Nel dibattito elettorale di queste settimane si parla anche di redistribuzione soprattutto da parte di chi propone redditi di cittadinanza, di inserimento, di dignità e quant’altro. Senonché alcuni dei partiti mentre propongono forme di assistenza varia avanzano proposte di riforma del sistema tributario che vanno non a copertura delle maggiori spese ma a ridurre le entrate. Per capire meglio questa problematica vanno precisati i tre fondamentali obiettivi del bilancio pubblico: allocazione delle risorse; stabilizzazione del ciclo; redistribuzione del reddito quando la distribuzione primaria risulta socialmente inaccettabile. Questa netta distinzione vale per la semplicità espositiva. In fatto le tre funzioni si intrecciano strettamente tra di loro per cui effetti redistributivi possono discendere dal tipo di allocazione e stabilizzazione del ciclo e viceversa la redistribuzione del reddito può avere effetti su allocazione e stabilizzazione. Qui non mi occupo delle prime due funzioni ma della terza in modo molto semplificato per dire che la capacità redistributiva del sistema fiscale italiano è stata ed é sempre bassa secondo le ricerche e le comparazioni fatte dalla Commissione europea, dall’OCSE, dal FMI e dallo ISAE prima che l’ex ministro Tremonti lo chiudesse. Avverto che per valutare attentamente la capacità redistributiva non bisogna guardare solo alla progressività del prelievo ma anche agli effetti progressivi o regressivi della spesa pubblica. Ora se a parità di effetti redistributivi della spesa alcuni partiti propongono di eliminare la progressività dell’imposta personale sul reddito introducendo la imposta ad aliquota costante (flat rate tax) che in realtà è una imposta regressiva al disotto di certi livelli e proporzionale al di sopra è chiaro che la capacità redistributiva del sistema fiscale si ridurrebbe a livelli ancora più bassi di quelli attuali. Infatti la flat rate tax dà di più a chi ha o a chi produce di più. È una truffa ideologica mega galattica perpetrata anche da economisti cinici che dicono se la capacità redistributiva è comunque bassa tanto vale che le imposte progressive le sostituiamo con imposte tendenzialmente proporzionali che in teoria avrebbero effetti di efficienza e comunque sarebbero relativamente più semplici di quelle personali e progressive.
Lo ripeto nel nostro caso, si tratta di una truffa o falso ideologico perché delle due l’una: o l’evasione dei 120-30 miliardi all’anno è perpetrata dai lavoratori dipendenti e pensionati oppure dalle imprese e dai lavoratori autonomi e, quindi, abbassare le tasse a questi ultimi soggetti non solo é manovra iniqua ma non produrrà neanche gli addotti effetti di efficienza perché di essi quelli che evadono pagano già meno dei lavoratori dipendenti e di quella parte minoritaria di imprenditori e lavoratori che adempiono più o meno correttamente ai loro doveri tributari.
Anche gli effetti di semplificazione sono un falso ideologico. Una commissione reale canadese presieduta da Kenneth Carter, negli anni 1960, lavorò per cinque anni su come migliorare il sistema tributario e produsse diversi volumi. Affrontò anche il problema della semplificazione e allora si disse molto scettica sulle possibilità di semplificare il sistema tributario. Figuriamoci adesso che le economie contemporanee sono ancora più complesse, terziarie, quaternarie più o meno avanzate, producono beni materiali e immateriali. Ci sono decine e decine di prodotti derivati che sono ora mal regolamentati. Ci sono le blockchain e le bitcoin che non sono ancora regolamentate. Il presidente della BCE Draghi la settimana scorsa ha detto che non ha strumenti per intervenire. Ma torno alle imposte tradizionali. La progressività si costruisce via discriminazione quantitativa e qualitativa dei delle situazioni delle persone e dei redditi. In scienza delle finanze discriminare non si collega a giudizio di valore negativo ma positivo perché a parità di reddito i bisogni degli individui e delle famiglie sono molto diversi. Ci sono persone portatori diversamente abili e non autosufficienti che vanno assistite e pensionati con redditi bassi ai in diversi paesi si concede una detrazione ad hoc proprio perché nella terza età hanno bisogni più urgenti di altri. Quelli che propongono l’imposta ad aliquota costante non definiscono con precisione la base imponibile, non dicono come tassano i nuclei familiari: cumulo con o senza income splitting, tassazione strettamente individuale, ecc.

Anche PQM i sindacati dei lavoratori, secondo me, dovrebbero puntare sulla contrattazione per migliorare la distribuzione primaria tra redditi di lavoro, profitti e rendite che in questi ultimi decenni è peggiorata consistentemente. E in questa fase in cui l’economia europea cresce comunque a tassi medi più bassi degli USA e in Italia c’è un chiaro difetto di domanda aggregata non è causale che l’Ocse, il Fmi e, da ultima, anche la Bce sollecitino una ripresa della contrattazione salariale oltre che un vasto programma di investimenti pubblici infrastrutturali. Per chiudere sul punto della capacità redistributiva del sistema fiscale voglio ricordare che la redistribuzione più incisiva è stata fatta nella stagione alta del sindacato 1969-76 quando il suo potere contrattuale toccò i massimi livelli non solo in materia salariale ma anche di riforme strutturali – quelle vere – di diritti civili e sociali. Negli anni settanta a fronte di un calo considerevole degli investimenti, il tasso medio decennale di crescita del PIL si attestò attorno al 3,75% che oggi non appare ipotizzabile. Secondo l’interpretazione condivisa da molti economisti allora detto risultato fu realizzato per effetto della c.d. sferza sindacale. In questi quattro anni post crisi, a causa anche della politica di austerità accolta acriticamente dal governo italiano si è preferito operare con trasferimenti e incentivi alle imprese che non di rado sono stati utilizzati male. Salvo poi a sostenere che le massicce riduzioni delle imposte che quasi tutti i partiti in lizza sostengono possono essere finanziati con il taglio delle agevolazioni (tax expenditures). Ma se così fosse, ragionando per grandi aggregati si tratterebbe all’ingrosso per molte imprese e per gli stessi lavoratori di una partita di giro: da un lato si ridurrebbero le aliquote delle imposte sul reddito e anche i contributi sociali, dall’altro si taglierebbero le agevolazioni alle imprese e alle famiglie. In teoria da una simile operazione se ne potrebbe far discendere un sistema redistributivo più equo e più efficiente ma, a giudicare dal modo in cui il governo legifera in questa materia, un tale esito sembra improbabile anche perché equità ed efficienza non sono obiettivi naturalmente convergenti e il loro bilanciamento non è così facile. In ogni caso, a ridimensionare l’ipotesi che consistenti trasferimenti alle imprese e alle famiglie è intervenuto Mauro Maré, presidente dell’apposita commissione per il riordino delle spese fiscali, il quale ha affermato nel merito che i tagli orizzontali possibili sono stimati tra i 5 e i 10 miliardi sempre che un governo forte ad inizio legislatura voglia esordire con una manovra non gradita né dalle imprese né dalle famiglie.

Altri osservatori denunciano la frantumazione o disarticolazione del sistema tributario in seguito a interventi non sempre coerenti con una linea strategica ben definita. Negli ultimi 25 anni il legislatore ha concesso ai governi 4-5 deleghe di riforma tributaria con principi opposti e poteri molto ampi. Ne sono conseguiti interventi mirati a visioni opposte. Alcune deleghe teorizzavano uno spostamento sensibile della tassazione dalle persone alle cose, altri avrebbero voluto una riduzione della evasione, erosione e una ricomposizione della base imponibile in un unico coacervo di tutte o quasi le diverse categorie di reddito per applicare meglio il principio di progressività previsto dall’art. 53 della Costituzione.
A me sembra che dagli anni 80 tutti o quasi i sistemi tributari dei paesi occidentale accolgono la linea della cedolarizzazione, alias, dei regimi sostitutivi per alcune categorie di redditi come i redditi di capitale, le plusvalenze e i redditi diversi.
Anche la Svezia che in quegli anni aveva un’alta pressione tributaria basata su un’imposta sul reddito a base onnicomprensiva, in vista del mercato unico europeo, tirò fuori dalla progressività i redditi di capitale per tema di una massiccia fuga di capitali.
A me sembra che la cedolarizzazione dell’imposta personale sia destinata a restare finché nella Unione Europea restano concorrenza fiscale deleteria e molti paradisi fiscali interni.
Secondo me, da oltre un quarto di secolo, si parla molto velleitariamente dell’armonizzazione della base imponibile delle imposte societarie e non si propone un ritorno alla armonizzazione fiscale delle c.d. rendite finanziarie, redditi di capitale, interessi che potrebbero limitare i movimenti speculativi e gli arbitraggi.
Il problema vero della cedolarizzazione, secondo me, è il coordinamento attento delle aliquote delle diverse tassazioni separate, sostitutive attorno all’aliquota media effettiva dell’imposta personale sul reddito. Sulle rendite finanziarie, plusvalenze, vincite al gioco, interessi sui depositi bancari ecc. con aliquote proporzionali effettive attorno al 25% non sarebbero uno scherzo. Resterebbero i problemi dell’aliquota sugli interessi dei titoli del debito pubblico che sarebbe una partita di giro e di alcune forme di risparmio previdenziale meritevoli di un trattamento agevolato.

Il problema più grave del nostro sistema tributario resta quello dell’evasione fiscale e contributiva. Se vanno avanti le proposte e, peggio ancora, le decisioni – momentaneamente rinviate sugli SDS, sullo spesometro, redditometro, gli accertamenti sintetici lasciamo l’agenzia delle entrate rimarrà disarmata oltre che sistematicamente bocciata dalle sentenze non solo dai giudici di merito ma anche di quelli di legittimità che fanno finta di non capire la logica di detti strumenti. Non casualmente, da quando ha cominciato a funzionare la banca dati megagalattica con tutti i conti correnti bancari dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, indagini bancarie, accertamenti sintetici, supportati da SDS sono drasticamente diminuiti. Risulta da diverse fonti che per via delle proposte dei partiti in competizione e soprattutto per via delle decisioni sopracitate del governo l’Agenzia delle entrate non trova utile perdere tempo a utilizzare detti strumenti e si concentra sulla prevenzione come dichiara pubblicamente il suo neo-direttore Ruffini. Ma il governo non si è limitato in questa materia a fare annunci. Ha approvato il decreto legislativo n. 158/2015 sulla base dell’ampia delega fiscale n. 23/2014 che prevede una devastante depenalizzazione dei reati tributari per cui se non si versano ritenute sui salari sino a 150 mila euro o non si versa Iva dovuta sino a 250 mila euro si incorre solo in sanzioni amministrative per non menzionare la norma generale che alza il limite dell’imposta evasa da 50 a 150 mila euro per singola imposta a condizione però che gli elementi attivi sottratti all’imposta siano superiori al 10% del totale elementi attivi esposti in dichiarazione o comunque superiori a tre milioni. Ovviamente dette condizioni simultanee per le grandi imprese sono assolutamente improbabili salvo comportamenti pazzeschi da parte dei manager. Ma non basta per gonfiare i recuperi di evasione si sono legiferati condoni, sanatorie, rottamazioni delle cartelle esattoriali degli ultimi 17 anni, conciliazioni, dichiarazioni spontanee (volontary disclosures) che distruggono il lavoro pregresso degli uffici mentre ne raddoppiano quello corrente. Non ultimo a seguito della scarsa adesione a queste generose misure di favoreggiamento degli evasori si insiste nelle proroghe dei termini senza rendersi conto che un crescente numero di contribuenti presenta le dichiarazioni e poi non versa le imposte dichiarate. Alcuni adducono le difficoltà conseguenti alla crisi. Secondo me, incide anche l’azzardo morale per cui data l’incapacità degli uffici finanziari di effettuare un congruo numero di controlli approfonditi e attesa la volontà insistita del governo di agevolare gli evasori questi aspettano le condizioni più favorevoli.
Mi sembra ovvio che se si continua con la linea fin qui seguita fra 4-5 anni molti evasori parziali diventeranno evasori totali. Di recupero dell’evasione fiscale in campagna elettorale si discute solo in termini di possibili coperture di spese molto generose da parte di tutti. Coperture però che restano altamente improbabili se non si affrontano e non si risolvono seriamente i problemi sopra accennati.