Per alcuni decenni la Legge finanziaria – ribattezzata di stabilità – è stata approvata alla vigilia di Natale.
Fin dall’inizio tra gli esperti si è aperto un dibattito se la finanziaria dovesse essere una legge omnibus o snella. Per la verità un dilemma alquanto artificioso perché prima del 1978, si susseguivano numerose leggi a contenuto economico-finanziario con continui aggiornamenti e correzioni – vedi i famigerati decretoni degli anni ’70. L’introduzione della legge finanziaria voleva introdurre una vera legge di bilancio che costituisse un vero strumento di politica economica e finanziaria, ossia, che mettesse in equilibrio ex ante entrate, spese e indebitamento al fine di assicurare un dato tasso di crescita dell’economia e dell’occupazione senza forti spinte inflazionistiche.
Da alcuni decenni ormai è invalsa la pratica di presentare un maxi-emendamento nelle ultime settimane della sessione di bilancio o, addirittura, un decreto legge con i provvedimenti a carattere economico e finanziario.
Questo anno un decreto legge c.d. salva-Roma è stato presentato qualche settimana fa e approvato subito dopo la legge di stabilità. Come da prassi, strada facendo, il dl si è “arricchito” di una serie di altre misure che, per un motivo o un altro, non erano entrati nella legge di stabilità.
Si tratta quindi di una lunga prassi che riflette il modo alluvionale, disordinato e casistico di legiferare da parte del governo, il quale ha espropriato in pratica il Parlamento dell’iniziativa legislativa. Il Parlamento c’entra in quanto ha subito passivamente questo processo perché l’idea di rafforzare il governo nei confronti del Parlamento in Italia raccoglie un ampio consenso a destra come a sinistra. E inoltre almeno da venti anni le oligarchie centralistiche dei partiti controllano le elezioni dei parlamentari in maniera più stretta per cui è difficilmente ipotizzabile una forte autonomia dei gruppi parlamentari della maggioranza rispetto al governo che la sostiene e ai partiti che formano la coalizione.
Stupisce quindi la lettera di rampogna del Presidente Napolitano ai Presidenti delle Camere i quali, a suo dire, non avrebbero vigilato a sufficienza sull’ammissibilità degli emendamenti. Seguendo non di rado, i lavori parlamentari non mi è mai capitato di sentire il parere dei Presidenti delle Camere sull’ammissibilità. Di norma essi si limitano a chiedere il parere del governo. Per quasi due anni il Presidente della Repubblica è stato presidente della Camera dei Deputati (giugno 1992- aprile 1994)e sarebbe interessante sapere da lui quante volte ha personalmente esercitato la vigilanza che gli attuali presidenti di Camera e Senato hanno omesso.
E stupisce anche tanta solerzia nei confronti dell’ultimo suo governo che esce dalla vicenda gravemente indebolito. Napolitano è in carica da 7,5 anni ed è la prima volta che interviene con tanta irruenza ed in modo così irrituale.
In realtà bisogna dargli atto che non è la prima volta che prova a farsi sentire sullo stesso problema. Lo ha fatto nel 2011 quando per la prima volta, il Presidente della Repubblica rinviò al governo il c.d. decreto mille-proroghe. Il governo lo “rivisitò” in peggio a mezzo di un maxiemendamento presentato nottetempo. Vi aggiunse la fiducia e il decreto fu approvato. Sui motivi veramente gravi del rinvio di quel decreto mi si consenta di rimandare i lettori ai post dell’1 e 3 marzo 2011. Nel caso del decreto salva-Roma, i motivi mi sembrano meno gravi ma si tratta di questione opinabile.
Il mille- proroghe, come detto nel post dell’1.03.2011, in realtà è una grossa e pesante appendice alla legge finanziaria vera e propria. Al di là della rubrica, contiene numerosi provvedimenti di proroga di agevolazioni e benefici vari che comportano o minori entrate o maggiori spese. Non si capisce perché le coperture che non c’erano in sede di legge finanziaria approvata prima di Natale, miracolosamente appaiono tra Natale e Capodanno. In realtà il provvedimento costituisce un trucco procedurale del governo per aggirare la sessione di bilancio e prendere in giro il parlamento, l’opinione pubblica e la Commissione europea.
Allora Berlusconi sferrò un duro attacco alla Presidenza della Repubblica che, a suo dire, gli impediva di governare. Questa volta l’iniziativa di Napolitano si esercita su un premier più docile e rispettoso che ha adempiuto immediatamente sulla base di una telefonata. Resta il fatto che il presidente Napolitano ancora una volta interferisce direttamente con l’attività di governo.
È paradossale ma è così. Napolitano interferisce con il governo del Presidente, con se stesso e sembra difendere le umiliate prerogative del Parlamento. Ma così dicendo anche io rischio di creare qualche confusione nel lettore.
Per chiudere voglio solo chiarire che “nella politica nell’era della sfiducia”, in un sistema in cui il governo riassume tutti e tre i poteri (Rosanvallon, 2012), la legislazione è purtroppo di tipo alluvionale e casistica. Il governo della Repubblica sforna ogni anno un numero di leggi pari a dieci volte quelle approvate dal Parlamento inglese. Inutili sono stati i falò di Calderoli. Grazie alla collusione (non alla leale collaborazione) tra politici ed alti dirigenti della pubblica amministrazione, la legislazione casistica copre le responsabilità dell’amministrazione ma lascia le leggi senza copertura amministrativa, ossia, rimangono per lo più inattuate. Vedi il caso della caterva di leggi approvate sempre a colpi di fiducia dal governo NapoMonti di cui sono stati emessi decreti legislativi (attuativi) solo nella misura del 39%. In quel caso il Presidente Napolitano ha taciuto su diversi casi di incostituzionalità poi dichiarati dalla Consulta.
Per cambiare sarebbe necessaria una vera e propria rivoluzione culturale per passare ad una legislazione per principi da affidare ad un’amministrazione imparziale ed efficiente e ad una magistratura al disopra di ogni sospetto. Ma questo non mi sembra nell’ordine delle cose. E non credo che ad esso possa porre rimedio il governo NapoLetta.
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