Nella sua conferenza stampa di ieri Berlusconi spezza una lancia a favore della stabilità del suo governo. La tesi è che una crisi del suo gabinetto porterebbe ad elezioni anticipate ed esporrebbe il nostro debito pubblico ad attacchi speculativi. E’ un argomento non irrilevante ma specioso di cui il Presidente del Consiglio si ricorda quando gli fa comodo. Infatti, Berlusconi non ha menzionato che, pur avendo il suo ministro dell’economia e delle finanze messo i conti pubblici in sicurezza già nell’Estate 2008, dal gennaio 2009 a oggi, il debito pubblico è passato da 1.670 miliardi del gennaio 2009 a circa 1860 miliardi di oggi con una variazione di circa 12 punti di PIL al lordo della provvista di liquidità per i primi mesi del 2011. Questo è un dato statistico inoppugnabile. E se il debito è aumentato di tanto, all’origine c’è un aumento del deficit. E allora la manovra dell’Estate 2008 non è stata all’altezza nonostante la propaganda del regime e l’immeritata fama riconosciuta al suo artefice. Nonostante tutto, nonostante la crisi greca e irlandese, gli spread rispetto  al tasso per i bund tedeschi, sono rimasti tra i 160 e 200 punti base – a livelli significativi di una certa differenza nella qualità del credito.  Merito del governo ma soprattutto dell’Unione europea che, nel frattempo, ha messo in piedi uno strumento comune di assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà sulla carta di 750 miliardi di euro che fin qui ha impedito il fallimento sia della Grecia sia dell’Irlanda  e che, alla fin fine, protegge anche l’Italia. Il Fondo monetario internazionale aveva proposto nei mesi scorsi il raddoppio di tale fondo ma la proposta non è stata accettata dalla Merkel e dal Consiglio europeo di metà dicembre.  Non è stata accolta neanche la proposta di Juncker  e Tremonti di un’Agenzia europea del debito da collocare a livello centrale dei Paesi dell’eurozona per gestire ed emettere congiuntamente  debito pubblico. Nonostante la bontà della proposta che riprende un’analoga iniziativa di Jacques Delors del 1993, la verità è che, a livello europeo, il governo italiano non conta nulla perché tutti, più o meno, hanno capito che è inaffidabile  e  che i suoi comportamenti non corrispondono agli annunci ufficiali.  I tedeschi hanno visto nella proposta italo-lussemburghese anche un tentativo dell’Italia di scaricare a livello europeo la patata bollente del nostro debito pubblico.

A me una cosa sembra chiara. Non è la stabilità di questo governo che può frenare o impedire gli eventuali attacchi speculativi specialmente se non riesce ad adottare una politica economica e finanziaria in grado di rilanciare la crescita e l’occupazione. Solo così sarà possibile aumentare l’avanzo primario e ridurre il debito senza operare un taglio drastico dei prezzi e dei salari. Purtroppo, a distanza di due anni e mezzo non ha elaborato alcuna strategia idonea per rilanciare l’economia.  Ieri l’ha ripetuto anche l’ineffabile  ministro Brunetta – quello che considera fannulloni tutti i dipendenti pubblici.  Questo governo ha fronteggiato  l’emergenza; ha messo in sicurezza le banche e con esse le famiglie con grossi pacchetti di titoli finanziari (anche pubblici). Nei giorni scorsi la Banca d’Italia ha confermato che il 10% delle famiglie più ricche ha aumentato la quota di controllo della ricchezza  del paese al 45%. E questo governo ha allargato l’esonero dell’ICI anche alle famiglie più ricche. E’ questo il problema dei governi conservatori  dell’Italia e dell’Unione europea: salvare le banche e i rentiers. Chi più chi meno.  Il Consiglio europeo di metà dicembre ha respinto per ora anche la proposta di trasformare lo strumento straordinario di assistenza finanziaria in un meccanismo ordinario di politica finanziaria che, oltre ad aiutare i Paesi ad alto debito ad uscire dalla relativa trappola, possa emettere titoli a lungo termine per cofinanziare infrastrutture materiali ed immateriali nei Paesi in difficoltà e non solo in essi. Ha respinto, come detto, l’Agenzia per il debito, alias, proposta Juncker-Tremonti, che potrebbe ridurre notevolmente il costo monetario e sociale  del servizio e di eventuali  ristrutturazioni parziali del debito medesimo. Come lo dice chiaramente Philippe Legrain su Repubblica di ieri, i costi opportunità di queste scelte italiane ed europee sono la bassa crescita e la disoccupazione crescente. Fino a che punto, possiamo tollerare che si proteggano gli interessi ristretti delle banche e delle famiglie più ricche a danno delle masse femminili e di giovani  inoccupati, disoccupati e senza futuro?

Tornando all’affermazione di Berlusconi sulla crisi del suo gabinetto, il vero problema non è la stabilità del governo ma la governabilità, ossia, la sua capacità di governare gli eventi e risolvere i problemi che il Paese ha davanti a sè. Per troppi anni, Berlusconi ha dimostrato di non saperlo fare se è vero come è vero che su otto anni di questo primo decennio del terzo millennio la crescita in media è stata zero.