Mentre il paese subisce il declassamento del rating da parte di Standard & Poor’s, i politicanti d’accatto si esercitano nella concorrenza al ribasso e allo sconquasso. Quelli della maggioranza non sanno più cosa promettere agli elettori di Milano e Napoli: riduzioni di imposte, sanatorie edilizie, condoni delle multe, zone franche, tasse agevolate alla città più ricca d’Italia e, da ultimo, anche il trasferimento di alcuni ministeri.  Di certo, condoni fiscali ed edilizi producono devastanti effetti diseducativi e perdite di gettito ordinarie che è esattamente il contrario di quello che serve per affrontare seriamente il problema della riduzione del debito pubblico. Ho scritto ieri che non c’è alcuna volontà prevalente di prelevare imposte straordinarie sul patrimonio che, peraltro, nell’attuale fase congiunturale, potrebbero avere effetti depressivi sulla domanda aggregata sia di consumi sia di investimenti. Se così, quello che ragionevolmente si può fare è accumulare consistenti avanzi primari e vendere cespiti del patrimonio pubblico, cercando di ridurre o, quanto meno, tenere ferma la spesa pubblica – magari migliorandone la composizione qualitativa. Ma per accumulare avanzi primari occorre mantenere ferma la pressione tributaria o aumentarla al margine magari con misure perequative che attenuino il rigore sui redditi di lavoro dipendente e colpiscano sul serio l’evasione fiscale, mettendo da parte vecchi e incongrui progetti di riforma tributaria. Invece no, i governanti della Lega Nord  tornano a chiedere il trasferimento di alcuni ministeri a Milano. E Silvio Berlusconi che ha il cuore di una puttana, che non sa dire no a nessuno, non oppone resistenza ma consapevole che si vota anche a Napoli “controbilancia” la richiesta dei leghisti con qualche ministero anche alla capitale del Regno delle Due Sicilie. È veramente sconcertante la leggerezza del nostro Presidente del consiglio dei ministri.

Ma torniamo alla  proposta della Lega Nord. È  vecchia ed è in forte contraddizione con quello che essa va sostenendo ormai da più di un decennio come partito di lotta e di governo. Una settimana dice di avere ottenuto il federalismo; la settimana dopo dice che sostiene il governo perchè  deve attuarlo. In momenti di sconforto, torna a minacciare anche la secessione. Ora se attuato correttamente il federalismo implica il trasferimento alle Regioni di molte delle funzioni attualmente gestite e finanziate dal governo centrale secondo quanto previsto dall’art. 117 Cost. riformato nel 2001 e dalla legge delega n. 42 del 2009, c.d. legge Calderoli. Correttamente inteso il trasferimento dovrebbe interessare non solo le funzioni ma anche le risorse per finanziarle ed il personale per gestirle sul terreno amministrativo. Se correttamente attuato, il federalismo implica quindi lo svuotamento di molti degli attuali ministeri che sopravvivrebbero come organi di coordinamento e raccordo orizzontale e verticale   tra le regioni e il governo centrale, tra le regioni e l’Unione europea che riconosce loro un forte ruolo di partecipazione alle scelte comunitarie. Ci dica Bossi se vuole il potenziamento del ruolo federale delle regioni oppure la presenza di qualche struttura centralistica in periferia. Evidentemente nemmeno Bossi, sedicente paladino del federalismo, crede che questo si possa attuare sul serio e, purtroppo, tutta la vicenda dei decreti legislativi di attuazione della legge delega n. 42/2009 mi porta a propendere per questa ipotesi pessimistica. Da qui la sconsiderata e contraddittoria proposta della Lega Nord che se attuata farebbe certamente aumentare i costi della amministrazione pubblica e della politica, come purtroppo  avvenne negli anni ’70 quando si fece la prima attuazione delle regioni a statuto ordinario.

Se questi senza memoria sono governanti seri lo lascio al giudizio dei lettori.