1,2 e 3. Il Presidente Napolitano è al suo terzo governo del Presidente. Il Presidente della Repubblica continua a utilizzare pesi e misure variabili a seconda delle persone e delle circostanze. Nel 2011 nomina Monti dopo averlo preliminarmente nominato senatore a vita. Nel febbraio 2013 Bersani vinse le elezioni con una solida maggioranza alla Camera dei deputati ma riceve un incarico esplorativo a tempo limitato (3-4 giorni). Non gli ha dato l’opportunità di cercarsi una maggioranza al Senato. Viene messo da parte e dopo essersi fatto rinnovare il suo incarico nomina il governo Letta con mandato a tempo. Il c.d. governo di servizio doveva durare sino al 2015 ma non si è ancora capito perché tale compito non poteva svolgerlo Bersani.
Nel frattempo Renzi vince le primarie per la segreteria del Partito democratico e, come molti osservatori avevano previsto, gli eventi precipitano. Il neosegretario del PD incalza e critica continuamente Il Presidente del Consiglio dei ministri in carica sino a spingerlo alle dimissioni. A questo punto il Presidente della Repubblica cambia opinione e dà un incarico pieno ad un uomo politico che non è neanche parlamentare. Dice di volere un governo di intese più o meno larghe per l’intera legislatura. Che cosa è cambiato per giustificare questo suo cambiamento di impostazione? Forse ce lo spiegherà nelle memorie supposto che abbia la voglia e il tempo di scriverle. Qualcuno si è chiesto come mai non abbia preliminarmente nominato Renzi senatore a vita come fece con Monti nel 2011. Come che sia, Renzi ha ottenuto la fiducia da entrambe le Camere e ha avuto anche il cattivo gusto di ricordare ai senatori che questa era l’ultima volta che venivano chiamati a darla. Temo che anche questa volta Renzi si sbagli.
Ieri parlando a Catania il Presidente della Repubblica è tornato a sollecitare la riforma del Titolo V della Costituzione. Si riferisce al progetto di abrogare le competenze concorrenti e restituire alla esclusiva competenza dello Stato la materia delle reti, delle grandi infrastrutture, l’energia, ecc. Motiva la scelta con le complicazioni e le lungaggini che il coordinamento dei vari livelli di governo provoca anche nella esecuzione dei progetti infrastrutturali e nell’utilizzo dei fondi sociali. Non si rende conto che in questo modo si presenta anche lui come supporter della forte spinta neocentralista che c’è nel Paese. Come se fosse sola colpa delle Regioni il fatto che non si riescano a spendere i fondi strutturali e sociali dell’Unione europea. Come se non fosse a conoscenza che tutte le manovre di risanamento dei conti pubblici fin qui sono state attuate con il taglio degli investimenti in conto capitale. Come se non si sapesse che l’Unione europea finanzia solo il 50% del costo dei progetti e che questi non possono essere avviati se prima l’Italia non rende disponibile l’altra metà. Come se non sapessimo che dal 2008 ad oggi, tutta la PA non abbia tagliato circa 100 di spese in conto capitale proprio per il risanamento dei conti pubblici. Ma si, diamo addosso alle Regioni specialmente meridionali. È musica per le orecchie del nuovo Presidente del Consiglio, ora massimo esponente del Partito dei sindaci che storicamente teme il neocentralismo regionale. Ora che a capo del governo centrale abbiamo un Sindaco, è preferibile il neocentralismo statale.
Ma c’è un problema? È che da 25 anni il Paese è in transizione. Vorrebbe muoversi verso un assetto federale in linea con il modello Germania o quanto meno attuare lo Stato regionale previsto dalla Costituzione del 1948. Un assetto decentralizzato ha precise implicazioni ai fini della sventolata riforma della pubblica amministrazione che, a parole, sembra un’alta priorità del governo Renzi. Nel 2001 si è modificato il Titolo V della Costituzione. Nel 2005 lo si era di nuovo modificato prevedendo anche un Senato federale ma poi la legge è stata abrogata da un referendum. Ci sono voluti ancora quatto anni per arrivare alla legge delega n. 42 del 2009 di attuazione del titolo V. Legge portata in porto da Calderoli ma ampiamente condivisa anche dal Partito democratico. Si erano emanati anche alcuni decreti legislativi ma poi con l’arrivo del governo Monti e con il precipitare della crisi, l’attuazione della legge 42/2009 è stata praticamente sospesa. Scoppiano alcuni scandali in diverse regioni e si scatena a ragione la canea contro le Regioni. Ma se non sappiamo quale modello di Stato vogliamo, se restiamo sempre in mezzo al guado, come possiamo riformare la pubblica amministrazione? Giro la domanda non solo al Presidente della Repubblica ma anche e soprattutto al Presidente del Consiglio e al ministro competente.