La riforma Renzi è, nelle sue linee portanti, la stessa di quella di Berlusconi 2005, bocciata dal referendum popolare del 2006. Sinteticamente essa sposa il modello del Sindaco d’Italia, alias, quello di un “un uomo solo al comando”. In altre parole, prevede un ulteriore rafforzamento dei poteri del governo, formalizzando in diritto la fuoriuscita dalla repubblica parlamentare – già avvenuta in fatto. Non è una cosa da poco perché in una società pluralista mettere al centro il parlamento in teoria garantisce la sovranità popolare e la rappresentanza meglio di quanto lo possa fare il governo e la sua maggioranza. In secondo luogo, è anche peggiore in quanto abbandona il progetto del passaggio dallo Stato regionale a quello federale ma torna addirittura allo stato centralizzato. Prevedendo Aree metropolitane e Senato eletti indirettamente dai consiglieri comunali e da quelli regionali, riduce le sedi di partecipazione diretta dei cittadini nella scelta dei propri rappresentanti. Sedi che sono più numerose in un assetto istituzionale fortemente decentrato multilivello che non in uno centralizzato. Tutto questo in forte contrasto con la Costituzione europea (TFUE) che ha assunto nei suoi principi regioni e poteri locali come strumento fondamentale della democrazia partecipativa.
È interessante sapere che molti dei costituzionalisti italiani nel 2004 si espressero in maniera decisa ed inequivocabile contro il testo approvato dal Senato il 25 marzo 2004. “Un testo di riforma dissennato e irrecuperabile ” lo definì nella rubrica del suo intervento un certo prof. Sergio Mattarella allora deputato e ora presidente della Repubblica. Più estensivamente scrisse a p. 213:”L’impraticabilità del sistema di governo previsto, con i connessi rischi di paralisi istituzionale, deriva dalla configurazione data al Senato: questo non essendo affatto riconducibile alle regioni, manterrebbe un carattere politico nazionale ma non avrebbe rapporto di fiducia con il governo e quindi non sarebbe soggetto alla possibilità di scioglimento anticipato. Questa contraddizione emerge con grande evidenza considerando che è previsto che il Senato intervenga, obbligatoriamente o su sua richiesta, in tutte le decisioni politiche importanti, alla pari della Camera dei deputati. Se si aggiunge che è previsto che il Senato possa avere, e verosimilmente abbia, una diversa legge elettorale e, quindi, una composizione e una maggioranza diverse, si comprende quanto alta sia la possibilità di paralisi istituzionale. Ci si trova al di fuori del sistema di freni e bilanciamenti che caratterizza ogni democrazia”.
Non posso credere che l’allora Deputato e professore di diritto parlamentare all’Università di Palermo S. Mattarella abbia scritto frasi del genere di suo pugno. Chiunque abbia letto qualche saggio di diritto costituzionale italiano e comparato sa che nella costituzione americana sempre citata per essere caratterizzata per il sistema dei pesi e contrappesi il Presidente, in molti casi, non ha la maggioranza in tutte e due le Camere, che la durata del mandato dei deputati è fissata in soli due anni (art.1 comma 2), quella dei senatori in “6 anni” (art.1 comma 3) ma non per tutti perché è previsto che il Senato si rinnova per un terzo ogni 2 anni mentre il mandato del Presidente dura 4 anni. Questo sistema è stato costruito proprio per consentire che eventuali cambiamenti dell’opinione pubblica si riflettano in qualche modo sia sul Congresso che sul Presidente stesso. In linea di prassi, la vittoria o sconfitta del suo partito nelle elezioni di medio termine quando si rinnova tutta la Camera dei rappresentanti viene usualmente interpretata come un consenso o dissenso degli elettori sulla politica portata avanti dal Presidente medesimo. Da noi un sistema del genere viene ritenuto inconcepibile.
Quanto alla questione specifica dei pesi e contrappesi, in parole povere, essa significa che se, per qualche motivo, aumenta il peso dell’esecutivo deve aumentare anche quello del legislativo. In modo più esplicito, al governo forte deve corrispondere un legislativo altrettanto forte – e perché no? – anche un giudiziario più forte e indipendente. Altrimenti i 2-3-4 piatti della bilancia non stanno in equilibrio. Da noi costituzionalisti a la page definiscono neo-parlamentare il sistema in cui se il rapporto di fiducia tra governo e Camera dei deputati (con o senza elezione o designazione diretta del premier) viene interrotto dall’assemblea legislativa, il premier può sciogliere o proporre di sciogliere la Camera legislativa. In un contesto del genere la Camera perde gran parte della sua sovranità legislativa. In questo modo si assiste ad una concentrazione in testa al governo del potere legislativo e di quello esecutivo e si viola il criterio della separazione dei poteri. In fatto in Italia ciò è già accaduto.
Dodici anni dopo (11-02-2016), parlando alla Columbia University di leadership a livello mondiale, di cooperazione tra UE e USA, di crisi del processo di integrazione europea, di crisi migratoria, di Primavere arabe e quant’altro, l’attuale Presidente della Repubblica infila una breve frase sulla riforma costituzionale: “Dopo anni di dibattito, il Parlamento sta per approvare definitivamente un’importante riforma della Costituzione che trasforma il ruolo del Senato da seconda Camera politica – con le medesime attribuzioni della Camera dei Deputati – in Assemblea rappresentativa delle Regioni e dei poteri locali”. Subito dopo, menziona anche le riforme del mercato del lavoro, del sistema scolastico, della pubblica amministrazione, del sistema fiscale, di quello previdenziale e della giustizia che – a suo dire – “stanno consentendo un significativo recupero di efficienza e competitività per il nostro Paese”. Come poteva essere diversamente? Non ci si può aspettare che il Presidente della Repubblica vada all’estero e parli in termini critici del governo del suo paese non senza considerare che Renzi è stato il suo grande elettor (king maker) nella successione a Napolitano. Circa il significativo recupero di efficienza e competitività ricordo al lettore che, a distanza di 8 anni dallo scoppio della crisi, restiamo al di sotto dell’1% di crescita del PIL e che, purtroppo, secondo il Fondo monetario internazionale ci vorranno altri 8-9 anni prima di recuperare i livelli pre-crisi. Ma possiamo perdonare il Presidente della Repubblica se da costituzionalista si lascia prendere dall’entusiasmo e anche lui elargisce manciate di ottimismo a destra e a manca. Mattarella non è un gufo.
Alcuni giornali italiani interpretarono suddetto intervento come una forte sponsorizzazione della riforma costituzionale. Avevano ragione e, perciò, dopo non possiamo meravigliarci se la grandi banche, gli Hedge Fund, alcune società di rating interessate partecipare alla gestione del grande debito pubblico italiano con la vendita di costosi prodotti derivati (assicurazioni) contro eventuali rischi di default, vogliono mantenere buoni rapporti con il governo e si esprimono a favore del pacchetto di riforme di Renzi inclusa la riforma costituzionale. Prima di loro lo ha fatto Mattarella e, come ho detto, non poteva dire diversamente.
Come noto, alcuni costituzionalisti italiani si sono posti la domanda se era legittimo che un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte costituzionale n.1/2014 potesse affrontare una riforma costituzionale che modifica 47 articoli della Costituzione. Sulla stessa linea, altri costituzionalisti, a prescindere dalla legittimità o meno della legge elettorale, ritengono che un’analisi sistematica della Carta e in particolare quella dell’art. 138 non consentirebbe di modificare in un solo colpo poco più di un terzo degli articoli.
Della cosa si è accorto anche uno studente italiano della Columbia, che ha chiesto a Mattarella: “Presidente, come si fa ad essere a favore di riforme costituzionali che vengono approvate da un Parlamento eletto da una legge dichiarata incostituzionale e in cui siedono ancora molti deputati indagati?
Mattarella, che probabilmente non si aspettava una domanda di “politica interna”, ha risposto che “non gli risultava che ‘molti’ parlamentari sono indagati. Ce ne sono solo alcuni, delle eccezioni”. E poi Mattarella ha cercato ancora di difendere i parlamentari eletti con la legge cosiddetta “porcellum”: “E’ vero che il Parlamento è stato eletto attraverso una legge elettorale poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. Io ne facevo parte e naturalmente abbiamo scritto che la pronuncia non inficiava la legislatura in corso, come si fa sempre, ma valeva per il futuro”. Secondo il cronista del giornale italiano la Voce di New York, Mattarella non ha risposto alla domanda se un Parlamento eletto da una legge incostituzionale può addirittura riformare la costituzione.
Secondo me, non lo può fare e delle due, l’una: o si doveva tornare alle elezioni con il sistema elettorale antecedente al c.d. Porcellum, vedi il caso, il Mattarellum (3/4 maggioritario e ¼ proporzionale a suo tempo proposto proprio dall’attuale Presidente della Repubblica) che aveva funzionato bene consentendo l’alternanza, oppure si doveva dare al nuovo parlamento – dopo la sentenza della Corte costituzionale – solo il tempo di approvare a larga maggioranza una nuova legge elettorale e tornare a votare. Ma gli italiani amano la continuità e la stabilità del sistema altro che il cambiamento sbandierato ai quattro venti da Renzi. E sono disposti a sacrificarvi qualsiasi dubbio di legittimità. Anche Mattarella il quale nella prima frase del 2004 citata sopra si preoccupava del rischio che differenti sistemi elettorali per la Camera dei Deputati e per il Senato non potessero consentire un eventuale scioglimento anticipato della legislatura, ora, con il largo consenso della stragrande maggioranza dei costituzionalisti, sostiene insieme a Renzi che questa legislatura deve arrivare alla sua scadenza naturale come se nel frattempo nulla fosse successo.
È cattiveria di chi scrive immaginare che un Parlamento di nominati ha tutto l’interesse a finire la legislatura per potere maturare un grasso vitalizio nella prospettiva di altri 8-9 anni di vacche magre?

Il primo breve intervento di Mattarella sta nel volume di Astrid, Costituzione. Una riforma sbagliata. Il parere di sessantatré costituzionalisti, a cura di Franco Bassanini, Passigli Editori, 2004. Il secondo molto lungo sta sul sito del Quirinale http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=269
La domanda dello studente italiano è ripresa dal giornale online la Voce di New York che ha fatto una cronaca circostanziata del Seminario di Mattarella alla Columbia University. http://www.lavocedinewyork.com/mediterraneo/2016/02/13/mattarella-columbia-a-new-york-parla-agli-studenti/