La miseria del presente spinge molti autori a tornare periodicamente ad occuparsi della Resistenza. Per l’occasione del loro 70mo anniversario è stata riesumata una ricerca sulle Repubbliche partigiane, promossa venti anni fa dalla Fondazione Brodolini, e pubblicata dagli Editori Laterza nel dicembre 2013 con il contributo dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti ANPPIA. Il ritardo evidentemente non ha inciso sulla bontà della ricerca.
A suo tempo, alcuni di noi avevano letto di Calvino: “Il sentiero dei nidi di ragno” e i racconti “Ultimo viene il corvo”; di Fenoglio: “Primavera di bellezza” (1959), “Il partigiano Johnny” (postumo, 1968); di
Meneghello: “I piccoli Maestri”. E poi, come lavoro strettamente storico, la Storia della Resistenza (1953) di Roberto Battaglia, anche nella versione abbreviata con Giuseppe Garritano (1971). Solo negli ultimi mesi sono stati pubblicati un decina di libri (romanzi, memoriali, storie di amore tra partigiani, ecc.). E si potrebbe continuare.
Qualche mese fa ho presentato il libro di Ennio Caretto, “Quando l’America si innamorò di Mussolini, Editori Internazionali Riuniti, dicembre 2013. Devo dire che si tratta di un libro sul fascismo non solo negli anni ’20 e ’30 ma anche dagli anni ’40 sino ad oggi sia in America che in Italia. Quindi anche esso potrebbe essere interessante per l’ANPPIA.
Come noto, Mussolini, per oltre 13 anni, ebbe l’appoggio incondizionato e fattivo del business e della politica bipartisan USA; quindi anche da parte del Presidente Franklin Delano Roosevelt. L’idillio durò sino al 1935-36 quando l’Italia attaccò e conquistò l’Etiopia; i rapporti USA-Italia peggiorarono ancora quando, su pressione di Hitler, Mussolini adottò le leggi razziali (1938). E raggiunsero il punto più basso quando il 10-06-1940 l’Italia attaccò alle spalle la Francia – già sconfitta dalla Germania. FDR aveva fatto molti tentativi per tenere l’Italia fuori dal conflitto ma non ci riuscì.
Ai nostri fini, voglio citare questo episodio emblematico. L’8 luglio del 1941 l’ambasciatore USA a Roma Phillips che, prima aveva ammirato il Duce, scrisse allo State Department : “il tempo di Mussolini è finito e l’Italia, se ne avesse la possibilità, se ne sbarazzerebbe”…….Phillips fece presente al suo governo che “erano possibili sia un colpo di Stato militare sia una rivolta popolare contro il regime fascista, e che l’America avrebbe dovuto prendere contatto con la Resistenza”. Considero questo episodio come un antefatto o, quanto meno, una testimonianza significativa – non il solo ovviamente – rispetto a quello che va ad accadere da lì a poco, quando, dopo 20 anni di dittatura, di compressione della libertà, esplodono spontaneamente i primi tentativi di autodeterminazione e democrazia vera.
Purtroppo nessuna delle due previsioni dell’Ambasciatore Phillips si verificò, ma dopo l’8 settembre 1943, un grande movimento spontaneo avvenne: inizia la Resistenza da parte dei militari giovani e maturi (sbandati e non) e di civili che combattono come meglio possono le forze di occupazione senza aiuti di sorta da parte del Regno del Sud nè da parte degli Alleati. L’antefatto storico più importante è che nel maggio-giugno 1944 gli alleati anglo-americani avevano sfondato la c.d. Linea Gustav ed avevano messo sotto controllo l’Italia Centrale. I comandi partigiani pensarono allora che gli alleati avrebbero liberato presto il resto del Paese e decisero di attaccare le forze nazi-fasciste alle spalle per indebolirne i tentativi di fermare l’avanzata degli alleati. Queste operazioni ebbero successo in diverse Regioni d’Italia in aree abbastanza vaste specie in zone montane e in alcune Valli ma non riuscirono a stabilire la “saldatura” tra reparti partigiani e truppe alleate. I tedeschi riuscirono a fermare gli alleati lungo il crinale dell’Appennino tosco-emiliano, c.d. Linea Gotica e, così, le lotte partigiane dureranno ancora per due inverni (1944 e ’45) sino alla Primavera del 1945. Le Repubbliche partigiane (una ventina circa), in buona sostanza, vissero una sola Estate: quella del ’44.
Attestati sulla linea Gotica, relativamente più facile da difendere, i Comandi nazi-fascisti poterono liberare parte delle loro forze dedicandole alla lotta contro le forze partigiane comparativamente male equipaggiate e male armate. Proprio per questi motivi, in alcuni casi, la repressione tedesca delle Repubbliche Partigiane e non solo di esse ebbe facile successo e fu spietata – come molti sanno. La loro fine fu decretata dal Generale Alexander, capo delle forze alleate del Mediterraneo che, con il suo Proclama del 13-11-1944, ordinava la cessazione delle attività fino ad allora condotte per via dell’inevitabile sospensione e/o rallentamento delle operazioni causato dalla stagione invernale e la necessità di meglio prepararsi alla campagna finale del 1945: in pratica i partigiani dovevano ritirarsi in montagna.
Nunzia Augeri che nel 2011 ha pubblicato per Spazio tre, un omonimo libro, distingue tre modelli diversi di Repubbliche Partigiane: a) quello in cui i capi partigiani assumono direttamente i compiti politici e amministrativi (vedi i casi di Camporcher in Val d’Aosta e di Valsesia in Piemonte); b) quello in cui le forze partigiane nominano dei commissari politici (caso di Montefiorino in Emilia); c) last but not least, i casi in cui vengono formate delle giunte formate da personale civile in rappresentanza dei partiti politici impegnati nella Resistenza. In queste ultime, non di rado, si votava per alzata di mano – come si fa tuttora nelle piccole comunità svizzere. In Val d’Ossola la Giunta Provvisoria comunale si dà carico del pagamento degli stipendi; si studia l’emissione di un prestito da collocare nella vicina Svizzera; si impongono anticipazioni sulle future imposte straordinarie del dopoguerra. E’ chiaro tuttavia che l’obiettivo primario delle Repubbliche fu la logistica, ossia, l’approvvigionamento di beni di prima necessità per potere sopravvivere alla macchia, in alcuni casi, anche con requisizioni ed operazioni anche violente come, ad esempio, rapine anche alle banche. Un altro importante obiettivo delle stesse fu il controllo dei prezzi perché il calmiere, imposto dal governo fascista, in realtà, non funzionava e aveva dato luogo al mercato nero. Un altro aspetto che mi ha interessato molto come studioso di scienze delle finanze è la questione delle imposte. In alcune Repubbliche viene abrogata subito la odiosa imposta sul celibato e si cerca di far funzionare al meglio il servizio della riscossione dei tributi; nella Carnia si arriva all’abrogazione di tutte le imposte dirette e indirette e all’istituzione di un’unica imposta progressiva sul patrimonio con aliquota del 2% per patrimoni sino a 300 mila lire e dell’8% per patrimoni superiori al milione di lire. Quindi una imposta fortemente progressiva. Nel Basso Astigiano si erano prontamente ristabiliti i sindacati liberi che nel 1923 erano stati sciolti da Mussolini, sostituiti con quelli fascisti e, successivamente, immessi all’interno delle Corporazioni con l’obbligo della leale collaborazione con i datori di lavoro.
È bene precisare che il lavoro dei ricercatori della Fondazione Giacomo Brodolini, come da mandato, riguarda soprattutto l’Intendenza e, appunto, queste esperienze di autogoverno che nascono, da un lato, dai 20 anni di compressione della democrazia locale e non solo di quella nazionale e, dall’altro, dalla necessità di motivare i combattenti volontari e, allo stesso tempo, mobilitare le popolazioni civili attorno a loro. Il lavoro dei ricercatori non consiste solo nella raccolta e nell’assemblamento dei documenti che provano l’attività delle Repubbliche Partigiane. Per queste e per le c.d. zone libere, infatti, c’è una presentazione che contestualizza quei documenti e descrive le situazioni particolari in cui le forze partigiane e i civili coinvolti si trovarono ad agire.
La forte partecipazione dei militari sbandati e non (giovani ed anziani) e di giovani civili alla Resistenza piemontese, il fiorire della stampa locale sono messe in luce da Gabriella Spigarelli.
La situazione più difficile in Lombardia e nell’Oltre Po pavese, dove il comando tedesco utilizzava una famigerata divisione composta da ex prigionieri calmucchi e da reparti fascisti della R.S.I. è bene descritta da Paolo Saija.
Le problematiche e i contrasti insorti per le diverse impostazioni che originavano, da un lato, dalla posizione di Togliatti (il compagno Ercoli, tornato in Italia dopo l’8 settembre 1943) e, dall’altro, di quella del CLNAI non sempre convergenti e non sempre pacificamente recepite a livello locale sono tenute presenti da Fiammetta Fanizza.
La particolare situazione delle Repubbliche partigiane emiliane, le più prossime all’area bellica della Linea Gotica e, quindi, con le maggiori difficoltà di rapporto tra partigiani e popolazioni civile, è bene illustrata da Simonetta Annibali.
Come osserva lo storico Carlo Vallauri che ha coordinano le ricerche e curato la pubblicazione del volume, nei materiali raccolti e nella presentazione degli stessi, ci sono spunti interessanti per una riflessione più attenta su quella drammatica fase storica che non sempre sono analizzati attentamente nei manuali scolastici, nei saggi di storia e/o nella pubblicistica rivolta ai giovani delle generazioni successive. Da segnalare anche l’appassionata prefazione al volume di Guido Albertelli dell’ANPPIA che ringrazio per aver sostenuto meritoriamente la pubblicazione della ricerca della FGB.
Nel volume non ci sono i partigiani in azione, ci sono alcuni nomi dei Capi. Ci sono documenti importanti delle Repubbliche partigiane. Si stiamo parlando della Resistenza senza il mito, ma la storia non è solo sequenza di gesta eroiche. È fatta anche di questioni minori, di amori e di stupri, di sesso più che di amori secondo Sergio Luzzatto che ha fatto una bellissima recensione del recente libro di Giulio Questi “Uomini e Comandanti”, Einaudi, 2014 e, prima di tutto, di logistica, approvvigionamenti e questioni politiche ed amministrative del e per il territorio con esperienze fortemente innovative che preannunciano qualche principio fondamentale della Costituzione Repubblicana, nella specie, l’art. 5 che riconosce e promuove le autonomie locali.
Esperienze non nuove che trovano altri precedenti più consolidati in tempi di pace all’inizio del XX secolo in molti comuni italiani dove l’autogoverno locale aveva conosciuto un certo rinascimento e si erano sperimentati anche strumenti di democrazia diretta come il referendum.
Senza retorica, menziono che l’Italia a livello locale ha conosciuto una grande civiltà comunale tale da far sostenere al Partito dei Sindaci degli ultimi venti anni che il nostro federalismo doveva essere un federalismo municipalistico: un assetto istituzionale sconosciuto nelle democrazie avanzate.
Se io penso al degrado della democrazia locale degli ultimi 20 anni, causato anche dall’elezione diretta dei sindaci, dal loro abuso del potere e dallo scarso uso da parte degli stessi di strumenti di democrazia deliberativa e/o di partecipazione diretta dei cittadini al processo decisionale a livello locale – si intende con le dovute eccezioni e cautele – , personalmente ho qualche motivo in più per valorizzare la breve e luminosa esperienza delle Repubbliche partigiane che, tragicamente, conferma ancora una volta che gli italiani sanno dare il meglio di se stessi solo in stato di necessità.