Qualche settimana fa in vista del varo della legge di stabilità il Ministro Saccomanni ha scritto una lettera ai colleghi ministri con la seguente direttiva: “le maggiori spese programmate dovrebbero essere compensate e/o finanziate con corrispondenti tagli di sprechi e/o di spese meno produttive”. I ministri avrebbero dovuto rispondere a stretto giro di posta ma non sappiamo se e come hanno risposto. Intanto i giornali parlano di rilancio della spending review e oggi sul tema troviamo un intervento del vice-ministro Carlo Calenda sul Sole 24 Ore.
A me sembra evidente che nel modo suggerito dal MEF non si può fare una seria revisione della spesa pubblica né tanto meno con le modalità prospettate dal Vice-ministro allo sviluppo economico che vedremo dopo. Io insisto nel sostenere che il controllo della spesa pubblica non è nella disponibilità dei singoli ministri specie di quelli senza esperienza pregressa. Semmai è in quella dei dirigenti i quali, in assenza di valutazione a fine anno, non hanno interesse a farla e non la fanno perché né il governo né il Parlamento trovano il tempo da dedicare a questo problema. Vedi da ultimo l’approvazione del Rendiconto generale dello Stato approntato dalla Corte dei Conti passato del tutto inosservato. Il sistema è deresponsabilizzato e deresponsabilizzante. C’è un problema di calendario. Se la Corte dei Conti arriva 6-7 mesi dopo la chiusura dell’anno finanziario, gli organi di controllo interno non arrivano mai.
Il controllo della spesa pubblica non è nella disponibilità del singolo dirigente che difende comunque il suo budget né della categoria informale dei dirigenti di un dato ministero che magari interloquiscono singolarmente con il ministro ma non tra di loro. Secondo me, è una questione di strutture e/o organi formali. Manca all’interno di ogni ministero un ufficio “Budget and control” che sappia fare le valutazioni di impatto amministrativo, che sappia fare l’analisi costi e benefici delle varie misure, che sappia calcolare dove possibile i costi standard. In altri termini manca una struttura di programmazione e controllo interni che sia in grado di interloquire con l’Ispettorato di finanza della Ragioneria Generale dello Stato, con la Corte dei Conti e quanti altri. Rimane un problema di scelta tra diversi tipi di controllo: tra quelli ex post e quelli in corso d’opera. Al riguardo non c’è chiarezza. Un esempio paradossale: se il Comune di Roma deve ancora approvare il bilancio preventivo 2013, come si fa a valutare i dirigenti se le spese sono autorizzate in percentuale di quelle dell’anno prima?
Mi sembra che negli ultimi dieci anni si siano modificate e migliorate sulla carta le procedure di bilancio. Ricordo in particolare il grande lavoro avviato e portato a termine tra il 2006 e il 2008 da Prodi e Padoa Schioppa sull’accorpamento dei capitoli di spesa in missioni e programmi. Lavoro poi modificato da Tremonti ma negli ultimi anni quello che è mancata è una serie sperimentazione e/o applicazione della legge. È emblematica la vicenda della riforma Brunetta. Questi riscrive lo Stato giuridico ed economico dei dipendenti pubblici; riduce gli spazi della contrattazione e allarga quelli della legge; spinge per la valutazione ed un nuovo sistema di incentivi. Nel 2011 arriva Tremonti ed oppone la mancanza di fondi. Si blocca tutto. I governi che vengono dopo dicono genericamente che bisogna riformare la pubblica amministrazione. Bisogna ricominciare da capo, soprattutto, con la semplificazione.
Oggi arriva il vice-ministro allo sviluppo economico con prospettazioni veramente sconvolgenti. Giustamente è contrario ad organi ad hoc o a commissari speciali che deresponsabilizzano i ministeri. Chiederebbe poi ai vari ministeri: a) un “report sui fondi in essere presso i dicasteri e quali risultati abbiano portato”; b) un documento snello che indichi le priorità (politiche e gestionali); c) invoca la responsabilità ministeriale per la gestione complessiva del ministero. Pertanto critica il principio secondo cui indirizzo politico e gestione amministrativa debbano appartenere a sfere diverse. È quindi reputa prioritaria la ricomposizione di questa separazione. Il tutto senza alcuna menzione del ruolo che il Parlamento e delle sue commissioni specializzate. Non ultimo Calenda assume che le priorità definite dal Presidente del Consiglio devono prevalere rispetto a quelle dei ministri. Insomma un gioco tutto interno all’esecutivo. Se questa dovesse essere anche la linea del governo nel suo insieme, essa sarebbe un grave passo indietro cancellando venti anni di riforme sulla carta buone ma mai correttamente e congruamente implementate.