Non basta dire Europa
Enrico Rossi, Non basta dire Europa, a cura di Antonio Pollio Salimbeni, Prefazione di Frans Timmermans, con un appello di Sting, Castelvecchi, maggio 2019. Si tratta di un libro intervista scritto in occasione delle elezioni europee. Attraverso domande e risposte, si occupa della sfida populista e sovranista in corso in Europa a cui i socialisti in declino nei maggiori Paesi membri (PM) devono rispondere con fermezza se non vogliono abbandonare il campo. Lo potranno fare se essi riusciranno in parte a rispolverare i vecchi ideali socialisti, in parte, ad elaborare un piano strategico per affrontare i complessi problemi della grande trasformazione dell’economia e della società, della digitalizzazione, dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, della migliore formazione permanente del lavoro, delle crescenti diseguaglianze che questi fenomeni producono. Quindi non è un semplice pamphlet elettorale come si scrivevano una volta ma un libro che affronta i problemi strutturali della politica italiana ed europea e, quindi, la sua valenza non è di breve ma di lungo termine sapendo che le riforme strutturali non sono solo quelle che i politici dalla veduta corta ritengono di fare strappando al Parlamento una generica legge delega e diluendo nel tempo la sua attuazione con decreti legislativi che poi non vengono controllati da nessuno nella loro fase attuativa o non vengono emanati per niente. Non si può continuare andare avanti a piccoli passi.
Serve un salto di qualità tanto facile a dirsi quanto difficile a farsi se uno considera la bassa qualità della classe dirigente europea ed in particolare di quella italiana, entrambe caratterizzate dalla veduta corta il cui interesse prevalente è quello di confermarsi al potere. Vuole cogliere ogni opportunità per massimizzare il suo consenso elettorale a prescindere dalle politiche che porta avanti. Utilizza le fake news, ciancica di democrazie diretta, propone referendum su questioni molto complesse di cui essa stessa ignora le conseguenze ultime. Vedi il caso emblematico della Brexit.
Vorrei subito riprendere un’affermazione del Presidente Rossi quando, a difesa delle cose buone che l’Europa fa, parla di una serie lunga di beni pubblici europei. In realtà, se distinguiamo correttamente tra beni pubblici europei ci accorgiamo che mancano alcuni di quelli classici (la spada, la bilancia) e abbiamo solo una Unione economica e monetaria incompleta. Abbiamo solo l’euro che indubbiamente nel tempo ha prodotto il bene pubblico della stabilità finanziaria comune ma che non è apprezzata da tutti i PM allo stesso modo e, in nome della quale, in alcuni casi, è stato prescritto e rigorosamente applicato il consolidamento dei conti pubblici come valore in sé. Non abbiamo un appropriato sistema giudiziario europeo che distingua tra reati penali e civili europei e quelli dei PM; non abbiamo una difesa comune. E meno che mai abbiamo a livello centrale i tre pilastri fondamentali del welfare state: sanità, istruzione e previdenza che restano tuttora di competenza dei PM. E del resto come potremmo avere beni pubblici europei con un bilancio striminzito come quello attuale pari all’1,14% del PIL dei PM quando sappiamo che negli Stati federali più snelli il bilancio federale si colloca ben al disopra del 20% del PIL. Quindi parlare di attuazione del pilastro sociale a me sembra alquanto velleitario. In questo senso, è realistica la proposta di Rossi che non è solo sua di alzare il bilancio al 4% il minimo indispensabile per poter fare all’occorrenza qualche manovrina di politica economica per rispondere a shock simmetrici o asimmetrici in PM in crisi.
Con un bilancio dell’1,14%, al di là della volontà politica, non si possono affrontare le tre fratture che secondo Rossi caratterizzano lo stato dell’Unione: 1) il divario Nord-Sud; 2) quello Est-Ovest; 3) le crescenti diseguaglianze economiche e sociali. E’ un fatto che non c’è sufficiente convergenza tra le regioni periferiche del Sud e dell’Est con quelle centrali per via anche delle insufficienti risorse che direttamente o indirettamente sono destinate allo scopo. Né si può ritenere realisticamente che il “problema possa essere risolto con il completamento dell’eurozona con il pilastro sociale” (citazione dal libro di G. Provenzano). Semmai ci fossero le risorse per il primo obiettivo questo comporterebbe che i PM dovrebbero prevedere compensazioni per i lavoratori della zonaeuro che rimangono senza lavoro per via delle imprese che delocalizzano nelle regioni dell’Est dove i salari e la protezione sociale sono più bassi. E ancora non mi sembra adeguata la proposta di porre vincoli sociali alle imprese che delocalizzano nelle regioni periferiche più convenienti perché se vincoli del genere fossero seriamente applicati finirebbero col neutralizzare la libertà di stabilimento delle imprese. Vedi al riguardo la proposta sulle compensazioni di Rodrick, Dirla tutta sul mercato globale, 2019. In fatto, c’è una forte analogia tra quello che avviene all’interno della UE e quello che avviene a livello planetario in termini di concorrenza economica, concorrenza fiscale e dumping sociale.
Il libro contiene anche una radiografia delle forze reazionarie all’interno della UE. Anche se il loro “assalto” al PE è sostanzialmente fallito, il fenomeno non va sottovalutato. Bisogna continuare a combatterle perché in alcuni PM, a partire dall’Italia, esse sono vive e vegete. Rossi chiarisce bene l’accrocco istituzionale del Trattato di Lisbona per cui la Commissione riassume in sé tutti i tre classici poteri: di iniziativa legislativa, di esecuzione di regolamenti e direttive, di sanzione delle violazioni delle regole europee comprese quelle relative allo Stato di diritto all’interno dei PM. Per respingere le critiche al riguardo dei populisti e sovranisti Rossi cita la bella frase di Draghi letta a Bologna secondo cui “la vera sovranità consiste nel miglior controllo degli eventi per rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini. E oggi nella globalizzazione è impresa molto difficile”. Come dargli torto! Solo se prevale il buon senso i PM potranno valorizzare la loro residua sovranità conferendola all’Unione.
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