra e rafforza una serie di decisioni coerenti tra di loro che sono state assunte dal governo Renzi. Qui ne cito solo alcune. Nel Rendiconto generale dello Stato presentato nel luglio 2015, la Corte dei Conti certificava il dimezzamento dei controlli fatti con il redditometro: nel 2014 accertamenti sintetici erano scesi a quota 11.091 contro 21.535 nel 2013. Anche il gettito di tali controlli era rimasto sotto le attese. Precedentemente, erano usciti altri dati deludenti sulle indagini finanziarie. Ma prima ancora la Dott.sa Orlandi aveva dichiarato che l’Anagrafe Tributaria era in grado di controllare i saldi giornalieri dei conti correnti perché, finalmente, era stata messa a punto la mega banca dati con i conti bancari di tutti gli italiani lavoratori dipendenti e pensionati – a suo tempo voluta dal Governo Monti. La linea comunicativa è stata quella di persuadere i contribuenti ad adempiere spontaneamente e non quella di migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema dei controlli. In teoria la strategia non è sbagliata ma se la si cala in un Paese di evasori incalliti e se il governo non rifugge dal concedere condoni e sanatorie – pardon, dimenticavo l’inglese: voluntary disclosures -, in pratica, tale strategia non può funzionare, specialmente se lo stesso governo con dati dubbi sostiene – in contrasto con il Presidente della Repubblica – che sono stati conseguiti notevoli successi in termini di lotta all’evasione fiscale.
Ma seguiamo detta linea comunicativa. Ora che gli SdS hanno raggiunto l’obiettivo di sconfiggere l’evasione fiscale mi chiedo se essi siano ancora utili per guidare le politiche industriali. No, non servono perché il governo non ha una vera politica industriale. Non serve neanche questa se a monte c’è una politica generale di riduzione delle tasse a prescindere e se, a valle, c’è una politica clientelare degli incentivi – come chiede la stessa Confindustria. La politica clientelare produce consenso politico, quella di forte contrasto all’evasione produce risentimento e ostilità. E, d’altra parte, perché l’Italia dovrebbe avere una politica industriale se non ce l’ha l’Unione europea! Per i governanti di Bruxelles essa non serve perché distorce il corretto funzionamento del mercato concorrenziale. Bisogna lasciare che questo funzioni secondo le regole proprie: è quello che sostengono i fautori della teoria dei mercati efficienti. Le imprese efficienti scalzeranno quelle inefficienti e la maggiore efficienza complessiva favorirà i consumatori. Di conseguenza, niente aiuti di Stato salvo casi eccezionali. E per ridurne l’esigenza basta la concorrenza fiscale illimitata salvo a scoprire dopo che i grandi oligopoli globali evadono ed eludono le tasse alla grande nei Paesi ad alta pressione tributaria. La vera risposta a questo problema non è quella che addita la Commissione europea o qualche governo ipocrita dei Paesi membri dell’Unione. La vera risposta sarebbe l’armonizzazione fiscale, ossia, la riduzione delle differenze tra le aliquote dell’imposta sulle società e l’adozione di regole comuni nella determinazione delle basi imponibili. Queste cose non le chiede nessuno e finché ci saranno differenze da due a tre volte nelle aliquote medie effettive, è chiaro che imprese residenti e stabili organizzazioni andranno a stabilire le loro sedi nei Paesi che assicurano trattamenti più favorevoli.
Tornando all’Italia, mi sembra che il Governo abbia adottato la strategia seguente: perché combattere l’evasione e l’elusione se l’obiettivo generale del governo è quello di ridurre le tasse? Perché perdere tempo a scegliere come e a chi ridurle? Lasciamolo fare agli interessati: loro possono farlo da soli. Lo hanno sempre fatto con cognizione di causa, ossia, con la pianificazione fiscale. Al bando le difficili operazioni di perequazione, la lotta all’evasione, all’elusione, all’abuso del diritto. Renzi ripete continuamente due slogan molto belli: “Investire nella lotta contro la paura” ; anche gli SdS possono mettere paura agli evasori se utilizzati bene. “Bisogna restituire fiducia e speranza ai cittadini”. A tutti ovviamente anche se sono evasori. Addio alla lotta all’evasione. Vivi e lascia vivere.