A proposito di bail-in e/o di salvataggi bancari necessitati.
Al ministro Tria non piace il bail-in a suo tempo (2014) “imposto” dalla Germania. Il bail-in è la nuova regola per cui azionisti e titolari di obbligazioni strutturate partecipano pro-quota alle perdite di banche inefficienti e/o in fase di liquidazione amministrativa perché gestite male. Tria ha sostenuto che nel 2014 il Ministro Saccomanni sarebbe stato “ricattato” dal collega tedesco Schauble che minacciava di rivelare lo stato precario del sistema bancario italiano. Subito dopo temendo reazioni da parte tedesca – Schauble è ora presidente del Camera dei deputati – Tria ha addolcito la sua affermazione. Nei giorni successivi il ministro Saccomanni ha detto che quando lui è arrivato a Bruxelles la decisione era già maturata perché la discussione dell’idea del bail-in era iniziata a partire dal 2011 e, quindi, lui non poteva fermare un processo decisionale che andava avanti da circa tre anni. Sono questi i tempi medi di una decisione complessa a Bruxelles calcolati dall’allora presidente del Parlamento europeo Martin Schulz nel suo libro Il gigante incatenato. Quindi ha ragione Saccomanni: non c’è stato alcun ricatto al ministro pro-tempore.
In fatto, la norma non è stata applicata, anzi si è fatto il contrario anche perché la stessa Germania ha problemi analoghi con le banche locali. Per capire bene la vicenda bisogna fare due passi indietro e chiarire il contesto che ne ha determinato la necessità. Il primo va alla riforma del 1993 (vedi TU n. 385) che reintroduce il modello della banca universale abrogato con la riforma del 1936. La banca torna a fare tutto e di più. Eroga il credito ordinario, concede mutui, acquista partecipazioni in imprese, fa speculazioni finanziarie azzardate, non cerca di recuperare le sofferenze sui prestiti concessi ad amici e sodali dei dirigenti. Nella imperante logica neo-liberista le banche sono considerate imprese come le altre. Possono fare tutto quello che vogliono e se sono grandi “non possono fallire” perché ancora peggiori sarebbero i danni per l’economia reale. In questa linea, il fallimento della banca Lehman Brothers del 15 settembre 2008 alcuni anni dopo veniva considerato come un errore che bisognava evitare.
Dopo la improvvida ed inopportuna affermazione del ministro Tria nella sua audizione davanti alla 6° Commissione finanze e Tesoro del Senato del 27 febbraio scorso si scatena un coro di dichiarazioni e consensi a favore della tesi contraria all’attuazione del bail-in e, quindi, favorevole ai salvataggi bancari senza se e senza ma. In prima linea, si schiera ovviamente il Presidente della Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli per ragioni di Ufficio ma quello che sorprende è che anche alcuni esponenti della Banca d’Italia hanno fatto dichiarazioni convergenti. Non si è apertamente pronunciato il Governatore Visco ma sappiamo che anche la storia bancaria del secondo dopoguerra è costellata di crisi di singole banche sempre salvate dalla Banca d’Italia in nome della stabilità del sistema invero inefficiente e arretrato. Come hanno dimostrato degli studi dell’Ente Einaudi a suo tempo coordinati coordinati da Tommaso Padoa Schioppa il sistema banco-centrico italiano è uno dei più arretrati di Europa e, non di rado, pratica l’usura. Da ultimo si è creato un legame diabolico per cui le banche sottoscrivono titoli dello Stato – ne hanno in portafoglio diverse centinaia di miliardi – e riscuotono cedole relativamente basse, non remunerano i depositi dei risparmiatori, si sono trasformate in agenzie immobiliari, vendono polizze assicurative a tariffe esose, non erogano fidi a imprese con scarsa liquidità. L’intreccio è diabolico perché una crisi del sistema bancario potrebbe mettere a repentaglio la gestione del debito pubblico attraverso la vendita obbligata dei titoli del debito pubblico nei loro portafogli e, viceversa un attacco speculativo diretto al debito pubblico italiano finirebbe con lo svalutare anche i titoli in possesso delle banche. A livello internazionale ed europeo, sono state avanzate proposte mirate a sciogliere il legame diabolico ma in Italia dette proposte sono state respinte senza un vero dibattito pubblico.
La mia tesi di base è che sia la riforma del 1993 che tutti i salvataggi fatti successivamente – emblematico il caso del Monte dei Paschi di Siena – sono contrari allo spirito e alla lettera dell’art. 47 comma 1 della Costituzione il quale dice che: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. L’indagine parlamentare svolta nella precedente legislatura ha messo in evidenza come nel controllo dell’esercizio del credito delle altre attività delle banche non c’è stato coordinamento adeguato tra Banca d’Italia e la Consob – quest’ultima per la parte relativa all’emissione di titoli da parte delle controllate perché quotate in borsa. Poi c’è la concentrazione in testa all’autorità europea di vigilanza sulle grandi banche c.d. sistemiche. Il discorso sarebbe lungo e complicato ma la sostanza è la tutela del risparmio “in tutte le sue forme”, secondo me, non può essere invocata solo a fronte di gestioni sgangherate di banche locali piccole e medie, di nomine di dirigenti senza le qualifiche necessarie, ecc.. La vera tutela dei risparmiatori si fa in chiave preventiva. Le funzioni di cui parla il primo comma dell’art. 47 Cost. sono eminentemente pubbliche e le autorità indipendenti chiamate ad esercitarle dovrebbero evitare di farsi catturare dai controllati. Le banche piccole o grandi non sono imprese come le altre e l’idea maturata a livello europeo di coinvolgere la responsabilità di azionisti ed obbligazionisti poco attenti nell’impiego dei propri risparmi ha un suo fondamento logico. Il punto di domanda, la questione che non viene discusso e approfondito è che il fatto che le banche vengano considerate imprese come le altre, secondo me, non fa venire meno la funzione pubblica e di preminente interesse generale che esse svolgono e, quindi, la necessità di una vigilanza rigorosa ai vari livelli e secondo le diverse competenze. Il governo e la Banca d’Italia sostengono anche programmi di educazione finanziaria – in Italia a livelli troppo bassi. Va bene ma il loro compito principale è quello di rendere più efficienti ed efficaci il sistema dei controlli. Di nuovo, qualche barlume di speranza oggi viene dall’Europa. Politici ed opinione pubblica indipendenti dovrebbero schierarsi a difesa del bail-in.
@enzorus2020
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