Il PD sempre più sotto attacco da parte degli avversari – e questo potrebbe essere un fatto positivo – ma anche bersaglio di “fuoco amico” e di critiche feroci da parte dei suoi stessi iscritti e simpatizzanti. Un partito senza identità, un partito disastrato, un partito senza fissa dimora, il partito che non c’è, il partito ombra, ecc. Un partito che non ancora amalgamato le sue due principali anime fondatrici: quella post-comunista e quella cattolica. L’unificazione  è stata troppo accelerata mentre probabilmente sarebbe stata più saggia la strategia di Prodi dell’Unione e di una sua contaminazione graduale.

La storia non si fa con i se e per questi motivi voglio fare alcune brevi osservazioni sulla situazione attuale del maggior partito del Centro-sinistra , le sue prospettive e sul rapporto tra identità e programma politico in un contesto di fluidità, di crisi dei partiti tradizionali di massa  che forse non torneranno mai più come erano una volta – ammesso e non concesso che una volta funzionassero bene.

Nel PD le due anime fondatrici avrebbero messo in ombra per motivi diversi la loro vecchia identità per improvvisarne una senza precisi paletti. Qualcuno ha voluto creare il partito fluido? Ecco il risultato.

Sul fronte opposto, Berlusconi, sfruttando il suo personale potere del denaro e  di controllo sui media ha creato un partito aziendale e, poi, un sultanato o una monarchia temeparata da un alto tasso di anarchia.

Tornando agli assunti  problemi di identità del PD, è chiaro che se non sappiamo  chi siamo, se non abbiamo risolto il problema della nostra identità, a volte,  non sappiamo cosa fare e non riusciamo a elaborare un programma elettorale.  E’  anche noto che i problemi identitari sono molto difficili ed alcuni soggetti (anche collettivi) non li risolvono mai.

E allora che fare? In un contesto politico in cui serve comunque una coalizione di forze eterogenee per vincere le elezioni, pretendere di affrontare prioritariamente i problemi identitari porterebbe a sicura sconfitta. Perciò conviene di mettersi d’accordo sulle cose da fare, sugli obiettivi e, soprattutto sugli strumenti con i quali perseguirli. Anche perché, in molti casi, l’agenda è non di rado dettata dalle condizioni politiche, sociali, economiche nazionali ed internazionali.

Un esempio banale viene dalle conseguenze della crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo. È previsto un ulteriore aumento della disoccupazione, allora la risposta è contenere la disoccupazione, fare più istruzione e ricerca, riformare gli ammortizzatori sociali ma fare anche più investimenti pubblici e privati. Su tali obiettivi, sulla carta,  c’è l’accordo bipartisan. Ciò posto, il vero problema è come si trovano le risorse per finanziare la spesa necessaria per conseguire tali obiettivi, come promuovere una diversa composizione o una riqualificazione della spesa pubblica.

Su tali obiettivi le varie coalizioni e le diverse forze politiche all’interno di esse dovrebbero misurarsi, mettendo da parte i loro problemi identitari. Anche i partiti si legittimano, si qualificano e si identificano per quello che riescono a fare.