La domanda ricorrente nella carta stampata nei mass-media é: cosa possiamo aspettarci dal 2018? La mia risposta è: poco di buono da una classe politica, accademica, intellettuale, industriale per lo più screditata e deresponsabilizzata. E’ la stessa classe dirigente che non ha fiducia nel futuro del paese. La classe industriale si è finanziarizzata, è collusa con le banche, le assicurazioni e la finanza. Queste ultime, ora organizzate nella quello Febaf sta dietro il sistema, bancario, creditizio e finanziario, in un modo o nell’altro, sono responsabili delle malefatte del sistema bancario e creditizio e quello italiano e un sistema banco-centrico colluso con la politica. Quello che abbiamo sentito e letto durante i lavori pubblici della Commissione parlamentare sulle banche è solo la punta dello iceberg. Quello che sta ancora sommerso è peggio ancora. Le banche hanno ancora 350 miliardi di sofferenze (non performing loans, in inglese suona meglio) ma i cittadini, i risparmiatori non hanno diritto di sapere chi sono i debitori inesigibili. È una questione di privacy!
L’Italia è uno dei paesi occidentali più ricchi e patrimonializzati del mondo. La ricchezza immobiliare ammonta a 4,6 miliardi secondo l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate e c’è altrettanta ricchezza finanziaria. C’è forte concentrazione nelle due distribuzioni. Per via della dissennata politica fiscale della Destra e del PD le prime case sono esenti da imposte patrimoniali; le successioni sono appena lambite dal Fisco: si incassano alcune centinaia di milioni all’anno. I comuni hanno scarsa autonomia tributaria. La maggior parte della ricchezza finanziaria è nascosta o investita all’estero. In parte torna a casa solo temporaneamente giusto per ripulirsi e ritornare all’estero dove la consulenza finanziaria è di più alta qualità o la tassazione è più favorevole. La prova sta nel fallimento parziale di tutti i generosi condoni (voluntary disclosures anche qui in inglese) adottati per fare rientrare i capitali in fuga che dissanguano il bel Paese.
La somma della ricchezza immobiliare e di quella finanziaria è all’incirca pari a quattro volte il debito pubblico italiano. Il debito pubblico ci dice la Germania è colpa. Ma chi sono i colpevoli? Sono due: da un lato i governi degli ultimi 35-40 anni, dall’altro evasori fiscali e rentiers.
Nei 70 anni della Repubblica non c’è stato un solo governo che abbia spinto l’economia verso il pieno impiego del lavoro e verso una distribuzione del reddito e della ricchezza meno diseguale. Ha prevalso un patto criminogeno implicito tra governi ed evasori fiscali – specialmente dopo la riforma fiscale degli anni ’70 – per cui i primi hanno sempre preferito chiedere ai ricchi i soldi in prestito invece di prenderglieli a titolo di imposta. Nel 1939 fu varata una imposta patrimoniale per finanziare la guerra ma nel 1947 fu prontamente “riscattata” per quattro soldi, in pratica abrogata.
La disoccupazione rimane alta all’11,3% e gli inoccupati sono 6,4 milioni secondo gli ultimi dati dell’Istat. Gli inoccupati sono quelli che non cercano il lavoro neanche per due settimane perché sanno che non lo troveranno. Il Presidente Mattarella giustamente ha detto che “il lavoro resta la prima e più seria questione sociale”. Ha raccomandato ai Partiti di fare proposte serie, realistiche, concrete, invece da un primo sommario sguardo vediamo che tutti – chi più e chi meno – promettono forti riduzioni d’imposta, aumenti dei trasferimenti, agevolazioni a gogo già previste nella legge di bilancio 2018, successioni gratuite, redditi di cittadinanza , ecc. ma niente programmi di pieno impiego.
Tutti vengono spaventati dalla BCE e dalla Commissione europea che ci ricordano la vulnerabilità del nostro grade debito pubblico e del connesso rischio per la stabilità dell’euro. In effetti, questo è una mina vagante davanti alla prua della nave Italia che ha ripreso a navigazione ma nessun partito dice chiaramente come facciamo a ridurlo drasticamente se ormai abbiamo poco da vendere o privatizzare, se una imposta patrimoniale straordinaria deprimerebbe l’economia e se le regole europee, prima facie, impediscono di finanziare con ulteriore debito un adeguato programma di investimenti in infrastrutture pubbliche. Se per via del suo ruolo il Presidente della Repubblica non può entrare a gamba tesa nel merito delle proposte, i partiti non hanno scuse e non possono continuare a ingannare i loro stessi elettori.