A fronte dello sfascio dell’Atac non c’è da stupirsi se anche Emma Bonino e i Radicali raccolgano firme per la liberalizzazione del trasporto pubblico locale (TPL) della Capitale. In Europa e in Italia soffia ancora un forte vento di destra. Nella UE fin qui non hanno vinto i partiti antieuropeisti ma, come in Francia, non hanno vinto i partiti di sinistra. In Italia a causa degli errori del Partito Democratico di Renzi si profila una vittoria del centro-destra nelle prossime elezioni politiche sempre che la coalizione riesca a mettere in campo un gruppo dirigente all’altezza del compito. In suddetta prospettiva, è naturale che arrivino proposte come quella della liberalizzazione del TPL della Capitale con “valenza politica nazionale” e quella ideologicamente affine della imposta ad aliquota nominale costante, alias, flat rate tax. Due proposte di destra che massacrerebbero le classi sociali con redditi medio bassi in nome di un presunto aumento dell’efficienza ottenibile semplicemente con la riduzione del perimetro di intervento dell’operatore pubblico a tutti i livelli di governo.
Mi dispiace ma non posso condividere la linea della privatizzazione del TPL. Non vedo come si possano introdurre in generale elementi di concorrenza in questo complesso e difficile settore. Viene citato il caso delle nettezza urbana in alcune grandi città ma si tratta appunto di un servizio facilmente suddivisibile a livello di Municipi o gruppi di municipi. Può anche darsi che in aree metropolitane si possa fare qualcosa del genere almeno per alcune zone e aree di grandi città ma non vedo come tale suddivisione del servizio TPL possa funzionare in Comuni di media e piccola dimensione. Il TPL è un servizio particolare che richiede una forte integrazione e coordinamento di linee ed orari difficile da operare anche da parte di un unico gestore. È illusorio pensare che tale complessa funzione possa essere meglio attuata perché ci sono più operatori in concorrenza tra di loro. Il TPL deve essere prodotto a costi inferiori a tutte o quasi le altre alternative esistenti. Il problema fondamentale è quello di minimizzare i costi di produzione dato un prefissato livello di qualità del servizio rispettando certi standard anche di trattamento del personale addetto, alias, evitando il dumping sociale praticato, ad esempio, dalle compagnie aeree low cost con sede sociale in paesi a fiscalità di favore e che, comunque, ricevono sussidi dalle Regioni italiane. Resta il fatto non trascurabile che una società privata deve remunerare il capitale investito e dovrebbe assicurare le tariffe le più basse possibili per favorire la mobilità di quanti non dispongono o non possono accedere a mezzi alternativi di trasporto. Se così resta valida la teoria tradizionale dell’impresa pubblica che remunera il capitale impiegato con le economie esterne che crea in termini di bassi costi del trasporto pubblico, decongestionamento del traffico privato, di minore inquinamento, di protezione dell’ambiente di cui tiene conto nel suo bilancio sociale. Un’impresa privata non ha alcun interesse a investire il suo capitale per produrre in perdita. Non c’è teoria dei mercati efficienti che può giustificare il contrario.
Per l’impresa pubblica è una questione di management serio e responsabile che deve garantire la mobilità di giovani, studenti e lavoratori con bassi redditi o disoccupati e inattivi in cerca di lavoro evitando inefficienze e sprechi. Deve affrontare un problema di contesto ossia, di regolazione appropriata di tutto il traffico locale pubblico e privato sapendo che se quest’ultimo è libero, anarchico, non disciplinato, impedirà il corretto funzionamento di quello pubblico. C’è un problema complesso di integrazione e coordinamento di tutti i sistemi di trasporto a livello di area metropolitana e/o di area vasta specialmente per quella che insiste intorno alla Capitale. È vero che il mercato privato svolge in un modo o nell’altro questa funzione per gli operatori privati ma qui si tratta, come detto, di coordinare gli operatori pubblici con quelli privati e si tratta anche di minimizzare la produzione di diseconomie esterne e proteggere l’ambiente. Il che richiede anche una programmazione dello sviluppo urbanistico, delle reti e delle infrastrutture di ogni tipo. Sono problemi che vanno affrontati con approccio programmatorio di tipo globale, sistemico in un’ottica di medio e lungo periodo. Cambiare l’assetto proprietario di una società di TPL non porta da nessuna parte come abbiamo visto con le altre società miste seguendo il criterio liberista della UE, del partenariato pubblico-privato. Non mi pare che in Italia dette società abbiano dato buona prova di se. Sono servite ad assumere senza concorsi, alias, con procedure privatistiche più adatte ad alimentare le clientele politiche. Non di rado sono diventate un veicolo di corruzione diffusa ovviamente con le dovute eccezioni. Non ultimo, occorre che le esistenti autorità amministrative indipendenti che controllano la qualità di tutti i servizi pubblici locali siano veramente attrezzate con personale competente e indipendente e non come succede a volte con personale proveniente dalle stesse strutture che dovrebbero controllare – come mi è capitato di vedere recentemente esaminando il caso Roma. Come molti sanno, a livello locale e non solo, c’è un gravissimo problema di controlli di gestione durante ed ex post sulle imprese pubbliche, miste, non profit e quanto altro largamente sottovalutato dai politici e dall’opinione pubblica.
Certo la liberalizzazione potrebbe escludere il modello delle società miste. Ma il TPL resta un bene pubblico locale e mi viene in mente l’analogia con la fornitura dell’acqua. Abbiamo il sistema degli acquedotti pubblici che perdono per strada all’incirca la metà dell’acqua. Servono ingenti investimenti pubblici per ridurre questi sprechi. La UE aveva dato delle indicazioni sul tasso di remunerazione (7%) che bisognava riconoscere agli investitori privati. C’è stato il referendum che ha bloccato la partecipazione dei privati all’efficientamento e alla gestione congiunta degli acquedotti. Il risultato è che continuiamo a sprecare una risorsa quanto mai preziosa.
Lo ripeto il settore del TPL è ben più complesso per i motivi detti sopra. Richiede un approccio programmatorio di tipo sistemico. Privatizzare non significa necessariamente liberalizzare. Tra l’altro significa ridurre la trasparenza perché mentre per le imprese pubbliche i dati sono immediatamente disponibili, non così per quelle private al netto dei falsi in bilancio in entrambi i settori. Ritengo che anche un’impresa pubblica locale possa essere gestita bene secondo i più appropriati criteri del bilancio sociale. Servono la volontà politica ed un adeguato controllo sociale.