L’altro ieri il Presidente Napolitano ha detto che non c’è il clima adatto per le riforme. Ha ragione. Al di là del buonismo natalizio e dell’ipocrisia, non ci sono le condizioni oggettive per fare accordi allargati alle minoranze. Quello che Napolitano non ha detto – ma che mi chiedo io – è se per governare sul serio servono veramente  le riforme di cui si chiacchiera a vanvera da anni (superamento del bicameralismo perfetto, rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, legge elettorale, federalismo fiscale, riforma tributaria, ecc.).

A mio giudizio non servono dette riforme o, quanto meno, non sono strettamente necessarie.

Il bicameralismo perfetto c’è negli USA e nessuno pensa di modificarlo. E gli USA sono un modello importante di federalismo politico e fiscale.

La riforma costituzionale della giustizia, dell’art. 111 sul giusto processo, c’è stata grazie anche all’impegno del Presidente Ciampi ma poi non sono seguiti i provvedimenti legislativi e  amministrativi ordinari che avrebbero dovuto velocizzare il processo. In materia, quello che vuole veramente Berlusconi è soprattutto un salvacondotto personale e molti non sono d’accordo a darglielo, provocando un grave vulnus alla Costituzione.

Sul federalismo fiscale, c’è stata quest’anno l’esperienza bipartisan che ha portato alla legge n. 42/09 c.d. delega Calderoli e ora si attendono i primi decreti legislativi del governo.

Sul rafforzamento dei poteri del premier c’è il massimo di equivoci. Se il modello di Berlusconi è quello vecchio di “un uomo solo al comando”, ossia, un capo, un programma ed una maggioranza bloccata, il discorso è chiuso. Se è vero, come è vero,  che il Centro-sinistra ha cambiato idea e che ora è attestato a difesa della repubblica parlamentare,  non ci sono i termini per nessun accordo.

Anche sulla riforma tributaria non pare che ci siano progetti convergenti tra maggioranza e opposizione né all’interno della stessa maggioranza. Ci sono però i vincoli stringenti di bilancio.

A me sembra che abbiamo una classe dirigente non all’altezza del compito che nasconde dietro una presunta mancanza di norme la sua incapacità di governo vuoi per quello che non riescono a fare vuoi per ciò che non hanno il coraggio di fare.

Ricordo che Berlusconi la riforma  di tutta la seconda parte della Costituzione l’aveva già fatta nel 2005, ma poi fu bocciata dal referendum popolare promosso dal Centro-sinistra. Berlusconi se lo ricorda bene e,  per questi motivi, ora cerca l’accordo fuori dal Parlamento anche perché non è sicuro di avere dietro di sé tutto il PdL.

Si contrappone Bersani, nuovo segretario del PD,  dicendo: no alle leggi ad personam e sulle riforme si discuta in Parlamento con il massimo di trasparenza.

E qui casca l’asino. Può il Parlamento accettare formalmente l’azzeramento della sua sovranità? Può accettare il superamento dello Stato di diritto che lo porrebbe in permanente stato di sudditanza rispetto al capo del governo? Secondo me, no.

Anche perché il modello “un uomo solo al comando”, con potere di sciogliere il Parlamento se messo in minoranza,  richiede   il rafforzamento  del “maggioritario coatto” che fin qui ha dato cattivi frutti: la stabilità del governo non ha portato  migliore governabilità. Ma – lo ripeto – questa è questione soprattutto di uomini e di cultura di governo, di senso dello Stato e del bene comune.

Non è ancora chiaro cosa vuole esattamente il PD sul terreno della riforma della legge elettorale. Ma mi sembra che le potenti forze che si contendono il centro si muovano nella direzione opposta a quella inseguita da Berlusconi. Se quello che sta succedendo al centro ha un qualche senso  e peso, se la linea di Bersani è quella dell’alleanza con le altre minoranze, e se la riforma del sistema elettorale è strategica circa la forma di governo che si vuole costruire,  le prospettive di un accordo bipartisan sono prossime allo zero. Ecco perché, come al solito,  si discute del nulla.