Grande risonanza mediatica oggi per l’appello lanciato ieri da 17 parti sociali – Confindustria in testa – che invocano un Patto per far crescere e rilanciare il Paese. È certamente un fatto importante che sembra raccogliere di nuovo le esortazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Grazie alla responsabilità di tutta l’opposizione, da lui chiamata direttamente in causa, Il Presidente della Repubblica ha consentito al governo di approvare una discutibile e discussa manovra nel giro di pochi giorni. L’approvazione della manovra non è bastata a fermare gli attacchi speculativi all’Unione europea perché come mette in evidenza il documento la crisi c’è ma non dipende solo da noi. Dipende anche dall’Unione europea e dagli USA che, da soli, scimmiottando la metafora di Ulisse e le sirene, si sono dati per legge un limite invalicabile al debito pubblico. Ora le forze politiche non trovano l’accordo per modificare la legge e giocano alla scarica barile pensando di trarre a proprio vantaggio elettorale il fatto che il Presidente Obama non sia riuscito a far rispettare il tetto.
Certo in Italia l’inattività del governo italiano appare ancora più grave se uno pensa alla perdita di credibilità subita dallo stesso e dal suo ministero dell’economia. Il Premier non si pronuncia e pensa all’ennesimo provvedimento che lo possa tenere lontano dai Tribunali. Quindi ben venga l’appello delle parti sociali che invoca responsabilità e discontinuità. È una questione fortemente sentita, come dimostra anche l’intervista dell’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato sul Corriere della Sera di ieri, che in qualche modo evocava lo spirito di cooperazione che avevano guidato le parti sociali durante la crisi del 1992 .
Quella di oggi è una crisi diversa e per alcuni aspetti più grave di quella del 1992 – lo sottolineava ieri anche Giuliano Amato – perché siamo in un contesto in cui da venti anni l’economia complessivamente ristagna e, quindi, servono delle misure veramente eccezionali non solo per risanare i conti ma per rilanciare l’economia. Oggi non c’è un problema di politica dei redditi come nel 1992. Dopo venti anni di sacrifici molti lavoratori si trovano di nuovo chiamati a ulteriori sacrifici. C’è un problema molto serio di sostenibilità del debito pubblico – a cui guarda la speculazione – ed esso non può essere seriamente affrontato se non si riesce a rilanciare la crescita, la produttività e l’occupazione. Ne da sola basterebbe una eventuale tassazione straordinaria sul patrimonio che rischia di creare panico, alimentare una fuga di capitali, di produrre minusvalenze, ecc.
Nel documento delle parti sociali si invoca una Patto per la crescita ma non viene chiamato in causa esplicitamente il governo anche se è ovvio che il discorso lo riguarda. Ma come fare il Patto sul serio? Non basta sottoscrivere un documento. Non basta chiedere e ottenere il consenso di tutte le parti sociali. Serve a mio giudizio discontinuità nel governo ma anche nel Paese, nei comportamenti concreti delle imprese. Queste in particolare – sia che crescano sia che vivacchino perché protette – devono ristrutturare, investire ed innovare. Devono dare priorità agli investimenti interni. La produttività non può crescere solo con la modifica del modello contrattuale o con le esenzioni fiscali dei salari di produttività. La conferma a queste mie considerazioni viene dall’indagine Banca d’Italia su industria e servizi riassunta da Rossella Bocciarelli a p. 19 del Sole 24 Ore di oggi. “nel 2010 , rispetto al 2009, sono aumentate le imprese in utile dal 53 al 57,8% ed è diminuita la quota di quelle in perdita che è passata dal 30,5 al 25,5%. Ma gli investimenti fissi lordi sono aumentati del 3,5% nel 2010 (un misero 0,7% nell’industria, 6,8% nei servizi). Anche in questo caso – sottolinea l’indagine riassunta dalla Bocciarelli – l’incremento peraltro modesto dell’industria è in larga misura attribuibile alle imprese fortemente orientate all’esportazione e a quelle di piccole dimensioni, ma i programmi delle aziende per il 2011 prefigurano una lieve flessione degli investimenti (-0.9%)”.
Ecco questi sono fatti e purtroppo poco rassicuranti sui fondamentali dell’economia. Se non si investe, da dove può arrivare la crescita? Vogliamo ancora credere alla manna dal cielo? Se non investe il settore privato e non lo fa neanche il settore pubblico, allora la situazione è veramente tragica. Le imprese private hanno aumentato la loro redditività ma non investono. Non investe il governo perché per risanare i conti e non incrementare il debito pubblico finisce con il tagliare gli investimenti e non riesce a attuare neanche quelli finanziati. Il governo, quindi, deve rilanciare in un modo o nell’altro gli investimenti pubblici.
Delle due l’una: o le parti sociali e il governo riescono a modificare i loro comportamenti effettivi oppure, si potrà fare un altro Patto per la crescita come il Patto per l’Italia del 5 luglio 2002 ma non cambierà niente. La crescita non arriverà se non si aumentano gli investimenti e per molti anni a venire.