Si avvita la crisi finanziaria. Molti continuano a parlare di commissariamento e di violazione della sovranità nazionale. Il Parlamento italiano in questi giorni sta discutendo una riforma costituzionale di non poco conto. Sta modificando l’art. 81 della Costituzione in modo da iscrivervi in maniera più stringente l’obbligo del pareggio di bilancio secondo gli accordi presi a livello europeo. Vale la pena di ricordare che il pareggio di bilancio in chiave incrementale c’è già nell’art. 81 così come attualmente formulato. Recita infatti il comma 3: “Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”. Questo stabilisce il carattere formale del bilancio italiano. Per questo motivo è stata introdotta nel 1978 la legge finanziaria ora ribattezzata legge di stabilità. Il comma 4 prevede il pareggio: “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”.
Purtroppo dal 1948 ad oggi i governi hanno sempre aggirato tale obbligo con coperture non di rado fittizie. Nello stesso periodo con lo stesso art. 81 è stato possibile il più lungo periodo di espansione economica dell’economia italiana dopo l’Unità e anche manovre “lacrime e sangue” come quelle del 1992-93, quella del 1996-97; quella del 2007. Non è la norma costituzionale ma la volontà politica che fa le manovre o tiene i conti in ordine. E’ soprattutto questione di cultura economico-finanziaria purtroppo in questo paese troppo bassa.
Da oltre un trentennio sono state avanzate molte proposte di modifica dell’art. 81 ma sono tutte cadute nel nulla. Uno dei motivi di tale esito è che nel frattempo sono state introdotte profonde revisioni delle procedure di bilancio e alla legge di contabilità nazionale che se applicate correttamente sarebbero state sufficienti a tenere in ordine e in equilibrio i conti pubblici. Un discorso lungo e complicato che è stato fatto da più parti in occasione del trentennale della legge finanziaria. Qui mi limito a dire che se si continuerà a costruire l’equilibrio a legislazione vigente e sui dati tendenziali, la situazione non migliorerà con o senza la riforma dell’art. 81 perché, con questo metodo, si fanno quadrare i conti su dati previsionali ampiamente manovrabili da parte del governo in carica. Si sopravvalutano le entrate, si sottostimano le uscite ma poi, a consuntivo, il deficit risulta superiore a quello stimato.
Il punto che vorrei fare qui è un altro. Nell’acuirsi delle crisi dell’euro da luglio a questa parte molti, incluso lo stesso Presidente Monti, hanno scritto e lamentato il commissariamento e/o la violazione della sovranità nazionale. Trovo l’affermazione non fondata atteso che come ha detto lo stesso Monti nel discorso di presentazione del suo governo: “noi siamo l’Europa e non c’è un noi e un loro”. Noi siamo a tutti gli effetti fondatori della Comunità europea e ora dell’Unione. Nella nostra costituzione – vedi artt. 11 e 117 – consentiamo alle limitazioni della sovranità e riconosciamo i vincoli discendenti dall’ordinamento comunitario. E la giurisprudenza della nostra Corte Costituzionale non prevede eccezioni alla generale prevalenza del diritto comunitario. È solo la mancanza di accountability (responsabilità) dei nostri politici che, da un lato, li spinge a cercare un vincolo esterno come alibi per assumere decisioni politiche sgradite agli elettori, dall’altro, a lamentare la violazione della sovranità nazionale. Non ultimo questo modo di comportarsi evidenzia la scarsa considerazione che gli stessi politici hanno dei loro elettori – ritenuti immaturi e creduloni.
Non è fondata la tesi della violazione della sovranità perché i rapporti tra il governo di Roma e quello di Bruxelles sono analoghi a quelli tra Roma e Palermo. C’è un Patto di stabilità e crescita tra i membri dell’eurozona e c’è un Patto di stabilità interna tra il governo nazionale e le regioni italiane.
Anche i vincoli del Patto di stabilità interna sono spesso pesanti e fanno mugugnare le regioni ma, per fortuna, nessuno ha parlato di violazione della sovranità di questa o quella regione. Neanche i buontemponi della Lega Nord, pur farneticando di Padania, hanno mai parlato di violazione della sovranità di detta fantasiosa entità anche se ipotizzano la secessione. Grazie all’impulso della Signora Merkel avremo anche la riforma dell’art. 81 ma è strano come solo pochi si chiedano come possa funzionare un sistema che prevede il pareggio di bilancio in periferia senza un vero e proprio governo centrale dell’economia europea. Negli USA è obbligatorio il pareggio di bilancio per i singoli stati federati ma al centro c’è non solo un governo federale vero e proprio – troppo grosso secondo i Tea Parties – ma anche una banca centrale che quasi sempre coopera con il governo a sostenere e promuovere la crescita e l’occupazione. In questi mesi stiamo tutti scoprendo (o riscoprendo) che la costruzione europea è incompleta, che l’euro non ha dietro una banca centrale prestatrice di ultima istanza. Ma pochi ricordano le grida d’allarme quando nei suoi primi due anni di vita l’euro era sceso sotto la pari e che, a partire da fine 2001 e inizio 2002, mentre la FED fa scendere a zero i tassi di interesse la BCE li tiene volutamente positivi per sostenere l’euro. Nel 2008 in media il cambio dell’euro sul dollaro era pari a 1,47 avvicinandosi a 1,50. I ricchi italiani andavano a New York per lo shopping natalizio ma la imprese faticavano a esportare con un cambio molto al disopra del livello di equilibrio (secondo alcuni, tra 1 e 1,10).
Ma come si fa a prescrivere il pareggio di bilancio ai membri dell’eurozona senza un governo centrale che possa fare manovre congiunturali, senza un ministro del Tesoro europeo che possa emettere debito pubblico? Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e prima di esso quello di Maastricht prevedono che la politica economica e finanziaria resti decentrata. Ma come può funzionare questa se il governo nazionale non può indebitarsi?
Prima di chiudere vediamo la nuova versione dell’art. 81 nel testo unificato delle Commissioni. Comma 1: “lo Stato, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.
Comma 2: “l’equilibrio del bilancio è assicurato tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico, prevedendo verifiche, preventive e consuntive, nonché misure di correzione. Non è consentito il ricorso all’indebitamento se non al verificarsi di eventi eccezionali o di una grave recessione economica che non possono essere affrontati con le ordinarie decisioni di bilancio. Il ricorso all’indebitamento, accompagnato dalla definizione di un percorso di rientro, è autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere, adottate a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. Nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali o di una grave recessione economica, lo Stato concorre a garantire, ove necessario, il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) e p). Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Non c’è dubbio che il nuovo testo sia più articolato e stringente di quello attuale ma anche questo, a mio giudizio, non è privo di difetti, ambiguità e incertezze.
Essendo un testo non definitivo mi limito a osservazioni sommarie. Parla genericamente di entrate e spese senza distinguere tra le correnti e quelle di investimento. Ammette l’indebitamento solo per eventi eccezionali (es.: calamità naturali, guerra)o di una grave recessione economica – include la stagnazione? – che non possono essere affrontati con le ordinarie decisioni di bilancio. Prevede in tali casi l’approvazione a maggioranza assoluta dei componenti delle due Camere. Eppure anche queste operazioni di indebitamento irrigidiscono al margine la politica di bilancio e pesano sulle scelte dei governi futuri. Occorrerebbe sottrarle alla volatilità delle maggioranze assolute, prevedere maggioranze qualificate tra i 3/5 e i 2/3, e così responsabilizzare l’opposizione. Il nuovo testo non prevede la golden rule per il governo nazionale come è prevista per quelli regionali dall’art. 119.
Trovo quest’ultima scelta veramente singolare alla luce di quanto prevede il TFUE e prima di esso quello di Maastricht. La politica economica e finanziaria resta decentrata. I governi dei vari paesi membri in preda a rigurgiti nazionalisti non vogliono cedere sovranità fiscale ma con questa norma lo Stato italiano rinuncia alla golden rule. Ma come pensa di finanziare pro-quota le reti transeuropee, le grandi infrastrutture nazionali se non può indebitarsi?
È stato detto che lo Stato nazionale è troppo grande per conoscere bene e risolvere i problemi della gente. È troppo piccolo per affrontare i problemi della globalizzazione, dei debiti c.d. sovrani e delle banche universali e multinazionali. Per tali motivi, un po’ ovunque, la sovranità dello Stato nazionale si sta spostando da un lato verso il basso e, dall’altro, verso l’alto. Per qualche aspetto, la riscrittura dell’art. 81 della nostra costituzione è in linea con queste tendenze. Ma in alto a livello europeo debbono esserci autorità in grado di assumere le decisioni rilevanti. Altrimenti è il suicidio.