Il bicchiere resta mezzo vuoto ma é diventato molto più grande.

Nel 2019 in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo siamo riusciti a contenere l’ondata populista-sovranità ma già durante la campagna elettorale non è che i partiti più europeisti avessero messo grande attenzione ai temi della riforma dei Trattati. Sta qui il problema. L’assetto istituzionale dell’Unione è incompleto, debole e caratterizzato da un enorme deficit democratico. Il Consiglio europeo composto dai Capi di Stato e di governo – soprattutto da questi ultimi – è eletto con sistemi elettorali diversi, sono espressione delle maggioranze locali, rispondono al loro elettori locali. Gli stessi componenti della Commissione sono in buona sostanza nominati dai governi del PM. È come se il governo di Roma fosse composto dai Presidenti delle regioni. La Comunità europea prima e poi l’Unione non è mai stata una Confederazione e non è una federazione vera e propria. Per la struttura sovranazionale dell’Unione si parla di governance ma – come spiega bene Gustavo Zagrebelsky – dove c’è governance non c’è democrazia vera. Concordo con lui e aggiungo che la stragrande maggioranza degli elettori non sono cittadini attivi, non hanno tempo o voglia di occuparsi di politica interna e meno ancora di quella sovranazionale. E questo è vero non solo nella ricca ed evoluta Europa ma anche in Inghilterra, negli USA, in Brasile, in Cina, in India, in Russia. In questo ultimo paese si sta introducendo una riforma costituzionale per consentirebbe a Putin di restare al potere sino al 2036 e, magari, a vita come Xi in Cina.

In Italia e nel mondo c’è una forte ansia di delega lasciando ai delegati stessi il compito di scriversi i termini del rapporto agente-principale. Non sorprende che la democrazia arretri dappertutto. Non sorprende che 2/3 dei paesi membri della Nazioni Unite siano governati da dittature più o meno soft, più o meno crudeli. L’obiettivo fondamentale di questi dittatori è quello di non essere disturbati a casa loro con buona pace dei diritti fondamentali dei loro concittadini. Questa spiega come negli ultimi decenni pochi siano stati gli interventi diretti dei caschi blu a parte quei pochi dedicati a mantenere la pace dopo sanguinose guerre civili.

In Europa negli ultimi dieci anni si sono fatte riforme che hanno incrementato il ruolo decisionale del governo a scapito dell’iniziative legislative dei Parlamenti. I Trattati di Lisbona riflettono questa tendenza. La Commissione ha il monopolio dell’iniziativa legislativa ma sotto la tutela del Consiglio europeo. Il PE non ha autonomo potere di imporre tasse ed imposte o autorizzare l’emissione di debito pubblico. Ha solo potere condiviso. Come ho scritto in altri post, dopo la presentazione del piano di rilancio da parte della Presidente della Commissione UVDL, si è aperto il dibattito in aula. Sono stati concessi due minuti ai capigruppo e un solo minuto ai singoli parlamentari. Hanno potuto dire si o no con brevi pistolotti. Spero che nelle Commissioni ci sia un dibattito più attento che entri nel merito e nei dettagli dei problemi. Sappiamo che il diavolo si nasconde nei dettagli. Sappiamo che non basta concordare o dissentire sugli obiettivi generali. Di norma, si dissente e ci si divide sugli strumenti, sulle risorse stanziate, sulle modalità e i tempi di attuazione degli obiettivi.

Dopo l’introduzione dell’Unione economica e monetaria – costruzione notoriamente incompleta. si sono susseguiti due eventi molto importanti: l’allargamento ad Est e la crisi del 2009-12. Molti hanno criticato la scelta attuata dal Presidente Prodi sostenendo che bisognava fare prima l’approfondimento istituzionale. A mio parere, avremmo dovuto fare le due cose insieme e, in qualche modo, così è stato fatto se pensiamo alla istituzione della Convenzione che ha definito il Trattato costituzionale poi bocciata dai referendum francese e olandese e al ripiegamento sui Trattati di Lisbona. Per brevità, salto alla crisi finanziaria ed economica del 2009-12 (doppia recessione) con disastrose conseguenze per alcuni paesi periferici. Oggi è chiaro che i paesi egemoni hanno preso atto di quegli errori ed hanno cambiato passo muovendosi nella direzione giusta almeno in termini di misure volte a rafforzare le strutture sanitarie, gli ammortizzatori sociale, l’aiuto alle imprese in difficoltà, ecc. Ma non c’è una vera strategia per contrastare la recessione che rischia di trasformarsi in una Grande depressione. Manca a Bruxelles e manca a Roma.

Nei giorni scorsi la Banca d’Italia ha pubblicato le sue previsioni di crescita per l’Italia si rischia un calo del PIL del 13% previsione pessimistica massima per le economie dei PM. A Bruxelles mancano piani precisi per la conversione ecologica e la digitalizzazione dell’economia o sono redatti in termini di obiettivi generali che i PM devono attuare; manca un piano europeo per le infrastrutture materiali ed immateriali. Più vagamente si parla di prestiti collegati a riforme strutturali.   La solita solfa. In un documento pubblicato dalla Commissione il 28 maggio u.s. (vedi indirizzo sotto) leggo che le riforme strutturali 2020 riguardano le imposte ambientali e la valutazione del loro impatto. In realtà in attuazione delle Direttiva comunitaria n. 2019/904/904UE del 5-06-2019 l’Italia ha introdotto la plastica tax nella legge di bilancio 2020 ma in seguito alle proteste dei produttori ha previsto la sua entrata in vigore a partire dal 1° luglio p.v. Vedremo presto se l’impegno sarà mantenuto. 

Accanto al DEF sino al 2010 il governo doveva presentare il Piano nazionale delle riforme PNR. Ai sensi della legge 7-04-2011 e con l’introduzione del Semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche il PNR è stato integrato nel DEF come parte terza. Inutilmente ho cercato nel DEF 2020 il PNR. Da fonti di stampa ho appreso che il Governo lo presenterà in ritardo insieme alla legge di stabilità 2021. Nel DEF ho trovato solo la seguente frase: “Il contrasto all’evasione fiscale e le imposte ambientali, unitamente ad una riforma della tassazione che ne migliori l’equità e ad una revisione organica della spesa pubblica, dovranno pertanto essere i pilastri della strategia di miglioramento dei saldi di bilancio e di riduzione del rapporto debito/PIL nel prossimo decennio”. In teoria una simile strategia andrebbe bene per tempi normali e per una economia in crescita normale anche se ritengo che precedenti governi hanno sempre fallito sui due obiettivi più importanti: la lotta all’evasione e la revisione organica della spesa pubblica. In ogni caso – lo ripeto – suddette misure non sono sufficienti per fare uscire l’economia italiana dalla stagnazione secolare e dalla recessione che rischia di aggravarsi vieppiù.   Per citare un articolo di Gianfranco Pasquino sul Sole 24 Ore del 16 maggio 2004 : “il bicchiere resta mezzo vuoto ma è diventato molto più grande”. Allora l’illustre politologo si riferiva al testo del Trattato costituzionale uscito dalla Convenzione. Sappiamo che la situazione è stata recuperata in gran parte con i Trattati di Lisbona. Oggi sul terreno economico abbiamo il tentativo di portare il QFP attorno al 2% annuo ma è un obiettivo ancora minimale se si pensa che negli Stati federali il bilancio impegna il 20-25% del PIL. Sul terreno istituzionale c’è la proposta della Conferenza sul futuro dell’Europa che rischia di tradursi in una immane perdita di tempo perché è già in ritardo sulla partenza, avrà due anni di tempo per redigere un rapporto che dovrà essere esaminata dal Consiglio europeo quando la presente legislatura sarà vicina alla sua naturale conclusione. Ma sia chiaro, tutto questo non è colpa e responsabilità dell’Europa ma dei suoi singoli paesi membri e dei loro specifici governanti.

@enzorus2020

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