Ieri Berlusconi ha detto che lui e Forza Italia sono i “continuatori ideali” di Don Sturzo e del Partito Popolare. La rivendicazione non è nuova ma ieri è stata motivata con l’approvazione del federalismo. Don Sturzo fu un federalista e meridionalista.
La nuova motivazione non regge come le altre perchè: 1) la nuova suddivisione delle competenze legislative tra Stato e Regioni a statuto ordinario, di cui all’art. 117 della Costituzione, è stata approvata dal precedente Governo di Centrosinistra nel 2001 e, al riguardo, ora, quello di Centrodestra si è limitato a spostare di nuovo al centro, anche con qualche fondamento, alcune funzioni; 2) la trasformazione della seconda camera in Senato federale ? una lacuna grossa della riforma del 2001 ? purtroppo ha poco di federale oltre l’aggettivo. Si è disegnato un senato di notabili che non ha riscontro né nel Senato degli Stati Uniti né in quello tedesco dove siedono direttamente i rappresentanti esecutivi dei Lander; 3) la riforma costituzionale approvata il 16 u.s. riguarda prevalentemente la forma di governo trasformando il primo ministro in un autocrate dato che non può essere messo in minoranza o sostituito senza il consenso suo e della stessa maggioranza che lo ha designato (norma antiribaltone); 4) Berlusconi e la sua maggioranza, paradossalmente, dal 2001 hanno sospeso l’attuazione del federalismo fiscale (art. 119 della Costituzione) per tutta questa legislatura e si sono dati, spavaldamente, altri tre anni della prossima per una eventuale attuazione.
Quindi esattamente il contrario di quanto afferma. Il federalismo fiscale poteva essere attuato ma è stato bloccato, dopo due anni di incertezze e tergiversazioni, formalmente a Lorenzago nell’agosto 2003, in seguito ad un accordo tra i massimi federalisti del governo Bossi e Tremonti, il quale ultimo disse al leader della Lega che non c’erano spazi finanziari per attuarlo. Né è un argomento valido quello dell’impossibilità di attuare la riforma del Centrosinistra (nella specie l’art. 117 novellato) se poi le modifiche a quest’ultimo, come detto, sono state non di struttura ma limitate alla riassegnazione al centro di alcune materie. Né è vera la tesi (tra gli altri del Presidente del Senato Pera) secondo cui la riforma del 2001 avrebbe provocato un grosso contenzioso tra Stato e Regioni davanti alla Corte Costituzionale. Il contenzioso si spiega innanzitutto per due motivi: 1) il blocco del federalismo come introdotto dalla riforma del 2001; 2) il fatto che il governo centrale ha continuato a legiferare non solo come se la riforma del Titolo V non ci fosse mai stata ma anche con bieco piglio centralista.
I dati pubblicati oggi da Il Sole 24 Ore, che aggiornano quelli già elaborati un anno fa, ce ne danno prova lampante. Il governo centrale ha presentato 209 ricorsi in cui solleva questioni di legittimità costituzionale su leggi regionali rispetto ai 145 presentati dalle Regioni anche per conto degli Enti locali su leggi dello Stato. Fin qui ci sono state 362 pronunce. Per inciso i numeri delle pronunce e dei ricorsi non coincidono necessariamente perché una pronuncia può decidere più ricorsi oppure un solo ricorso può portare a diverse pronunce. Fin qui le Regioni hanno perso in 56 casi ed il governo centrale in 108 casi. In termini calcistici, Regioni ed enti locali vincono sul governo quasi 2 a 1. L’ultima clamorosa bocciatura del governo centrale da parte della Corte Costituzionale è quella della settimana scorsa contenuta nella sentenza n. 417 del 9.11.2005 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionali alcune norme del D.L. 12.07.2004 n. 168, convertito con modificazioni nella L. 30.07.2004, n. 191, con le quali il governo centrale non solo imponeva dei tagli alle spese delle Regioni ma ? e qui è la incostituzionalità ? entrava nel dettaglio indicando le specifiche voci da tagliare. Peccato che su questioni costituzionali così delicate come l’equilibrio tra i poteri dello Stato non si possa trovare una maggiore cooperazione e che il governo centrale, formalmente equiordinato ma oggettivamente più forte, non sappia esercitare un minimo sforzo di self-restraint.
Ma tant’è. Molti italiani ormai sanno che nel governo centrale non mancano i megalomani. Berlusconi oggi si dice erede di Don Sturzo, ieri di De Gasperi, Einaudi, Gioberti, Rosmini, a volte anche continuatore di Craxi. Tremonti si paragona a Jean Baptiste Colbert, ma a differenza del “ministro delle finanze” di Luigi XIV, che riuscì a contenere le folli spese del Re Sole, il Nostro ha ripetutamente truccato i conti pubblici italiani, attirandosi le censure della Commissione europea. Secondo me, è più facile che Bossi assomigli a Cattaneo e Castelli a Beccaria che Berlusconi a Don Sturzo. Ma tra le berlusconate di ieri, merita un piccolo commento un’altra veramente macroscopica. Berlusconi ha detto ieri che lui ha rispettato tutti i punti del Contratto con gli Italiani siglato solennemente alla TV di Stato davanti al Notaio Vespa. Sarà ma si è dimenticato del regalo aggiuntivo: cinque lunghi anni di recessione economica.