Storia dell’Italia unita s’intitola il nuovo complesso volume di Alberto De Bernardi e di Luigi Ganapini (Garzanti editore). Apprezziamo da tempo gli autori. Del primo abbiamo riferito, per il suo libro scritto con Guarracino, in sede di una conferenza all’Accademia dei Lincei sui diritti umani nei manuali scolastici, trattandosi di uno dei migliori in uso nelle nostre scuole superiori. Di Ganapini abbiamo recensito un interessante volume sulla rivoluzione delle camicie nere.

Adesso questo ampio studio presenta alcune caratteristiche meritevoli di attenzione. Innanzitutto il grosso nodo affrontato viene esposto in termini problematici nell’andamento delle vicende ricostruite con una serie di richiami a più ampie considerazioni coinvolgenti politica e morale, economia e costume, in una continuità di presentazione critica approfondita. Considerata la mole dell’opera (oltre 1000 pagine) non possiamo qui trattenerci che su alcuni punti. Innanzitutto il capitolo sulla politica internazionale dell’Italia che, appena unita, si trova subito di fronte alla precarietà della sua condizione di media potenza, poi sul significato, le cause e gli effetti della sconfitta militare del 1943, conseguenza di una politica pragmatica condotta dal fascismo con i conseguenti disastrosi risultati.

Al termine di quegli eventi l’alleanza con l’Occidente è restata la scelta di campo necessaria per aver ancora l’illusione di poter esercitare un “peso determinante”, ma le più recenti prospettive si scontrano, chiuso il processo di emigrazione degli italiani poveri, con nuove tematiche, prima tra esse gli effetti dei flussi di immigrazione.

Ben svolto il richiamo all’Italia post-risorgimentale e al ruolo liberale di Zanardelli, un aspetto spesso trascurato, e ciò sembra dannoso particolarmente in occasione delle celebrazioni unitarie perché non sottolineare il rilievo di quel contributo rende monca la conoscenza effettiva di progressi compiuti tra fine ottocento e inizio Novecento. Molto chiare sono le schede su tanti singoli problemi, ricchi di richiami precisi, specie quantitativi, spesso dimenticati, mentre vi fu allora una crescita civile, che accompagnandosi ad una intensificazione produttiva, malgrado l’assenza di materie prime, trasformò l’Italia in un paese moderno, premessa della ripresa economica della repubblica democratica. E il libro si sofferma peraltro sui dualismi e le diseguaglianze sociali.

L’altra parte, di grande rilievo, riguarda la cultura, dagli incunamboli alla “grande Italia”, come le identità deboli e le memorie divise, di cui la “contro narrazione” della Resistenza appare il segno più manifesto, fattore che ha contribuito a gettare “fasci di luce ambigua” sulla giovane democrazia. Contraddizioni evidenti, ben chiarite insieme a numerosi dati riportati. La riflessione “incompiuta” sul passato, compreso quello fascista, ha influito – osservano gli autori – sulla “faticosa” rielaborazione della memoria comune. Altro rilievo giustamente evidenziato è lo “smottamento” nel consenso degli intellettuali, dopo gli eventi ungheresi mentre dalla metà degli anni ’50 lo sviluppo delle iniziative editoriali ha contribuito allo svecchiamento complessivo della cultura italiana. Tutte osservazioni che quindi vanno oltre il mero fenomeno evenemenziale per cogliere aspetti più riposti. L’emergere della distanza tra elite intellettuale e la cosiddetta plebe “corrotta” sia pure nelle forme della classe media consumatrice, disegna, in un certo senso, il destino nel quale è oggi intrappolata, a noi sembra, la nostra classe dirigente.

Ecco perché il testo qui richiamato merita di essere letto per la capacità mostrata di toccare con mano accorta, anche gli eventi più sgraditi della nostra storia unitaria.

In corso di pubblicazione  anche su Scena Illustrata (www.scenaillustrata.com)