Di grande interesse il dibattito sulla proposta di modifica del Meccanismo europeo di stabilità finanziaria.
Dopo giorni di polemiche e dopo l’attacco del presidente dell’ABI Patuelli che minaccia di non sottoscrivere più titoli del debito pubblico italiano – si parla di 400 miliardi nei portafogli delle banche, pari a poco meno di un sesto del totale – si fa maggiore chiarezza sui termini della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Sul MES si ripropone l’approccio tedesco per cui prima bisogna ridurre il rischio e poi si può accedere alle risorse del MES – circa 500 miliardi al netto dei quelle già impegnate. In altre parole, il MES potrà mobilitare le sue risorse in soccorso degli Stati in difficoltà purché il loro debito sia in fatto sostanzialmente sostenibile. Si tratta di una posizione al limite del paradosso ma questa è la posizione a fronte di alcuni Paesi Membri (PM) che, secondo le regole fiscali concordate, non hanno fatto e non fanno sforzi seri per ridurre il debito.
Per capire meglio la questione serve distinguere tra sostenibilità del debito e violazione delle numerose regole fiscali europee previste dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC) come riformato ampiamente nel novembre 2011 integrato da molteplici regolamenti attuativi nonché dal Trattato intergovernativo Fiscal Compact del 2012. Ecco proprio il 20 novembre u.s., la Commissione ha inviato le sue osservazioni sulla bozza di bilancio 2020. Apprezza alcune misure ma alla fine del documento dice chiaro e tondo che il governo italiano sta violando la regola di riduzione del debito pubblico – per la verità di ardua se non impossibile attuazione senza una robusta crescita dell’economia reale. Ma rinvia ad un’analisi più attenta della situazione dei conti pubblici italiani nella prossima primavera. I mercati non hanno reagito male; anche se non è prudente coonestare le proprie affermazioni con i dati giornalieri dei mercati, lo spread si è ridotto di alcuni punti rispetto ai giorni precedenti. Il Mef Gualtieri nel suo comunicato stampa del 21 novembre in risposta alla presa di posizione del Presidente dell’ABI Patuelli ha affermato che il debito pubblico italiano è sostenibile. E i fatti sembrano dargli ragione. Fino a quando nessuno lo sa.
Circa le polemiche sollevate da Salvini, il Mef Gualtieri annota che intese di massima sono state raggiunte nel giugno scorso a livello tecnico dall’Eurogruppo e a luglio dal Consiglio europeo quando la Lega stava al governo e che, in questo frattempo, è andato avanti il lavoro degli sherpa e/o rappresentanti permanenti per tradure quelle intese in modifiche formali delle norme del Trattato intergovernativo che disciplina il funzionamento del MES e rispetto alle quali non solo il governo ma anche il Parlamento italiano avrà l’ultima parola perché trattasi di un Trattato intergovernativo che andrà non solo approvato dal governo in sede di Consiglio ma anche ratificato dal Parlamento. Quindi parlare di tradimento degli interessi italiani da parte del governo è del tutto inappropriato.
Nel merito va precisato che il governo aveva sostenuto e sostiene che quelle modifiche dovevano fare parte di un insieme più ampio di misure: quelle riguardanti il bilancio europeo, alias, Quadro finanziario poliennale e il completamento dell’Unione bancaria. Per ora, il consenso sembra più ampio ed avanzato sul MES mentre sugli altri due dossier c’è ancora molta strada da fare. Resta il fatto che si continua a procedere lentamente a spizzichi e bocconi con i Trattati intergovernativi e per funzioni distinte e separate. Tenere fuori il MES dalla Commissione pone il problema di chi sorveglia i bilanci dei Paesi Membri – cosa che vorrebbe fare il MES guidato da un chairman tedesco ma spoglierebbe la Commissione di una sua importante prerogativa. Sembra che l’accordo sia per una leale collaborazione tra MES e Commissione. Questa, in assenza di un vero potere di spesa e/o di assistenza finanziaria, sarebbe sempre più ridotta a Ufficio studi e strumento meramente esecutivo visto che la dotazione di risorse finanziarie del MES sembra destinata ad aumentare mentre quella della Commissione sembra destinata a rimanere costante o poco variata in barba alle chiacchiere sulle risorse fiscali proprie. Su questa strada incide la posizione tedesca contraria ad aumentare in maniera consistente le risorse del bilancio comune in modo tale che, all’occorrenza, la Commissione possa svolgere una vera e propria funzione di stabilizzazione del ciclo economico reale rispetto a shocks esterni ed asimmetrici. Alla Commissione verrebbe dato il contentino di un fondo di incentivazione di riforme strutturali concordate di volta in volta con i diversi PM. Quindi il discorso sul bilancio europeo per il momento sarebbe accantonato e, siccome siamo in una fase inziale della legislatura e di approvazione del quadro finanziario poliennale, queste scelte sono significative e, dal mio punto di vista, molto gravi. Prevale l’approccio tedesco ossessionato dalla stabilità finanziaria e dal rischio connesso ai debiti sovrani dei Paesi membri.
Un’altra considerazione riguarda la questione del completamento dell’Unione bancaria. Qui il problema è duplice, da un lato, l’assicurazione europea sui depositi e, dall’altro, la emissione di eurobond e in particolare di un safebond che favorirebbe ad un tempo la riduzione dei rischi sovrani e la mutualizzazione del debito futuro. Anche a questo riguardo, ritorna la posizione contraria della Germania e dei suoi alleati rigoristi secondo cui prima bisogna ridurre il rischio dei debiti sovrani non sostenibili e poi pensare alla mutualizzazione del debito e/o all’emissione di eurobond. L’aspra posizione del Presidente dell’ABI si spiega con il fatto che in qualche modo durante lavori preparatori della riforma del Trattato MES si è considerata anche una ipotesi di ristrutturazione automatica, alias, taglio del debito possibilmente concordato con i sottoscrittori dei debiti sovrani a rischio avanzata da alcuni PM rigoristi quanto o più della Germania. Evidente che un tale meccanismo ridurrebbe notevolmente la reputazione e credibilità del PM che la subirebbe. L’ipotesi è stata contrastata anche dalla Commissione come ha detto il Commissario Pierre Moscovici in visita di congedo in Italia venerdì scorso e comunque accantonata nel giugno scorso. Quindi la reazione di Patuelli è quanto meno tardiva. Secondo Laura Serafini (Sole 24 Ore del 21 novembre), la minacciosa posizione dell’ABI sarebbe motivata soprattutto dal fatto che, a breve termine, diventerà operativo l’accordo di Basilea che prevede sia pure gradualmente un aumento del capitale delle banche per circa 400 miliardi di euro che appesantisce e mette a rischio la posizione delle banche europee e, specialmente di quelle italiane che operano a fronte di una economia in fase di lunga stagnazione economica. Ma l’accordo di Basilea è materia di competenza delle Banche centrai e non saprei dire se lo stesso governo ne era a conoscenza.
Come accennato sopra nell’Estate scorsa il governo ha proposto una c.d. “logica a pacchetto” o, per meglio dire, un salto qualitativo dall’approccio puntuale di per sé parziale ad un approccio relativamente più globale. Sottolineo relativamente perché qui stiamo valutando solo il miglioramento di alcuni strumenti finanziari e, quindi, l’UE sta comunque seguendo l’approccio puntuale su singoli strumenti più e meno rilevanti. Secondo me, va chiarito che anche la “logica a pacchetto” non è immune da punti deboli. Infatti collegare strettamente la sostenibilità del debito pubblico alla debolezza patrimoniale delle banche che detengono titoli del debito pubblico del governo del paese in cui operano – in Italia meno di un sesto del debito sovrano – significa in qualche modo trascurare il problema di fondo della rischiosità di tutto il debito pubblico quando questo raggiunge livelli molto elevati e l’economia reale del Paese non cresce anzi ristagna. Per altro verso, pensare che la sostenibilità del debito possa aumentare con la previsione di un’assicurazione europea dei depositi bancari può rivelarsi contraddittorio perché se essa da un lato può aiutare le banche dall’altro potrebbe incoraggiare sia l’azzardo morale delle stesse banche che indurre i risparmiatori a impiegare la loro liquidità in strumenti meno rischiosi come i depositi bancari assicurati – come avviene in questa fase in Italia. È vero che nella realtà finanza pubblica e privata sono interdipendenti e che tutto si collega ma gli effetti dei diversi strumenti non sempre convergono per assicurare la stabilità finanziaria e, meno ancora, quella della crescita sostenuta e sostenibile. Basta riflettere sulle cause e sugli sviluppi dell’ultima crisi mondiale per capirlo. L’eccessiva concessione di mutui subprime negli Stati Uniti e l’eccessiva “condivisione del rischio” non correttamente percepita tra le banche e fondi di investimento di molti paesi del mondo attraverso l’uso spregiudicato di prodotti derivati ha fatto lievitare oltre misura il rischio sistemico con conseguenti fallimenti e salvataggi bancari, conseguenti restrizioni creditizie e, alla fine, drammatici effetti sull’economia reale con doppie recessioni e aumenti consistenti della disoccupazione.
Intanto alcuni commentatori nutrono dubbi sulla possibilità che a dicembre la miniriforma del MES sia approvata dal Consiglio europeo e se la sintetica analisi di cui sopra è realistica, osservo che non c’è in vista alcun significativo salto di qualità sulle riforme che servirebbero al rilancio del processo di integrazione e, soprattutto, dell’economia europea. Non ci sarà un aumento significativo del bilancio europeo né un vero e proprio ministro delle finanze europeo. Il MES va verso una sorta di Fondo monetario europeo sul modello FMI che ben poco riesce a fare per contrastare il rallentamento dell’economia mondiale. Il completamento dell’Unione bancaria resta ancora all’orizzonte anche per l’opposizione delle stesse banche che non gradiscono regole più rigorose sul loro operare. Si procede con la mountain bike per sentieri impervi che potrebbero diventare molto pericolosi. Si pedala quanto basta per non fermarsi o procedere a piedi. Fin qui non viene avanzata alcuna proposta incisiva per una crescita sostenuta e sostenibile di tutti i PM.
Al di là del merito e del valore delle proposte di rafforzamento degli strumenti anticrisi dell’Eurozona che vanno avanti a rilento, le polemiche sollevate dall’intervento rozzo e disinformato di Salvini va notato un effetto positivo di chiarezza e di approfondimento che esso ha già prodotto e sta ancora producendo anche nella comunità degli addetti ai lavori ed esperti dei complicati affari europei. Nel passato, è prevalsa la prassi secondo cui il Presidente del Consiglio che si accinge a partecipare al Consiglio europeo fa delle generiche comunicazioni al Parlamento, si apre una discussione altrettanto generica e si chiude magari con l’approvazione di un vago ordine del giorno. È auspicabile un cambio di registro e che questa possa essere la prima volta che il Presidente del Consiglio vada al prossimo vertice europeo dopo un dibattito chiarificatore e bene informato anche dentro il Parlamento.
Tutte osservazioni sensate e logiche. Ma nessuno nel dibattito solleva la questione cruciale ; cosa fare per evitare che il debito pubblico italiano finisca fuori controllo, o meglio, che strategia adottare per ridurlo nel tempo? Si discute degli strumenti che l’unione europea sta mettendo in campo per evitare crisi future, il tutto ruota attorno a come evitare che le misure diventino troppo onerose per un Paese come l’Italia. Una autentica eterogenesi dei fini.