Secondo sedicenti esperti, il bicameralismo perfetto o la navetta delle leggi tra la Camera dei Deputati e il Senato sarebbe la causa dell’inefficienza del nostro sistema istituzionale. Ripetuta acriticamente questa affermazione diventa una verità mediatica – l’ha detta la TV – specie se poi anche la più alta carica dello Stato (presente e passata) sposa la tesi. In un paese di conformisti le cose ripetute a iosa , le mezze verità o addirittura le falsità diventano verità assolute o saggezza convenzionale.
Personalmente ritengo che l’efficienza delle istituzioni dipende dalle capacità tecniche, dall’abilità, dalla cultura e dal senso di responsabilità e dallo spirito cooperativo delle persone che le animano. Ma ragionare genericamente di istituzioni non basta, bisognerebbe scendere nell’analisi delle forme di Stato , di governo, dei comportamenti degli attori nel gioco conflittuale e/o cooperativo tra i poteri dello Stato tenendo anche conto che l’Italia è inserita da un lato in un processo di integrazione politica a livello europeo, nella Comunità internazionale e, quindi, in un contesto di forte interdipendenza. L’Italia (come nessun altro paese membro della UE) non è più uno Stato sovrano di stampo ottocentesco.
Uno degli argomenti che viene addotto è che il mercato decide con i tempi rapidi dell’economia mentre la politica è inevitabilmente lenta. Si tratta in realtà di un sofisma perché si confondono i tempi della finanza rapace con quelli dell’economia. Anche questa ha tempi lunghi e lenti se parliamo di produzione, di processi di accumulazione , di grandi trasformazioni dei sistemi economici e delle stesse fasi della globalizzazione nell’era della rete. Quindi attenzione perché secondo Lamberto Maffei (Elogio della lentezza, il Mulino, 2014) “alla bulimia dei consumi si è associata una grave anoressia delle idee e purtroppo anche dei comportamenti una volta ritenuti civili, morali. Il pensiero rapido che non guarda né al passato né al futuro non considera la loro valenza né storica né di programma, non ha tempo per rifletterci, e ritiene che questo lavoro della mente riguardi il campo dei metapensieri da relegare nei giorni piovosi, quando non c’è niente di meglio da fare”.
Un secondo argomento mistificatorio è quello della semplificazione che suona bene all’orecchio dei cittadini poco avvertiti e/o degli elettori ansiosi di delegare ad altri i problemi delle scelte difficili. Una società moderna è un organismo molto complesso. La complessità va studiata e compresa in tutti i suoi risvolti. Questo processo richiede tempo e pazienza.
Ma torniamo all’argomento principale. Il governo Renzi sta portando a termine una riforma costituzionale che, a mio giudizio, è un vero pasticcio. Un punto importante di essa è la riforma del Senato in cui entrerebbero consiglieri regionali in carica. La loro scelta avverrà con una modifica futura dei sistemi elettorali regionali attraverso una non meglio identificata procedura che darebbe agli elettori la facoltà di indicare quali rappresentanti regionali potranno rappresentare la Regione al Senato non delle Regioni ma delle autonomie. Un’aggettivazione questa che cambia di molto l’idea portata dalle forze federaliste e dalla Lega Nord di un Senato federale. Qual è la differenza? È sostanziale. Il governo Renzi, in continuità con i governi degli ultimi cinque anni, ha sospeso l’attuazione della riforma federalista del 2001 e della successiva legge delega n. 42/2009. Un Senato delle autonomie che non ha voce in capitolo nell’approvazione della legge di stabilità non ha niente di federale e supera lo stesso modello di Stato regionale che è scritto nella Costituzione del 1948. Resta la navetta su una serie di competenze legislative condivise in materia di leggi costituzionali, elettorali, di struttura degli organi di governo, di funzioni fondamentali dei comuni e delle città metropolitane, di regole di partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle politiche dell’UE, di leggi sulle incompatibilità e ineleggibilità. Come si può capire, in teoria, si tratterebbe di leggi che, per la verità, non dovrebbero richiedere continue modifiche e manipolazioni.
Qui casca l’asino. Guardando per ora solo agli aspetti interni al nostro Paese, il problema non è la navetta ma la pretesa tutta italiana – ovviamente illusoria – di amministrare legiferando a getto continuo. Il primo problema è quindi la legislazione alluvionale, incerta e confusa. Siamo anni luce lontani dai tempi in cui Tremonti contrapponeva la legislazione per principi a quella casistica che il legislatore italiano ama praticare. Le sue leggi sono delle vere e proprie enciclopedie che nessuno riesce a leggere da cima a fondo. Come ha scritto Victor Uckmar, una legislazione incerta, confusa, di tipo alluvionale fa straripare i fiumi meglio regimentati. Senza saperlo, ci troviamo spesso a violare leggi che non conosciamo neanche e, quindi, possiamo essere tutti incriminati a prescindere dalla propensione a delinquere (Remo Bodei). Portando alle estreme conseguenze questo tipo di analisi Giulio Tremonti nel 1997 raccoglieva una serie di suoi saggi in un libro dal titolo sconvolgente “Lo Stato criminogeno” (Sagittari, Laterza) . Ma al governo il nostro si dimenticava del tutto delle sue riflessioni di studioso e. come ministro dell’economia e delle finanze, come legislatore, di lunga lena, si è comportato in modo conforme alla prassi. Per altre pertinenti considerazioni sul punto mi sia consentito rinviare a un mio precedente post :http://enzorusso2020.blog.tiscali.it/2006/02/03/la_legge_criminogena__1583545-shtml/
Un eccessivo numero di leggi anche se in calo è confermato sulla base dei dati consuntivi della XVI legislatura. Circa 384 atti legislativi contro i 686 della XIV legislatura 302 in meno. 179 contro 232 i giorni necessari per approvare un provvedimento. Nella XIV 538 erano provvedimenti governativi 138 di iniziativa parlamentare; 10 misti; nella XVI 296, 80 e 8. E poi dicono che il governo non riesce a legiferare. Il problema è che legifera male e troppo. Per fare un confronto molto significativo, ricordo che il Parlamento inglese approva ogni anno da 15 a 20 leggi di principi. Solo in Italia vediamo il Parlamento spesso in sessione a Ferragosto e durante le Feste natalizie. “Il contenuto delle leggi degli ultimi anni è di carattere amministrativo” (Sabino Cassese, il Sole 24 Ore del 2-02-2013). La qualità della legislazione è sempre più bassa e difficile da capire come afferma lo stesso Comitato parlamentare per la legislazione. Il motivo fondamentale è che né il governo né le Commissioni parlamentari controllano bene il processo di attuazione delle leggi e preferiscono riscrivere le leggi dei loro predecessori. Abbiamo visto l’inutilità dei falò di Calderoli che, a suo dire, avrebbe bruciato centinaia di migliaia di leggi. In fatto, continuano ad ammucchiarsi leggi su leggi non di rado ispirate a principi diversi e contraddittori. Come detto, si amministra legiferando. Si deresponsabilizza la PA nel senso che si toglie ogni discrezionalità alla dirigenza e alla magistratura – spesso oggetto di attacchi delegittimanti da parte del governo di turno. Si determina quella che viene chiamata la ragnatela di Solone nella quale “La grande illegalità riesce spesso – non sempre, per fortuna – a infrangere impunemente la legge o a servirsi dei suoi interstizi, codicilli e scappatoie per evitarne i rigori” mentre i cittadini comuni rischiano continuamente di essere incriminati sulla base di leggi che nemmeno conoscono (Remo Bodei, Sole 24 Ore del 29-12-2005). Torna di attualità un’antica locuzione latina attribuita a Tacito: “Corruptissima re publica plurimae leges”. Niente è cambiato nella seconda repubblica rispetto alla prima – neanche con Renzi al governo. Se prendiamo l’ultima legge di stabilità vediamo che l’articolo unico su cui il governo ha posto la fiducia contiene 997 commi kilometrici che occupano ben 206 pagine della Gazzetta Ufficiale notoriamente scritta con caratteri molto piccoli.
Per fare approvare le sue leggi complicate, “criminogene” e, per lo più, destinate a rimanere inattuate, il governo abusa della decretazione d’urgenza, del voto di fiducia, del maxiemendamento e, da ultimo, del c.d. emendamento canguro o super canguro per cui proposte di modifiche simili e/o equivalenti vengono rigettate in blocco . Il governi italiani e le oligarchie centraliste che hanno preso il posto dei partiti, negli ultimi tempi, hanno anche il vantaggio di avere a che fare con parlamentari nominati. E con la nuova legge elettorale c.d. Italicum, la subordinazione del Parlamento al governo è destinata ad aumentare. Se questi sono i problemi, pensare che la deformazione del Senato possa avere benefici economici di sistema è solo propaganda ingannevole e mistificatoria di chi, in qualsiasi modo, vuole aumentare ulteriormente i poteri del governo in linea con la deriva autoritaria che si è determinata ed in corso, in primo luogo, a livello europeo.
Emblematici ed opposti i pareri del Senatore Giulio Tremonti citato sopra e di un economista che è consulente del Presidente del consiglio. In una intervista al primo Monica Guerzoni (Corriere della Sera del 5-09-2015), gli chiede di commentare l’affermazione di Renzi che lega le sorti della legislatura alla fine del bicameralismo paritario, Tremonti risponde: “ Quando il processo legislativo viene compresso in 60 giorni, al ritmo di due fiducie al mese, tempi e modi sono tali da soddisfare ogni fabbisogno di potere dell’esecutivo. E’ un fatto di sistema ormai. E il Senato non è più un fattore di ostacolo. Con questa evoluzione della Costituzione (materiale, ndr) è indifferente che le Camere siano due, una sola o al limite nessuna, come vorrebbe qualcuno”. E Tremonti è parlamentare di lungo corso con ampia esperienza di governo.
Apparentemente sofisticato e tecnico il parere di Marco Simoni economista della London School of Economics e consulente di Renzi. Simoni cita il libro di Acemoglu e Robinson, Perché i Paesi falliscono, il Saggiatore e afferma che la crescita e lo sviluppo dei sistemi economici dipendono anche dalla qualità delle istituzioni. Come non essere d’accordo? Riprendendo i due economisti citati, Simoni distingue le istituzioni in inclusive e estrattive e/o predatorie. Quelle inclusive sarebbero quelle che con gli incentivi aiutano gli individui e le imprese a migliorare la loro sorte. Quelle estrattive son quelle che sfruttano le masse e i governi restano agenti delle oligarchie. A quanto appare anche dal suo CV, il giovane economista non ha una grande esperienza con la politica degli incentivi in Italia praticata massicciamente e sistematicamente a partire dall’immediato dopoguerra ed in particolare con quella diretta a migliorare le sorti del Mezzogiorno. Né pare tenga presente il lungo rapporto del gruppo di lavoro di Vieri Ceriani che ha elencato ben 720 agevolazioni per una spesa fiscale complessiva di 254 miliardi e dei falliti tentativi governativi di tagliare quelle senza una seria giustificazione. Mi sembra appunto che il governo Renzi abbia del tutto abbandonato anzi contraddetto le indicazioni probabilmente grazie al supporto teorico agli incentivi e alle agevolazioni che viene dai suoi consulenti con una differenza che non si parla più di incentivi e/o sussidi ma di voucher. Suona bene e diverso, la gente comune non sempre capisce bene l’inglese, ma la sostanza è la stessa: incentivi a pioggia che fanno crescere le clientele fiscali.
Ha ragione Simoni a parlare di qualità delle istituzioni ma è difficile collegare il suo miglioramento alla obbrobriosa deformazione del Senato che il governo sta portando avanti. Non basta occuparsi di una sola istituzione perché è tutto l’insieme che deve funzionare.
Per dissipare ogni equivoco, non sto difendendo ad oltranza il bicameralismo paritario come previsto nella Costituzione del 1948. Il problema va esaminato alla luce del nuovo contesto istituzionale che si è determinato con il processo di integrazione europea. Nel dopoguerra c’era già il Manifesto di Ventotene ma non c’erano ancora le istituzioni europee che vengono dopo a partire dagli anni 50. Nonostante la grave crisi che stanno attraversando, penso che esse sopravviveranno e si svilupperanno sempre più in senso genuinamente federale. Se così la mia proposta che riprendeva quella analoga del prof. D’Alimonte prima che diventasse consulente di Renzi, è e rimane quella di abrogare del tutto non solo il Senato ma anche la Presidenza della Repubblica. In un contesto federale o federativo in itinere a livello europeo, dico che Roma sta a Bruxelles come Palermo sta a Roma. In altre parole, quello di Roma, di Parigi , Berlino, Madrid ecc. sono governi regionali e sarebbe tempo che loro ne prendessero tutti atto se non vogliono contribuire alla dissoluzione delle istituzioni europee – anche esse di bassa qualità. In un assetto genuinamente federale , negli Stati federati non c’è il Senato né il Presidente. Negli USA c’è il governatore. Il Senato sta al Centro e, vedi caso, ha gli stessi poteri e competenze della Camera dei rappresentanti. Negli Stati federali le leggi e i regolamenti federali sono immediatamente applicabili negli Stati federati.
Se si volesse veramente semplificare, sveltire il procedimento legislativo integrativo (“amministrativo”) in Italia, lo ripeto, bisognerebbe abrogare del tutto la seconda Camera, la Presidenza della Repubblica e la c.d. legge comunitaria che ritarda l’adeguamento alla legislazione europea e contribuisce a innescare procedure di infrazione. Allora si che si potrebbero conseguire vantaggi economici significativi.