Il peso crescente delle diseguaglianze.

“Le diseguaglianze stanno assumendo un peso crescente anche nell’attuale fase di ripresa. Sono dunque un grande tema economico, ma soprattutto riguardano in negativo la condizione di milioni di persone. Tutto questo è fonte di paure, risentimenti, rabbia sociale”. Un groviglio di pulsioni che occorre combattere e ricondurre ad azione politica e sindacale, ha spiegato Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, presentando il convegno che si è tenuto il 19 giugno a Roma nella sede della CGIL.
Conviene tornare a riflettere su un punto tanto delicato quanto attuale trattato da tutti i relatori. Si è parlato di un nuovo modello redistributivo. Sicuramente per il medio e lungo termine servono nuove idee al riguardo. Basti pensare alla robotizzazione e/o digitalizzazione dell’economia e alla proposta di tassare i robot avanzata da Bill Gates, per capire che stiamo parlando di un problema strategico importante. Se un giorno la forza direttamente impegnata nella produzione dovesse essere costituita prevalentemente da robot, è chiaro che in prospettiva bisognerà rivedere dalle fondamenta i presupposti dei diritti di proprietà non solo di beni materiali ma anche e soprattutto di quelli immateriali, della produzione e distribuzione del reddito, della tassazione e della distribuzione della ricchezza.
Ma ancora per il futuro prevedibile siamo lontani da una tale prospettiva. E quindi oggi valgono ancora le regole più aggiornate della contrattazione salariale e le classiche funzioni del bilancio dello Stato. Sappiamo che i Sindacati e/o le parti sociali – benché indeboliti dalla crisi economica e finanziaria del 2008-13 -, nei regimi liberal democratici, controllano o dovrebbero controllare meglio la distribuzione primaria quella discendente dalla contrattazione. Vale ancora il modello classico di Musgrave (1939 e 1959) secondo cui è fondamentale la distribuzione primaria e l’intervento dell’operatore pubblico deve intervenire non solo per la produzione e/o fornitura di beni pubblici ai vari livelli di governo – beni pubblici che i privati non possono offrire – ma anche per correggere la distribuzione primaria ove quest’ultima risulti socialmente inaccettabile.
Gli effetti della crisi sono stati devastanti: in sintesi i poveri sono diventati più poveri e i ricchi sempre più ricchi. L’area del disagio sociale in Italia interessa 4,6 milioni di persone (Fammoni); nella UE 76 milioni di adulti sono a rischio povertà vedi il Rapporto “living and working nella UE, p.9; le cinquemila famiglie italiane più ricche hanno aumentato il loro controllo della ricchezza dal 2 al 10% (Enrico Giovannini). Il governo Renzi è intervenuto maldestramente a favore delle famiglie della classe media coniugi lavoratori con redditi sino a 50 mila euro – una cifra pari al doppio circa del reddito medio pro-capite – che lasciava i poveri al loro destino – arrivando al reddito di inclusione solo successivamente e con risorse minime.
Nel 2014 – anno nel quale l’economia italiana accennava ad uscire dalla crisi – le persone residenti in Italia a rischio povertà o esclusione sociale secondo l’Istat raggiungevano il 28,3% secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020 – ossia di persone che soffrivano un alto rischio di povertà (in relazione ai redditi 2013), grave deprivazione materiale e bassa intensità di lavoro. Non possiamo dire che oggi la situazione sia radicalmente cambiata nonostante la debole ripresa economica di questi ultimi anni.
La spiegazione? È semplice: gli italiani non condividono nessuna teoria della giustizia sociale e, meno che mai, di quella tributaria che ne è parte fondamentale. Prevale l’approccio: ognuno per se e Dio con tutti. Nonostante che molti politici si riempiano la bocca della parola solidarietà l’Italia resta un paese a bassa coesione sociale e, se penso alle proposte dell’attuale governo in materia fiscale e di lotta all’evasione da parte dei partiti che hanno firmato il contratto di governo non vedo alcuna prospettiva per un miglioramento della situazione. Difficile parlare di Giustizia intergenerazionale se non si ha una corretta percezione dei temi della giustizia sociale per le generazioni correnti.
È così che si spiegano le proposte in materia fiscale contenute nel c.d. contratto di governo Lega-M5S. È chiaro che se malauguratamente dovessero essere adottate si causerebbe una ulteriore devastazione del sistema tributario incompatibile con ogni elementare criterio di giustizia sociale. Infatti il governo propone una c.d. flat tax che in realtà non è tale perché ha due aliquote ma provocherebbe una perdita di gettito di circa 50 miliardi , ossia, uno sgravio di imposta a favore delle famiglie con i redditi più alti; propone inoltre l’abrogazione del redditometro, dello spesometro, degli accertamenti sintetici e degli studi di settore; in altre parole, propone il disarmo totale dell’agenzia delle entrate; propone la pace fiscale al posto della lotta all’evasione fiscale con due strumenti: a) la trasformazione degli studi di settore in indici di affidabilità fiscale che renderebbe legale l’evasione fiscale e b) la rottamazione delle rimanenti cartelle esattoriali al di sotto dei 100 mila euro che premia comunque gli evasori.
Ormai lo sanno anche alcuni esponenti di rilievo dei M5S meno disinvolti: detta rottamazione non è e non può essere una pace o un armistizio. Per essere tale si dovrebbe partire da uno stato di belligeranza. Ma la belligeranza è quella degli evasori contro lo Stato e la collettività. E se si considera che anche i Pentastellati vogliono togliere all’AdE gli strumenti più incisivi per fare la lotta agli evasori, per lo Stato si tratta di una resa senza condizioni. E’ utile ripetere che si tratta di un condono bello e buono e che come tutti i condoni, al solo ripeterne l’annuncio, producono devastanti effetti diseducativi ed economici perché inducono gli evasori a rinviare la scelta in attesa di altri condoni con maggiori sconti e, quindi, riducono anche il gettito che il governo pensa di realizzare. Dire che con i condoni e/o la pace fiscale si possa realizzare il gettito necessario per finanziare il reddito di cittadinanza è semplicemente illusorio come ampiamente infondata è la tesi secondo cui basta ridurre le tasse perché l’economia vada a gonfie vele.
Con la flat tax anche per le imprese e l’allargamento dei regimi forfettari dei c.d. contribuenti minimi il governo Lega-M5S sta imboccando la strada della concorrenza fiscale deleteria che imperversa nell’Unione europea. Una strategia dannosa a suo tempo adottata per abbattere il welfare state. E tutto questo mentre un gruppo di lavoro della Commissione affari economici e monetari del PE ha avanzato una bozza di risoluzione per porre fine o, quanto meno, arginare la concorrenza fiscale e il ritorno all’armonizzazione dei sistemi tributari dei paesi membri dell’Unione. Non che una tale risoluzione, anche se adottata, abbia grandi probabilità di essere implementata ma è sempre più evidente che il governo Lega-M5S va nella direzione dello sbraco fiscale in piena continuità con il governo Renzi. E’ questo il governo del cambiamento? Si ma del cambiamento in peggio. Tornando al discorso sul nuovo modello redistributivo che è stato invocato nel convegno di cui sopra è chiaro che c’è poco da sperare.

Enzorus2020@gmail.com

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