La Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, presentando il rapporto che Lei ha promosso, ha auspicato: poca retorica e la valorizzazione dello straordinario percorso fatto. La bufera non passerà da sola. Occorre rilanciare il progetto europeo, accogliere le richieste dei cittadini perché non possiamo accettare l’impatto sociale di certe misure economiche. Dice si all’Unione federale di Stati. Ma occorre coinvolgere i cittadini nella costruzione della nuova architettura istituzionale dell’Unione. Non basta il lavoro delle sole istituzioni. Ha promosso una consultazione pubblica per via telematica sui cui i saggi hanno costruito il Rapporto. Ricorda che il 77% percepisce bene i sacrifici che la UE impone mentre non si ricorda dei benefici perché li danno per scontati. Dice che la cittadinanza europea é solo un accessorio che si acquisisce attraverso la cittadinanza del Paese membro, ossia, in tanti modi diversi. Fanno notizia sempre gli aspetti negativi. Critica lo striminzito bilancio europeo pari a poco più dell’1% del Pil mentre quello federale degli Usa si attesta al 25%. Conclude che l’attuale struttura istituzionale non può funzionare bene e vuole un’Europa a due velocità non a più velocità.
Il Presidente del Comitato dei saggi Moavero Milanesi afferma che il tema Europa é spesso trattato in maniera superficiale o estremistica. Il Rapporto cerca di essere realistico. Le proposte sono simmetriche alle sfide che l’Unione deve fronteggiare: l’economia, la immigrazione, la difesa e la sicurezza comune. In una certa fase dello sviluppo del progetto europeo della UE il metodo intergovernativo era una necessità ma è rimasto tale troppo a lungo.
Arianna Montanari si diffonde sull’identità europea. Filosofia greca, diritto romano, Sacro Romano Impero, Leonardo Da Vinci, Cristoforo Colombo, la storia, la letteratura, l’arte comuni,ecc. Propone Istituti di cultura europea, cittadinanza europea, ecc. Suggerisce che il 5 maggio 1950 il giorno della Dichiarazione Schumann sia una festa europea in tutti i paesi membri dell’Unione.
Tiziana De Simone, giornalista Rai, dice che siamo passati dall’UE che non faceva notizia perché le cose, in un modo o nell’altro, andavano bene a quella che fa paura. Parla delle difficoltà di comunicare le decisioni europee perché riguardano problemi molto complessi. Chiede semplificazioni.
Enrico Giovannini, nato nell’anno dei Trattati di Roma, cita alcuni dei vantaggi straordinari prodotti dalla Comunità e dalla Unione. Poi osserva che i Trattati non hanno rispettato la clausola sociale orizzontale commettendo un grave errore e sottolinea la necessità di realizzare la tripla A sociale di cui parla Juncker. Teme che la nuova politica industriale individuata come Industria 4.0 porterà impatti negativi sull’occupazione e suggerisce di realizzare un mercato europeo sul lavoro. Si può fare e si deve investire nel capitale umano secondo lo schema Life Long Learning. Il capitale umano è più importante di quello finanziario. Bisogna che l’Unione si impegni più decisamente nella lotta alla disoccupazione giovanile e in quella alla povertà: 120 milioni di europei sono a rischio povertà. Propone un reddito di inclusione e una grande conversione ecologica dell’economia. Sottolinea l’importanza di una politica fiscale comune che ponga fine alla concorrenza fiscale senza regole. Cita l’esempio USA cresciuti sul sistema federale. Occorre pensare l’impensabile “Thinking the unthinkable”. Solo in questo modo si può uscire dalla crisi.
Eva Giovannini, un’altra giornalista Rai, autrice del volume “Europa Anno Zero”, si sofferma sul diritto di asilo e sulla protezione inadeguata assicurata dalle forze dell’ordine ai residenti e non residenti. Propone un’agenzia europea per il diritto all’asilo. Racconta la storia (tratta) delle ragazze nigeriane.
Simone Fissolo, presidente della Gioventù federalista europea – Italia, si occupa della Procura europea e della necessità di avere una polizia federale che affronti meglio i problemi della sicurezza e della lotta al terrorismo. Cita l’art. 46 del TFUE che abiliterebbe ad andare avanti.
Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio italiano del movimento europeo, ringrazia la Presidente Boldrini per l’opportunità che ha dato al Comitato. Sottolinea la necessità di essere realisti e di esaminare attentamente la realtà per capire come cambiarla. Parte da una citazione di Spinelli. Se per ristrutturazione la casa ci si rivolge ad uno studio di architettura, se si vuole riformare l’assetto istituzionale dell’Unione è meglio rivolgersi al massimo organo della sovranità popolare, nel caso di specie, il Parlamento Europeo. A suo giudizio il metodo della Convenzione ha mostrato molti limiti. Si alla consultazione pubblica anche di Università e associazioni culturali per costruire una Comunità federale. Si ai referendum contestuali.
Vale la pena di riassumere i vantaggi elencati nel Rapporto senza pretesa di essere esaustivi: 1) il libero accesso al mercato europeo; 2) l’esplosione del turismo intraeuropeo; 3) la protezione dei consumatori dalle pratiche monopolistiche che prevalevano in molti PM con diritto a restituire il prodotto e ottenere il rimborso; 4) il miglioramento degli standard qualitativi dei prodotti e la tracciabilità di quelli agricoli; 5) la più alta mobilità dei lavoratori e degli studenti; 6) sessanta anni di pace tra i PM; 7) una moneta comune che più recentemente ha assicurato tassi di interesse molto bassi con cospicui vantaggi per i PM ad alto indebitamento per le famiglie e i loro mutui case e altri acquisti a rate; 8) un modello sociale che il mondo ci invidia; 9) uno scudo politico rispetto alle crisi dei governi sub-centrali; 10) una giurisprudenza costituzionale fortemente impegnata nel controllo del rispetto dei diritti fondamentali e civili da parte dei PM; 11) una tutela più rigorosa dell’ambiente; ecc. Molti di questi vantaggi sono comunemente sottovalutati o dati per scontati e gli apprezzamenti critici si riferiscono ovviamente alle cose che non funzionano a partire dall’euro per come è stato introdotto in alcuni paesi come l’Italia dove in alcuni casi ha prodotto il raddoppio dei prezzi di alcuni generi alimentari. Durante e dopo le fasi più acute della crisi, la difesa del cambio dell’euro è divenuto la camicia di forza che impedisce le svalutazioni competitive a cui erano adusi governanti e imprese italiani nei precedenti decenni a scapito dei lavoratori e dei più deboli.
Dal punto di vista dell’economista, il problema dell’euro non sta nell’essere una moneta unica ma nella gestione del suo cambio e, dopo il 2008, nel suo collegamento con la politica dell’austerità e/o del risanamento dei conti pubblici in una fase del ciclo che richiedeva una politica espansiva come è stata adottata negli USA. Il problema sta ancora nella ricetta unica uguale per tutti come prevede la politica monetaria totalmente accentrata in testa alla BCE, nel mancato coordinamento delle politiche fiscali restrittive e politica monetaria espansiva. E tuttavia, nei PM ad alto debito, nella impossibilità di utilizzare la liquidità abbondante che il quantitative easing, adottato tardivamente, ha messo a disposizione, in grossa parte utilizzato dalle banche per comperare titoli pubblici. In una prima fase (2008-12) della crisi il mix di politica monetaria e fiscale restrittiva e il cambio forte dell’euro hanno depresso la domanda interna per consumi e investimenti. Nella seconda fase (dal 2013 a oggi), la politica monetaria espansiva è stata in parte neutralizzata dalla politica fiscale restrittiva e dai limiti all’indebitamento imposti dal Patto di stabilità e crescita riformato con il regolamento n.1175/2011; il cambio dell’euro è stato lasciato cadere e ha prodotto un enorme surplus commerciale per la Germania e da ultimo anche per l’Italia. Ma la svalutazione del cambio dell’euro si è aggiunta alla svalutazione interna di prezzi e salari ha depresso ulteriormente la domanda. Ha consentito la crescita delle esportazioni di alcuni PM ma non è minimamente sufficiente per sostenere gli investimenti, i consumi e la crescita senza i quali il problema del debito pubblico non può essere risolto. Se il problema di fondo dell’Italia è la bassa produttività e l’alta disoccupazione non bastano gli incentivi alle imprese e i bonus ai lavoratori con redditi medio-bassi. Serve una politica economica e finanziaria espansiva, ossia, di segno opposto a quella messa in atto fin qui.
Vengo ora alle mie critiche al Rapporto. Non capisco come i saggi abbiano potuto scrivere la frase di cui al primo capoverso di pag. 9. “Mancanza di una vera e propria cittadinanza europea in senso giuridico e politico”. Come è scritta e come è stata presentata dalla Presidente Boldrini la frase si traduce in una sostanziale svalutazione di quello che c’è in senso contrario alla filosofia del Rapporto che intendeva spiegare e spiega i vantaggi del processo di integrazione spesso trascurati o non correttamente percepiti dai cittadini. E’ chiaro che la cittadinanza europea è meno piena di quella nazionale dei PM ma il problema dipende dal fatto che l’attuale assetto istituzionale dell’Unione pretende di riservare ancora una funzione preminente agli Stati membri sempre in preda a rigurgiti nazionalistici. Il problema è di capire come possiamo rendere più pregnante quella europea nell’attesa di una riforma radicale dei Trattati che richiede tempi lunghi. E a me sembra comunque chiaro che se si arrivasse all’auspicata Federazione europea, dovrebbe prevalere la cittadinanza europea e, di conseguenza, dovrebbe sparire quella dei Paesi o Stati federati. Non mi risulta che negli USA un americano che risiede nel Texas abbia la cittadinanza di quello Stato, così come nel nostro Stato regionale la cittadinanza italiana non è aggiuntiva a quella siciliana o lombarda.
Inoltre, la frase dimentica il lavoro prezioso che le due Corti di giustizia europee del Lussemburgo e di Strasburgo stanno facendo proprio in materia di violazione dei diritti fondamentali e civili nei paesi membri. Ricordiamoci le sanzioni che l’Italia paga ogni anno nell’ordine delle diverse decine di milioni proprio per dette violazioni. Secondo me, in questa lunga fase di transizione, occorre una più rigorosa redistribuzione delle competenze non solo in questa delicata materia ma anche in tante altre. Un’attribuzione non solo formale ma che preveda le relative responsabilità di finanziamento tra il livello centrale e quelli sub-centrali di governo.
Diversamente restiamo nella sfera degli esercizi accademici dove ogni opinione bene argomentata è legittima ma il problema rimane tale e quale. Faccio l’esempio concreto del diritto all’assistenza ovviamente collegato alla cittadinanza. Dappertutto l’assistenza viene attuata dai Comuni ma il suo finanziamento dovrebbe essere a totale carico dello Stato che dovrebbe trasferire le risorse necessarie. Se questo non avviene è chiaro che detto diritto non viene attuato proprio nei comuni meno dotati di risorse proprie e dove maggiori sono i bisogni di assistenza. Anche con gli attuali Trattati, se ci fosse il consenso politico, l’UE potrebbe contribuire al finanziamento dell’assistenza riempiendo di contenuto l’istituto della cittadinanza europea. Non ultimo, è attuale e drammatico il problema dei minori soli che sbarcano in Italia, in Grecia e in altri PM e, quindi, dentro i confini dell’Unione. Il Parlamento italiano sta discutendo una legge che si occupa di loro. Ma questo sarebbe proprio un tema su cui l’Unione dovrebbe intervenire con urgenza e in prima persona, assegnando a questi minori soli il diritto di asilo e poi quello di cittadinanza – così come propone il Rapporto.
PQM, nell’attuale situazione di confusione e di crescenti pericoli di disgregazione, la cittadinanza europea, come prevista dai Trattati, mantiene un altissimo valore proprio in senso giuridico e politico.
Una seconda osservazione riguarda il paragrafo 5.1 sulla necessità di una riforma costituzionale trasparente e partecipata. Il Rapporto critica il metodo della Convenzione perché convocata a prescindere da un vero dibattito europeo. Una critica troppo facile per un problema sul quale il filosofo Jurgen Habermas si è esercitato con rigore per diversi decenni. Ma per fare un dibattito servirebbe una opinione pubblica europea che ancora non c’è a livello diffuso. Abbiamo telegiornali come Rainews, Euronews, BBC, ecc. ma quanti di noi li guardano rinunciando a quelli locali? Per fare un’opinione pubblica europea servono tempi lunghi e più giornali e mass-media che si occupino sistematicamente dei problemi europei. Lo stanno già facendo ma non ancora abbastanza. PQM mi sembra più realistica l’ipotesi di un’assemblea costituente europea eletta direttamente oppure indirettamente dai Parlamenti dei PM purché poi prevalga il voto a maggioranza qualificata, escludendo qualsiasi ipotesi di opting out (vedi proposte 3 e 4 di p. 37 del Rapporto) e si prevedano i referendum confermativi. Non è strettamente necessario il dibattito preliminare o meglio il coinvolgimento dei partiti, dei gruppi di interesse organizzati, delle Università, delle Associazioni culturali, delle Fondazioni. Potrebbe essere più utile un dibattito contestuale ai lavori dell’Assemblea costituente purché finalizzato alla elaborazione di proposte concrete e/o emendamenti da presentare all’Assemblea medesima con l’obbligo dell’esame.
Sul paragrafo 5.2: “verso la federazione europea”. Precisa il Rapporto non un super Stato ma una Comunità federale. Ma che cos’è quest’ultima se non una Unione federale vera e propria? E che cos’è una Unione se non un livello di governo superiore, alias, un governo che essendo espressione di una Unione di più Stati membri è in re ipsa più forte dei suoi singoli componenti ma più lontano dalla gente? Platone e Aristotele utilizzavano il concetto di comunità riferendosi alle città-stato della Grecia del quinto secolo A.C. Oggi parliamo di un’Europa dalle dimensioni continentali (oltre 4 milioni di Km quadrati) di cui molti cittadini europei ignorano i precisi confini e di 508 milioni di persone.
Diverso è il discorso se il governo federale debba essere grosso o piccolo. Questa è questione di ideologia economica. Anche i padri costituenti americani volevano un governo federale piccolo che si occupasse delle cose essenziali (difesa comune, sicurezza, politica estera e commercio interstatale) ma poi, nel corso del tempo, sappiamo com’è andata a finire. Il Rapporto precisa che il nuovo Trattato deve “prevedere competenze esclusive”. Non condivido questa impostazione in primo luogo perché, pur partendo dall’Unione, si continua a parlare di trattati che sono di competenza statale. Se, invece, la riforma deve essere fatta dal Parlamento europeo, a mio giudizio, è più corretto parlare di riforma costituzionale dell’Unione e per l’Unione.
In secondo luogo e a questo riguardo probabilmente i Saggi sono stati influenzati dalla omologa scelta della recente riforma costituzionale italiana bocciata dal referendum del 4 dicembre u.s. che prevedeva anch’essa le competenze esclusive tra stato e regioni. Si tratta di un errore perché le competenze concorrenti esistono in molti modelli di costituzioni federali (ad es. USA, RFT, ecc.), perché simili scelte non si possono fare ex ante e per il lungo termine, perché l’effettivo esercizio di alcune competenze dipende non solo dalla disponibilità delle risorse da parte dei diversi livelli di governo a cui vengono assegnate le competenze e tale disponibilità cambia nel tempo e può essere più o meno surrettiziamente manipolata dai livelli superiori di governo. Per contro la proposta sembra mirata a contenere la “invadenza” dell’UE con la disciplina minuta in materie secondarie ma probabilmente i Saggi non si sono resi conto che prevedere una netta distinzione delle competenze potrebbe impedire la corretta applicazione del principio di sussidiarietà verticale in materie molto sensibili come l’attuazione dei diritti fondamentali, civili e sociali.
Non ultimo, mi sembra molto discutibile anche la scelta del ruolo da assegnare all’attuale Consiglio europeo: “istanza che discute e indica gli orientamenti strategici”. Il Rapporto sorvola sul dato di partenza che è quello di un sistema in fatto già federale che viene governato da un consesso formato dai Capi di Stato e di governo dei PM eletti in ottica sub-centrale. Come se negli USA al posto del Presidente mettessimo i 50 governatori degli Stati federati. In secondo luogo, a me sembra che nel mondo di oggi e finita la programmazione strategica a lungo termine. Quindi delle due l’una: o si abroga del tutto il Consiglio oppure lo si trasforma in un vero e proprio Senato federale modello USA. Non convincente trovo anche l’ipotesi di trovare “opportune forme di coinvolgimento dei Parlamenti nazionali”. Su quali competenze? Su quelle esclusive del governo federale o su quelle dei governi sub-centrali? E per fare cosa? Solo per ascoltarli o per farli votare? Non si rischia di complicare oltremodo le procedure legislative e al limite paralizzare il Parlamento Europeo?
Per un’analisi corretta della situazione occorrerebbe evitare di identificare le istituzioni fondamentali della democrazia europea con i governanti di turno, com’è in parte inevitabile per via della presenza incestuosa del Consiglio europeo. E’ alto il rischio di buttare via il bambino (il progetto europeo e il percorso già fatto) con l’acqua sporca. In altre parole, si tratta di distinguere tra il progetto di integrazione europea e l’acquis communautaire che conservano tutta la loro validità e i problemi gravi che l’UE non riesce a risolvere come la crisi economica, gli squilibri territoriali, l’immigrazione, la sicurezza interna, la lotta al terrorismo internazionale e la pace nel Mediterraneo.
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