Il dibattito sulle conseguenze del Covid-19 è ampio e oggetto precipuo
delle argomentazioni degli studiosi di svariate discipline, molteplici essendo
infatti i prevedibili effetti sull’intero pianeta. Per cercare di riassumere,
limitatamente a quelli economico e sociali, le posizioni in campo, è utile un
sommario confronto tra le principali posizioni espresse nei più recenti
commenti sull’argomento su entrambe le sponde dell’Atlantico, ossia
restringendo l’obiettivo al mondo occidentale. Negli USA, si può accennare –
fermi restando i ruoli decisionali delle autorità monetarie, e soprattutto
quello del Presidente – a quanto espresso in sintesi da alcuni dei più
autorevoli economisti.
Per Dani Rodrik: il mutamento l’innovazione tecnologica non segue un’unica
direzione ma può essere indirizzata a beneficio della società. La risposta
convenzionale consiste in più e migliore qualità dell’istruzione e della
ricerca scientifica. Molto dipende dagli incentivi. In realtà, nuove
tecnologie, inclusa quelle nella sanità, attraverso un nuovo e intrusivo
modello di globalizzazione concentrato sulle aree di forte cooperazione, e si
rivela tuttavia spesso non sostenibile. Occorrono, dunque, diversi modelli di
sviluppo.
Nel giudizio di Barry Eichengreen, la crisi è stata trattata come
temporanea, con una moratoria sul pagamento degli interessi e promesse di
crediti commerciali di breve durata, sovente inadeguata alle situazioni di
singoli paesi. Egli cita il precedente del 1982 e del c.d. Baker plan, che non
funzionò. Stavolta i governi del G20 hanno risposto in fretta, prevedendo una
moratoria dei pagamenti per i paesi a basso reddito, il triplo di quanto
avvenne nei primi mesi del 2008. La realtà di oggi andrebbe gestita dal FMI,
quale istituzione dell’ONU nel richiedere l’utilizzo del Capitolo VII della
Carta per evitare l’azione di investitori opportunisti (speculatori).
Secondo Ken Rogoff, lo shock globale è più rapido e severo di quello del
2008 e forse della stessa ‘Grande Depressione’, poiché in pratica ogni componente
della domanda aggregata, consumi, spesa in c/capitale per investimenti, ed
esportazioni, appare in caduta libera. Anche immaginando che le banche centrali
taglino i tassi d’interesse fino a raggiungere un valore di -3%, o meno,
numerosi paese necessiterebbero di moratorie: un dollaro debole, unitamente a
una più forte crescita globale aiuterebbe, specialmente nei grandi mercati
emergenti e, sebbene non risolutivo, potrebbe consentire una ripartenza. Ad
oggi, oltre 90 paesi hanno fatto richiesta al
FMI e alla Banca Mondiale e il WTO prevede un declino nel 2020 nel commercio
mondiale dell’ordine del 13-32%. Le più recenti evidenze empiriche confortano
questa tesi, in quanto i tassi negativi opererebbero in modo simile
all’ordinaria politica monetaria, favorendo l’aumento della domanda aggregata e
dell’occupazione, pur richiedendo la moratoria del debito per le aree in
ritardo di sviluppo, e in generale tutti gli altri , ad esclusione dei “paesi
contraddistinti dalla tripla AAA”.
Inoltre, lo stesso Rogoff e Carmen Reinhart affermano che consentire il
prolungarsi della depressione sia molto rischioso, ricordando che il punto più
basso nella crisi di metà anni ’80 ammontava, i sviluppo, in generale tutti, ad
esclusione dei “paesi contraddistinti dalla tripla AAA” a circa il 18% del PIL mondiale per i paesi
in ritardo, misurato in dollari; nel 2020, tocca il 41% (del 60% in PPP). Il
parere di Nouriel Roubini, attento conoscitore della materia e delle vicende
europee, oltre che noto per aver anticipato la precedente crisi economico
finanziaria con riferimento polemico all’assenza di un supposto ‘cigno nero’, è
che i mercati sono ribassati del 35% e persino le società finanziarie mainstream
(Goldman Sachs, JP Morgan and Morgan Stanley) prevedono una caduta del PIL USA di un valore del 6% nel
I , e del 24%-30% nel II trimestre
dell’anno e disoccupazione eccedente il 20 %, come mai in passato. Quantunque
la maggioranza dei commentatori anticipi una crisi a V, la COVID-19 è assai differente, in quanto la
contrazione non rassomiglia né alla V e nemmeno ad una U o alla L (crisi, seguita da stagnazione). Essa è
piuttosto simile ad una I, una linea
verticale, in entrambi i mercati finanziari e l’economia reale; solo i governi
centrali (federali) hanno dotazioni sufficienti ad impedire il collasso. I
disavanzi vanno monetizzati (Quantitative Easing) in toto, non con debiti
governativi standard, i cui saggi d’interesse
monterebbero bruscamente in maniera considerevole. I sostenitori delle azioni da tempo avanzate
dagli economisti di sinistra della ‘Modern Monetary Theory School’, comprendenti
anche helicopter drops, sono divenuti in gran parte accettabili, ma condizionate
a tre fattori di rischio: incontenibili pandemie, politiche economiche con
strumenti insufficienti , e cigni (bianchi) geopolitici, cui si può
aggiungere l’offerta di petrolio, che possono avere la meglio. La forse
insanabile rivalità USA- Cina presenta tutte le caratteristiche di una ” Trappola
di Tucidide”, bene esemplificata nella disputa nel primato tecnologico delle telecomunicazioni
(TLC). Per concludere questa breve e certo non esaustiva serie di argomenti
elaborati da autorevoli studiosi e, in tutta evidenza, ampiamente legati a
immaginare gli interventi necessari nel medio lungo periodo per l’intera
economia mondiale, J. Stiglitz sostiene come, nei sistemi economici più
avanzati (‘democratici’) la compassione potrebbe di per sé motivare un forte
sostegno a un ritorno a una risposta multilaterale alla crisi in atto. Tuttavia, l’azione
a livello globale è altresì una questione di interesse egoistico, laddove la
pandemia resta una minaccia dovunque.
Sull’altro versante, quello europeo, il dibattito è non sorprendentemente circoscritto
nei confini geografici e istituzionali rispetto a quanto riportato nel più
grande e potente paese federale, il cui orizzonte appare solitamente universale
(in misura magari ridotta rispetto al passato) concerne in sostanza gli
strumenti messi a disposizione, dal MES temporaneamente sospeso, che riguarda i
paesi molto indebitati come il nostro e certo memori della vicenda greca, a
quelli nuovi ancora ‘in fieri’ e da scoprire, come il Recovery fund, State supported short time work, meglio noto come SURE (alla lettera, sicuro), ad
altri in cantiere e/o da definire in maggior dettaglio. La Commissione ha
appena presentato una proposta, che sarà oggetto di discussione, circa un Recovery
Plan e un riferimento al bilancio
dell’ormai imminente settennio. Si possono avanzare alcune riserve rispetto
alla eccessiva durata della road map e soprattutto sui margini ridotti per
predisporre un documento importante, ancora da definire. E’ nota soltanto, infatti, la volontà di
farvi rientrare numerose forme di
facilitazioni (note con acronimi, qui
trascurati: SGP/SA, PPEF, CRII) per
adesso elencate senza specificazioni sul piano distributivo, per un totale
complessivo di 500 miliardi di euro. Si tratta di una leva di una certa
consistenza, ma di cui occorre stimare l’impatto. Nel prossimo Quadro Finanziario
Pluriennale (QFP) restano da quantificare
molti punti essenziali, anche se l’indicazione di passaggi intermedi implica qualche
elemento di fiducia nel metodo stabilito per un cauto avvio, pur nell’urgenza
dei tempi. In particolare, sembra di interesse la scelta di finanziamento
mediante l’uso di strumenti temporanei sulla scorta dell’art. 122.1 e ritenuti
in grado di ottenere dai mercati fino a
più di 300 md. di euro. Il che dovrebbe avvenire, negli scarsi sei mesi e mezzo
da oggi all’inizio del 2021, in pratica congiuntamente al QFP, denominato anche
“prospettive finanziarie” che serve a regolare i futuri bilanci annuali rivolti
a sostenere programmi dell’Unione. Non va trascurato di notare, poi, che quest’ultimo è stabilito
in un regolamento del Consiglio adottato all’unanimità, con il consenso del
Parlamento. Intanto, sarà forse opportuno provvedere ad esaminare in maggior
dettaglio le opportunità, tuttora non indagate a sufficienza, offerte dal MES.
Esistono infine, nel sottofondo, numerosi altri spinosi temi tra cui
primeggiano quelli istituzionali, quali il deficit democratico e il ruolo ora
subalterno del Parlamento europeo, l’eccesso di decisioni alla unanimità, sino
alla riforma dei Trattati. Inoltre, e non certo inferiori nella valenza, vanno
considerate tanto l’assenza sempre osteggiata di trasferimenti perequativi tra
i membri quanto l’ostinazione sulle regole che fanno da ostacolo insormontabile
alla considerazione della stabilità non in mero senso finanziario, piuttosto
che incidere nell’economia reale. Nella quasi totalità della stampa europea,
non solo italiana, la tragedia della pandemia è sovente vissuta come di natura
temporanea, vale a dire con grave sottovalutazione, discutendo di strumenti
atti a superarla. In Francia e in una Inghilterra (autoesclusasi dall’Unione) la
situazione varia tra la richiesta di monetizzare la crisi e l’Analisi
Costi-Benefici (ABC) di un’integrazione non piena ed ancora lontana. È notizia
di ieri, infine, la proposta franco tedesca di trasferimenti straordinari a
fondo perduto per 500 md. ai paesi membri: un ulteriore significativo passo verso
più solidarietà.
http://enzorusso.blog/wp-content/uploads/2017/06/logo.png00enzorusso2020http://enzorusso.blog/wp-content/uploads/2017/06/logo.pngenzorusso20202020-05-19 13:44:022020-05-19 13:44:03Proposte USA e UE per affrontare la crisi. Carlo Giannone
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