Infuria la crisi economica e finanziaria. Se ne sentono dire di tutti i colori. Tipo: la crisi più grave dopo quella del 1929; la crisi più grave dalla fine della II Guerra Mondiale; una crisi non solo finanziaria ma del sistema capitalistico; una crisi non solo economica e finanziaria ma anche politica; una crisi non solo politica ma anche morale; una crisi così mai vista prima, ecc.. In ognuna di queste affermazioni c’è qualcosa di vero ma anche di scarsa approssimazione e nessuna precisione.
Di solito tutte le generazioni presenti valutano le crisi correnti come quelle più gravi che si siano mai viste. E’ compito degli storici poi di vedere, con dati alla mano, se e come classificarle.
Casualmente controllando alcuni libri della mia biblioteca mi sono andati gli occhi sul volumetto di Walt Whitman, Prospettive democratiche, il melangolo, Genova, 1995 nella traduzione a cura di Mariolina Meliadò Freeth: pp. 44-45. Ecco cosa scrive il grande poeta e pensatore americano, l’autore di Foglie d’erba, osservando quello che vede nel periodo post Guerra di secessione e nel pieno dell’epopea della Conquista del West e dell’attuarsi del destino manifesto dell’America.
“Le conseguenze della falsità dello spirito, madre di tutti i mali, sono già incalcolabili. Una persona tanto acuta quanto onesta, un impiegato dell’ufficio dei redditi (rectius: delle imposte) di Washington che dalla natura stessa del suo lavoro è portato a visitare regolarmente città del Nord, del Sud, dell’Est e dell’Ovest per fare inchieste sulle frodi, mi ha parlato a lungo delle sue scoperte. La depravazione della classe commerciale (del mondo degli affari) del nostro paese non è minore, bensì infinitamente più grande di quello che si suppone.L’amministrazione pubblica americana, nazionale, statale e municipale, in tutti i settori e in tutte le branche eccetto la giudiziaria, è satura di corruzione, venalità, falsità, incapacità; e quella giudiziaria è già infetta. Le grandi città puzzano di latrocinio e di furfanterie rispettabili e non rispettabili. Nella vita mondana, leggerezza, tepidi amori, gracili infedeltà, piccole ambizioni o niente ambizioni del tutto tanto per ammazzare il tempo.
Nel mondo degli affari (questo termine moderno che tutto divora, affari), l’unico obiettivo, a qualsiasi costo, è il guadagno. Il serpente dello stregone, nella favola, divorava tutti gli altri serpenti; il nostro serpente magico (corsivo mio) oggi è far quattrini, ormai unico padrone del campo. La classe migliore che possiamo esibire è altro che una plebaglia ben vestita di speculatori volgari. E’ vero peraltro che dietro questa fantastica farsa, rappresentata sulla scena visibile della società, si scopriranno cose solide e fatiche meravigliose che esistono per ora allo stato rozzo e si muovono dietro le quinte per farsi avanti e presentarsi quando sarà il momento. Nondimeno, le verità sono terribili. Io dico che la nostra democrazia del Nuovo Mondo, per quanti successi abbia avuto nel sollevare le masse dalla loro degradazione, nello sviluppo materialistico, nella produzione e in certa (molto ingannevole e superficiale) intellettualità popolare, è oggi come oggi un fallimento quasi completo nei suoi aspetti sociali e in tutti i risultati più grandi, quelli religiosi, morali, letterari e estetici. Invano marciamo a passi mai visti verso un impero tanto colossale da oscurare quelli dell’antichità, l’impero di Alessandro e le più audaci conquiste di Roma. Invano ci siamo annessi il Texas, la California, l’Alaska, e ci spingiamo a Nord verso il Canada, a Sud verso Cuba. E’ come se fossimo in qualche modo dotati di un corpo vasto e sempre meglio equipaggiato, ma cui fosse rimasto solo un poco, o niente affatto anima”.
Grassetti e incisi in parentesi miei.
Questo scriveva Whitman attorno al 1870-71 nel suo saggio “La questione più grave”, inserito nel volumetto sopra citato. Ogni commento è superfluo.