La salute come bene pubblico globale ed europeo.
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Continuano le baruffe chiozzotte tra maggioranza di governo e opposizione sulla gestione della crisi coronavirus da parte delle Regioni e del governo centrale. È sempre più evidente (e non solo da oggi) che la salute è bene pubblico globale in un mondo fortemente interdipendente, globalizzato. Non è che l’Unione europea non abbia competenze in materia, il problema è che esse si limitano a allo svolgimento di “azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri. E nei settori in cui tali azioni si possono svolgere “la tutela miglioramento della salute umana” è alla lettera a) dell’art. 6 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. È di tutta evidenza che in molti casi sostenere e completare l’azione degli stati membri richiede adeguati finanziamenti – come vedremo più avanti.
Con riguardo alle previsioni della Costituzione italiana, soccorre l’art. 117 comma 3 della Costituzione che prescrive una competenza concorrente tra governo centrali e governi regionali. Bisogna ricordare che, in fase costituente, i nostri illuminati costituenti fecero una scelta “sbagliata” ad attribuire alle regioni competenze in materia sanitaria perché non avevano a disposizione una teoria consolidata dei beni pubblici che arriverà nel 1954 con Samuelson e con Tiebout nel 1956. Fu un errore confermato anche alla riforma del Titolo V nel 2001. La mia tesi personale è sempre stata che bisogna togliere questa competenza alle Regioni la cui missione originaria era quella della programmazione economica. Non casualmente l’unico presidente di Regione che ha osato esprimersi negli stessi termini è stato Chiamparino presidente della Regione Piemonte nell’ultimo anno del suo mandato e vedi il caso è stato assistente universitario di scienza delle finanze. Sarebbe auspicabile che la Conferenza sul futuro dell’Europa si occupasse di questa importante e vitale questione.
Ecco, se si accoglie l’idea che la salute è un bene pubblico globale – come in fatto lo è – il discorso ovviamente non può limitarsi all’Unione europea, esso va esteso a livello mondiale. A fronte del diffondersi delle epidemie in diversi paesi, anche se ancora non siamo tecnicamente in una pandemia, può essere utile capire di che cosa stiamo parlando e quale siano le strutture sovranazionali preposte a circoscrivere il problema e, possibilmente, risolverlo in tempi ragionevoli. Anche a questo livello non siamo all’anno zero. Non a caso abbiamo dal 1948 l’organizzazione mondiale della sanità con sede Ginevra. Senonché questa organizzazione si limita a promuovere la cooperazione internazionale specialmente nella lotta alle malattie infettive e nell’affrontare le emergenze sanitarie. Quindi il suo compito specifico è quello di emettere raccomandazioni, favorire la definizione di convenzioni e altri accordi tra i paesi associati (193), assistere i paesi membri anche nella prevenzione.
Non è vero che l’Unione europea non fa niente. infatti a seguito della diffusione del virus della Sars nel 2003 l’UE ha promosso il programma europeo salute 2014-2020 che ha lo scopo di completare, supportare e valorizzare le politiche dei paesi membri ed il PRO.M.I.S alias, il programma mattone internazionale della salute a partire dal 2015. Come in altre missioni che assume, il problema è che non ci mette risorse sufficienti. Per detto programma la spesa settennale prevista ammonta a 449 milioni di euro. Le solite patatine con le quali alcuni bevono l’aperitivo. È vero che in molti paesi membri i sistemi sanitari sono molto sviluppati ma se uno fa il confronto con i 45 miliardi di dollari che ha speso per la sanità nel mondo, in primo luogo in Africa, la Fondazione Bill e Melinda Gates ogni commento è superfluo. Ancora a livello globale si occupano di sanità il G7, il G20 e i BRICS il tutto inserito nel quadro del programma SDGs (Sustainable Development Goals System) 2030 delle Nazioni Unite.
Ora se l’OMS si limita in via principale a fare guidance o assistenza tecnico-scientifica, è chiaro che nell’ambito della governance dell’ONU le agenzie specializzate ed in particolare la Banca Mondiale dovrebbe assumere un ruolo di primo piano proprio perché è lo strumento principale per finanziare programmi di sviluppo equo e sostenibile in una fase storica in cui l’economia mondiale va incontro alla grande trasformazione della conversione ecologica e a quella della digitalizzazione anche se in Africa e in altri paesi in via di sviluppo il problema fondamentale resta quello delle infrastrutture, degli acquedotti, del trattamento dei rifiuti, dei sistemi fognari, della disponibilità di acqua potabile e delle condizioni igieniche nelle bidonville, nei campi profughi, ecc..
Ora è chiaro che molte delle organizzazioni menzionate sopra si limitano a enunciare e raccomandare obiettivi largamente condivisibili che poi non trovano finanziamenti adeguati e, quindi, le enunciazioni rimangono allo stato di pii desideri. Si tratta di problemi estremamente complessi perché la salute pubblica in molti paesi dipende dalla malnutrizione, dall’ambiente degradato, dalle condizioni igieniche dei posti in cui si vive e si lavora, dalle infrastrutture fisiche e, come noto, lo sviluppo equo e sostenibile è un obiettivo ancora lontano anche nei paesi più avanzati.1
Ci sono problemi immani di coordinamento tra le organizzazioni internazionali e i paesi in via di sviluppo, tra questi e quelli sviluppati e molti paesi sono governati da dittature più o meno feroci che non ammettono ingerenze nei loro affari interni. Ma la politica italiana si trastulla in una insulsa polemica sulla divisione delle competenze in materia senza rendersi conto che un assetto di competenze concorrenti é la premessa necessaria anche se non sufficiente per la cooperazione e il coordinamento.
1 Per chi volesse approfondire la tematica dei beni pubblici europei troverà approfondimenti nel volume di Astrid, Il finanziamento dell’Europa. Il bilancio dell’Unione e i beni pubblici europei, a cura di Maria Teresa Salvemini e Franco Bassanini, Passigli Editori, 2010.
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[…] Sul primo versante, l’odierna crisi sanitaria richiama la natura globale del bene salute pubblica. La sanità elencata tra le materie a competenza concorrente, a mio parere, non è in contrasto con l’art. 32 della Costituzione e con gli artt. 6 e 168 del Trattato di Lisbona che la elenca come materia di competenza concorrente speciale. Il problema sta nell’ultima frase del comma 3 dell’art. 117 Cost. che recita: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” che sembra assegnare il grosso della iniziativa legislativa alle regioni. In realtà, tale interpretazione è frutto di un malinteso perché è chiaro che se si condivide la tutela piena si condivide anche l’iniziativa legislativa che l’attua e che, in ogni caso, vale il principio di sussidiarietà dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, come prevede il protocollo n. 25 allegato al Trattato di Lisbona che chiarisce a modo suo la competenza concorrente speciale del più alto livello dell’Unione europea. In altre parole, persino i Paesi membri e le regioni in via sussidiaria agirebbero nei limiti in cui l’Unione non ha agito o ha cessato di agire in materia di salute pubblica. Poteri che in fatto l’Unione non ha esercitato neanche nei limiti di azioni di sostegno, completamento e coordinamento delle politiche sanitarie dei PM di cui all’art. 6 citato. E come avrebbe potuto e come potrebbe mai farlo con un bilancio attorno all’1% del PIL dei PM e con assegnazioni risibili di risorse al piano sanità. Rinvio al mio post: http://enzorusso.blog/2020/03/04/la-salute-come-bene-pubblico-globale-ed-europeo/ […]
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