Draghi riuscirà a salvare l’Italia dal caos politico?
Secondo alcuni commentatori, i politici italiani che hanno fatto fallire l’incarico esplorativo del Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico che ha dovuto riportare al Presidente della Repubblica la constatazione dell’impossibilità di ricostituire una maggioranza allargata al governo giallo-rosa di Conte, hanno commesso il suicidio della politica italiana. A fronte del quale il Presidente Mattarella ha dovuto fare ricorso ad un incarico a Mario Draghi tecnico di alto profilo come indubbiamente dimostra anche il suo recente mandato di Presidente della Banca Centrale europea. Ieri ho fatto a caldo un commento su tale nomina su Facebook e l’amico Lino Rizzi ha commentato a sua volta il degrado della politica italiana dove gli elettori innanzitutto non mostrano una grande propensione alla partecipazione, non sanno scegliere bene i candidati né tanto meno i programmi che questi ultimi propongono. In sintesi gli elettori per lo più non sanno per cosa e per chi votano. E’ un problema che riguarda anche altri Paesi non solo l’Italia. Chi volesse approfondire meglio questi problemi potrebbe trovare utili le mie recensioni del libro di Mounk post del 10 agosto 2018 e quella del libro di Brennan del 21 settembre 2018 sempre su questo blog.
In Italia, non ci sono più i partiti di una volta che avevano il compito di elaborare i programmi e selezionare attentamente i rappresentanti che dovevano fare eleggere nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni, nel Parlamento. I partiti storici sono stati sostituiti con oligarchie centralistiche dominate da sedicenti leader per lo più senza alcuna visione del futuro. In nome della stabilità che non sempre è associata alla governabilità che è la capacità di affrontare e risolvere nell’interesse generale i problemi del Paese. In nome della stabilità si manipolano i sistemi elettorali in modo da assicurarla – Mounk parla di “dittatura elettorale”. L’esempio preclaro di questo approccio è stata la legge per l’elezione diretta dei sindaci del 1993 poi estesa ai Presidenti delle Province e delle Regioni.
Da allora, spesso e volentieri, da destra e da sinistra da politici e da esperti sono state avanzate proposte di estendere tale legge alla elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri con l’idea di introdurre in Italia forme di Presidenzialismo, semi-presidenzialismo alla francese e comunque strumenti di rafforzamento del ruolo del governo rispetto al Parlamento. Proprio ieri 2 febbraio, il Sole 24 Ore ha pubblicato i risultati di un sondaggio commentato da Roberto D’Alimonte noto esperto di sistemi elettorali. Quello per la elezione diretta del sindaco piace al 73% degli intervistati e il nostro esperto spiega il perché con una “risposta – a suo dire – semplicissima: in un tempo senza ideologie e con i partiti morti o moribondi gli elettori tendono a fidarsi solo dei leader. Li vogliono scegliere direttamente”. Illusi gli italiani! ma dove li trovano questi leader affidabili? Magari ciò è probabile nei piccoli Comuni dove tutti si conoscono ma quando passi ai livelli di governo intermedi e superiori come fanno a capire le capacità amministrative e le qualità politiche dei rappresentanti e, soprattutto, quando i sistemi elettorali consentono alle oligarchie centralistiche di presentare liste bloccate di candidati sconosciuti alla maggior parte degli elettori? Ma più in generale non vedo dove gli elettori ingenui possano trovare leader affidabili nella quantità necessaria se a giudizio di analisti, politologi, economisti e giuristi la classe politica italiana è prevalentemente di scarsa qualità se non proprio di bassa lega.
Negli anni scorsi ho trovato il tempo per partecipare a tre manifestazioni al Campidoglio per protestare contro il degrado della Capitale. Al netto dei turisti presenti sulla piazza ci siamo ritrovati in 50-70 persone. Anche questa è la prova che i cittadini romani non hanno una grande voglia di partecipare. In forza di quella legge il Sindaco nomina come assessori amici o presunti esperti di suo gradimento e persone che non hanno avuto rapporti diretti o indiretti con gli elettori. E che dire dei Municipi (prima circoscrizioni) che non hanno alcuno strumento per incidere sulla gestione della città? Il Consiglio comunale non conta niente perché se non approva le decisioni del Sindaco può essere sciolto e trattandosi anche qui di nominati non hanno nessun interesse a farsi mandare a casa. Le riunioni del consiglio comunale di Roma non vengono trasmesse da nessuno né da Radio Radicale né da altre stazioni locali.
Ed è il Comune la sede di partecipazione più vicina al cittadino. Figuriamoci al livello nazionale dove il Governo ha espropriato il Parlamento del potere legislativo e sulle leggi di bilancio, su altri importanti provvedimenti di politica economica ricorre al maxiemendamento e al voto di fiducia non consentendo ai parlamentari di approfondire il dibattito e, peggio ancora, in alcuni casi, costringendoli a votare senza avere avuto il tempo di conoscere e studiare particolari importanti delle leggi in esame. Non di rado emendamenti dell’opposizione e della stessa maggioranza vengono respinti per blocchi omogenei o presunti tali e perché ciò avviene? Perché c’è un eccesso di produzione legislativa perché non essendoci fiducia e leale collaborazione neanche tra i poteri dello Stato tutti vogliono leggi che disciplinino ogni caso previsto e prevedibile.
In Italia nella Carta costituzionale c’è il criticato bicameralismo perfetto. In fatto, viene praticato anche il monocameralismo imperfetto perché, in non pochi casi, a norma dei regolamenti parlamentari, una legge già approvata dalla Camera dei deputati non può essere modificata dal Senato e viceversa. Il governo Conte2 non senza fondamento è stato accusato di avere abusato lo strumento amministrativo del decreto del presidente del Consiglio dei ministri mettendo il Parlamento davanti al fatto compiuto. Vedi sul punto le circostanziate critiche del prof. Cassese in sedi diverse. Se questo è il modo di funzionare del nostro sistema politico, a tutti i livelli di base e di vertice, è chiaro che cala la voglia di partecipare e cresce nella gente comune il desiderio di affidarsi all’uomo della Provvidenza, ai leader populisti che le promette di risolvere tutto e in fretta.
Tornando a Draghi, abituato a discutere e decidere in ambienti riservati e/o a comunicare le decisioni in audizioni parlamentari a carattere meramente informativo, lo stato penoso del nostro Parlamento dove non di rado il dibattito è polarizzato, potrebbe aiutarlo ma, in democrazia, molti atti del governo sono leggi formali che, in un modo o nell’altro, devono essere approvati dal Parlamento e lì alcuni nodi potrebbero arrivare al pettine.
La vignetta di Giannelli sul Corriere della sera di oggi rende l’idea: Draghi, seduto davanti a Mattarella che gli affida l’incarico, dice: si ricordi Presidente: sono Draghi, non Mandrake! E infatti ha accettato con riserva secondo prassi.
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